Di Adele Munaretto
Non era ancora agosto quando leggemmo dell’imminente apertura del nuovo ristorante di Antonino Cannavacciuolo in Campania e presi della foga olimpica dell’estate 2021 riuscimmo a prenotare un pranzo di fine settembre con largo anticipo rispetto agli altri avventori.
Il giorno fatidico arrivò, e con la complicità di una bella domenica settembrina, decidemmo, un po’emozionati, di partire in direzione Penisola sorrentina. Giunti a Vico Equense, imbocchiamo la strada che sale verso il Faito e attraversiamo qualche paesino interno prima di giungere alla frazione di Ticciano e ritrovare sulla strada principale un’insegna elegante dove l’iscrizione recita LAQUA… Prendiamo la via, appena asfaltata, che costeggia una serie di villette e terreni agricoli, e arriviamo finalmente nel parcheggio del Resort dove veniamo invitati a scendere. Siamo poi accompagnati verso la struttura principale attraverso i gradini che tagliano a metà l’orto di proprietà dove il personale di cucina attinge quotidianamente per la ricerca scrupolosa di “materia prima” freschissima, a centimetro zero.
L’accoglienza è professionale e dopo aver sbrigato le formalità di rito ci viene raccontata con passione la storia del posto in cui ci troviamo, e siamo invitati a visitare gli spazi a disposizione per decidere se mangiare all’esterno o accomodarci all’interno. Il casolare è un vecchio frantoio del 1830 di proprietà di Andrea Cannavacciuolo, il papà di Antonino. C’è anche un bel dehors, fresco e moderno, sormontato da un glicine centenario, abbracciato dal verde e della splendida veduta delle colline che circondano il borgo. Nella sala le pareti sono di una calda tonalità tortora, con armadi di color rame a incorniciare l’ambiente; e con il soffitto che lascia a vista la pietra nuda, mostrando tutto il fascino del passato di questo sito. I tavolini sono di marmo con poltroncine che avvolgono comodamente la seduta.
Decidiamo allora per l’interno, il clima e la musica in sottofondo contribuiscono a rilassarci e preparano nel modo più giusto all’esperienza gustativa al riparo dal caldo di settembre (sì… faceva caldo, quanta nostalgia ;-) )
Per la mise en place nessuna tovaglia, un fiore in un vaso e cristalleria trasparente, e poi tovaglioli di lino. La scelta cromatica della porcellana bianca e ruvida dei piatti di portata, di foggia e forme diverse, crea un forte contrasto con la superficie dei tavoli e spinge a concentrarsi, senza ulteriori distrazioni, sulle pietanze che si ergono a protagoniste indiscusse.
Tra le due proposte di bolle scegliamo un Trentodoc, Blauwal Rosé Extra Brut Cesconi, e immediatamente il tavolo si riempie di una miriade di piccoli piattini per l’amuse bouche; e a seguire il benvenuto dello chef con anguria, bottarga e pomodoro confit.
Scegliere non è semplice, ma noi siamo arrivati preparati e avendo potuto consultare il menu da casa optiamo per ordinare alla carta tanti piatti diversi, creando un percorso di carne e uno di pesce, anche se è sicuramente troppo riduttivo descriverli così…
Gli antipasti:
Fois gras, pesca, gambero e rafano
Calamaro, salsiccia di vitello e finocchietto
I primi:
Spaghetto, mandorle, ricci di mare e quinoa al cardamomo
Raviolo di faraona, zabaione al miso e fior di latte
I secondi:
Rombo, vaniglia, frigitelli e pil pil
Anatra, albicocca, finferli, arancia e liquirizia
I dessert:
Cioccolato, caramello, salato e frutti dell’orto
Fichi, provolone del Monaco e tartufo nero
Come ulteriore carineria arrivano i piccoli assaggi di pasticceria offerti dallo chef
Per gli abbinamenti ci siamo fatti guidare dal sommelier Antonio Indovino che ci ha suggerito di proseguire con un ulteriore bolla per gli antipasti: Olivar 2017, Cesconi dei Vigneti delle Dolomiti, perfetta per gestire i differenti picchi di gusto dei primi piatti e, subito dopo, il Montepulciano K’un di Clara Marcellini, esplosivo partner per accompagnare i secondi piatti.
Il nostro pasto è finito, i sorrisi sono tanti, la meraviglia ancor di più; con il palato che resta colpito da una proposta dall’importante impatto sensoriale, quasi una sfida per le papille gustative in un saliscendi di sapori e impressioni. Le commistione riuscita tra la cucina meridionale più tradizionale con le molteplici esperienze in terra settentrionale dello chef; e poi il tocco raffinato delle incursioni che provengono dal mondo asiatico: tutto ci ha lasciato davvero stupiti, colpiti, financo storditi… tanta roba!
Decidiamo allora di provare ad affacciarci nel regno dello chef: nell’ultima sala scorgiamo una cucina, parzialmente in vista, in cui si ammira la brigata che si muove con consapevole scioltezza. Dietro i fuochi c’è al comando l’executive chef, il gragnanese Nicola Somma, colui che ha portato la stella Michelin al Cannavacciuolo Bistrot di Torino; alla richiesta di poter scattare una foto indietreggia con decisione e lascia posto a tutta la squadra, dando una grande dimostrazione di umiltà. Usciamo fuori e ritorniamo nel dehors, con Nicola che ci propone adesso una visita alla cantina: una meraviglia l’ordinata disposizione delle bottiglie, tutte illuminate in maniera intima, quasi celebrativa; belle anche le pupitres personalizzate da una casa spumantistica. In questo piccolo tempio notiamo anche una “cappella” dove il papà di Antonino conservava le classiche bottiglie di pomodoro e i formaggi, una dispensa di golose provviste chiusa da un cancelletto, per liberare gli operai che frequentavano la cantina dalla tentazione di conquistare qualche interessante bottino artigianale.
Riprendiamo quindi l’esterno, saliamo in auto e sorridiamo, noi il nostro “bottino” d’esperienza lo abbiamo comunque portato a casa.
Foto di Cosimo Orlacchio
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