Di Maria Grazia Narciso
Si chiama Retro-Marketing o in termini più semplici “operazione nostalgia”. La memoria dei tempi che furono rassicura, ciò che è stato è già stato e non fa più paura anzi, se profuma di casa, di amore e di buono, nutre e rinfranca rafforzando il senso di appartenenza.
L’introduzione è dovuta, soprattutto per chiarire a me stessa il perché questa sosta a pranzo da Vincenzo, in un giorno qualunque, mi fa sentire in pace con il mondo e mi apre il cuore ai racconti di una tradizione, quella campana, che non è la mia ma le assomiglia molto. In fondo il fuoco, la farina, la comunità sono valori universali ma qui ad Acerra, nella pizza “lampiata” trovano radici e personalità.
Altrimenti detta “pizza della nonna” quella della “lampiata” è una ricetta antica che vuole la pizza cotta sui carboni quando il fuoco nel forno a legna si è ormai spento. La cosa in effetti è più complicata di così. L’impasto, o meglio ciò che restava di quello del pane che si usava preparare “nei portoni” come dice Vincenzo, veniva adagiato in una teglia in ferro, precedentemente oliata e preriscaldata, poggiata sui carboni spenti oppure a sufficiente distanza dal fuoco, per poi ultimare la cottura “alla bocca del forno”. Insomma una serie di oculate operazioni in sequenza che osservo compiere con cura da Vincenzo mentre compone, sposta, ruota ogni singola teglia.
I fornai di un tempo abbassavano la temperatura del forno introducendovi, oltre a quello del pane, un ulteriore impasto condito con olio, origano e pomodoro San Marzano, tipico del territorio acerrano. Questa pizza sui generis quindi cuoceva grazie alle “lampe” di fuoco che conferivano al prodotto finale una particolare texture, croccante e gustosa, lontana da quella della pizza napoletana e un profumo talmente unico da pervadere ancora la memoria olfattiva delle generazioni di allora. Sono i clienti cinquantenni infatti, quelli che la generazione Z chiama boomer, ad aver ispirato Vincenzo nella creazione di un “capsule menù”, composto da 4 proposte: Margherita, Marinara, Parmigiana, Baccalà e papaccelle.
Per l’ impasto della “pizza lampiata” sono necessarie una minore idratazione e una cottura a temperature intorno ai 350 °, più basse quindi di quelle della pizza. Ogni teglia ospita circa mezzo chilo di impasto, il doppio rispetto al solito per cui ricordati di ordinarla per due.
Questa delizia è in effetti un prodotto di panetteria che riporta alla memoria un modo di fare merenda semplice e sano, quello che ci proponevano le nonne quando le merendine confezionate disertavano le dispense domestiche.
E’ divertente il gioco che si innesca a tavola oggi, un tenero amarcord delle merende della nostra infanzia. Si aprono anche i miei cassetti con dentro la duplice proposta delle mie nonne: pane rigorosamente fatto in casa e arancia a spicchi oppure pane e zucchero, per non parlare del classicone, pane, olio e pomodoro. E’ questo l’effetto che fa la “lampiata”, un profumato flash-back che stampa sui visi un nostalgico (il mio tendente all’ebete) sorriso.
Ci voleva un pizzaiolo autentico come Vincenzo Di Fiore, dal 2014 nella Guida alle pizzerie d’Italia del Gambero Rosso e pluripremiato con i 2 Spicchi Gambero Rosso per dare lustro alla semplicità rivalutando prodotti e produttori del territorio. Anche le teglie in ferro infatti sono realizzate da un artigiano locale. Perché? devono essere identiche a quelle utilizzate dalle nonne acerrane.
La tradizione e la valorizzazione del territorio sono nel DNA di Vincenzo che nel 2016 si è aggiudicato per primo il posto di “pizzaiolo-pastore” nel noto presepe di Ferrigno a San Gregorio Armeno e due anni dopo ha festeggiato l’ingresso nell’Associazione Verace Pizza Napoletana con un arancino di fagioli cannellini acerrani detti “denti di morto” dedicato a Pulcinella, che la tradizione vuole nato proprio qui. Più Acerra di così!
Insomma dalla cucina di recupero ad una proposta identitaria di valore, è questa l’operazione di Vincenzo Di Fiore e se questo è il risultato evviva il Retro-Marketing.
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