Di Maria Grazia Narciso

Qui tutto parla di teatro e di cinema ma l’unico film che non va in onda è il loro. Perché?

Subito detto, loro non recitano e tu non sei spettatore. Tu sei coinvolto, in una dialettica piacevolissima, nella costruzione dell’esperienza, nuova ogni volta nonostante così fedele alla tradizione.

Da “Ieri, oggi, domani”, storico ristorante in Via Nazionale, Napoli va in tavola in tutto il suo splendore così come nelle sua modestia, con ricette ricche e piatti poveri ma sempre colmi di cuore e devozione. Come d’altronde ogni gesto qui dentro.

Una volta seduto devi decidere però se lasciare carta bianca a Pasquale Casillo, il padrone di casa, e in quel caso devi essere pronto a rischiare con le calorie, o fare il virtuoso e gestire gli spazi nel pancino. E che sei venuto a fare se scegli la seconda?

Magari sei venuto a sentire una punta di nostalgia, la carezza di un passato sincero, la fragranza dei profumi del presente davanti ad un piatto fumante di pasta e piselli o pasta e patate, ad una pizza fritta o ancora meglio una zizza fritta, (permetti la licenza poetica?), e se Peppe Giorgio, giornalista cine-enogastronomico ti ipnotizza con il menù  e Antonella Morea ti legge Eduardo la magia è compiuta.

Oggi la traccia è “La cucina nel teatro, nel cinema e nella poesia a Napoli. Dallo street food di Viviani al ragù di Eduardo”. Lo svolgimento farebbe tremare i polsi a chiunque, ma Pasquale spadella disinvolto e noi ci sentiamo al sicuro.

C’è tutto nel nostro viaggio immaginario: Don Felice Sciosciammocca con Pasquale, Concetta e Pupella di “Miseria e Nobiltà” di Eduardo Scarpetta, che si avventano su una fortunosa tavolata,  il cibo venduto al mercato nero della “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo, il brodo vegetale e capitone della vigilia di “Natale in casa Cupiello”. E mentre il ragù di “Sabato domenica e lunedì” reclama il suo ruolo di protagonista torna in mente  “Il sindaco del rione sanità” nel quale il finale si compie durante una tavolata. Insomma è questo il racconto di quanto il cibo sia cultura e coesione,  arricchito da spunti e ricordi tratti ancora da altri protagonisti del teatro, della musica, della poesia dal Cavalcanti al Corrado per giungere a Cortese, Basile, Di Giacomo, Viviani, E.A. Mario, Marotta.

Lo chef Antonio Castellano e il pizzaiolo Gianni Ostetrico oggi hanno composto una autentica summa teologica, (perché di religione si tratta), nella quale corpo e spirito trovano l’ agognata sintesi. E se gli occhi sono lo specchio dell’anima al solo sguardo questi piatti l’anima la nutrono.

Lo “spassatiempo” caro a Viviani apre le danze. Sbucciare la frutta secca nel tempo che fu rappresentava  uno “spasso”, un “passatempo”. Al grido di “accattateve ‘o spasso” gli ambulanti vendevano ai passanti fichi secchi, noci, nocciole, mandorle e arachidi.

Segue lo street food per eccellenza,   “o per’ e o’ muss” e la celeberrima pizza fritta “oggi a otto” lanciata da Sofia Loren nel “L’oro di Napoli”, tratto dall’opera di Giuseppe Marotta. Anticamente il piede di maiale e il muso del vitello, cibi di strada ante litteram, erano preparati dai “ventraiuoli” che vendevano le trippe lavate, lessate, tagliate in piccoli pezzi e disposte in cuoppi di carta oleata, cosparse di sale e limone. Oggi li gustiamo con olive e lupini.

Il re delle domeniche napoletane,  “o’ raù , fattosi poesia grazie ad Eduardo,  sale  sul podio accanto alla Pasta e piselli del poemetto “Si cumme vogli’i”, mentre il polpo ad insalata, il baccala e il cefalo “arrustuto” cantato da Aurelio Fierro in “Ma tu vulive a’ pizza” si contendono il piatto con il “cuoppetiello” di alici  fritte.

Una menzione speciale merita la “Zizza fritta”. Il piatto della casa vuole che la mozzarella di bufala sia fatta sciogliere in forno a legna, sia farcita con maialino rosa di Castelpoto, provola di Agerola e ricotta di bufala, poi chiusa, strozzata e passata in tempura e infine condita con ragù a volontà. Servita in genere in monoporzione oggi ha monopolizzato la scena nella sontuosissima e libidinosa presentazione da centrotavola.

Chiudiamo in bellezza con il Babà e una “tazzulella e’ cafè” commentando che anche questa volta, in piena prova costume, siamo stati a sentire Pasquale e il posticino nel pancino lo abbiamo trovato. Speriamo che non si veda!

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