Di Maria Grazia Narciso
E’ più un pub o un ristorante? Meglio venirci di giorno o a cena?
Sono le domande che mi ponevo durante le chiacchiere tra commensali. Ma la verità è che questo posto ha tutta l’aria di una “casa”, certo un po’ speciale, la casa della birra artigianale made in Napoli aperta la sera 7 giorni su 7 in Corso Vittorio Emanuele, 53 a Torre del Greco.
In realtà siamo nella tap room esterna di KBirr, birrificio napoletano che vanta di avere la capacità produttiva più alta e la sala cotta più grande di Italia. Sviluppato in verticale, con procedimento a caduta, cosa ormai rara, merita una visita a parte. Qui il malto macinato, grazie ai mulini automatici, appannaggio delle brewery più avanzate, viene immediatamente utilizzato perché non parta l’ ossidazione, cosa importante per evitare problemi nelle fasi produttive successive o derive organolettiche indesiderate.
Tanti i segni iconici che rimandano alla città: alle pareti le opere di Roxy in The Box, street artist napoletana nota per le sue inconfondibili interpretazioni di personaggi famosi, le lampade degli Iron Angels, cooperativa di ragazzi della Sanità e ancora sculture in legno ispirate alle etichette “Kbirr” di Eddy Ferro su disegni di Maura Messina.
Il murales di Alessandro Flaminio, “Le voci dentro” dedicato a San Gennaro e l’arte dell’ “upcycling” interpretata in chiave solidale da Luigi Masecchia ricordano inequivocabilmente che la tradizione qui impera così come le materie prime del territorio: la pasta di Gragnano IGP trafilata a bronzo, il pomodoro di San Marzano, la mozzarella di bufala campana e il tarallo ‘nzogna e pepe.
Oggi assaggiamo una selezione dal nuovo menù, ça va sans dire, ispirato rigorosamente alla tradizione e abbinato alle birre della nota azienda di Fabio Ditto: Natavota (Lager), #Cuoredinapoli (American Pale Ale), Jattura (Scotch Ale).
L’abbinamento cibo-birra è un campo tutto da indagare, perché, a differenza del vino non gode di uno strumento metodologico consolidato. Come ricorda Tommaso Luongo, Delegato AIS di Napoli, l’Associazione Italiana Sommelier di Napoli da tempo ha attivato percorsi in tal senso off- e on-line.
Mi diverte molto che lo chef Antonio Alberti serva i primi come le candele al ragù o alla genovese, la pasta e patate, lo spaghettone, aglio, olio e tarallo in quelle grattugie a forma di teglia con le quali mio padre si divertiva a grattugiare il parmigiano o il pecorino, adibiti a contenitori monoporzione.
Gli antipasti sono evergreen: ‘O ciurillo ‘mbuttunato con fiori di zucca, salame napoletano e pomodoro San Marzano, indorato e fritto con ricotta di Fuscella, la braciulella torrese, involtino di maialino nero casertano ripieno con i peperoncini del Ciummo (cioè di fiume, per i forestieri, me compresa) e provola affumicata, l’imprescindibile Purpetta della nonna, polpette di scottona con pinoli al ragù. Noi oggi con i peperoncini verdi del Ciummo testiamo il baccalà cotto a bassa temperatura.
“Chello ca mugliereta nun te fa” è una “capsule collection” nella quale sfilano la parmigiana di melanzane, la classica braciola e il baccalà mantecato mentre i secondi sia di carne sia di pesce sono serviti al piatto o in un delizioso panino se la tua serata gira così.
All’esterno tavoli e sedie per godersi l’estate magari con le insalate fresche e le Friselle proposte anche nella versione gluten free.
Foto di Gabriella Imparato
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