Di Mauro Illiano
Il live Instagram del 14 aprile 2020 sull’account di Napoli Coffee Experience è stata l’occasione per chiarire al popolo dei baristi di Napoli la definizione di Specialty Coffee.
Inizieremo esattamente da dove ci eravamo lasciati prima di interrogare Andrej Godina, caffesperto, sulla possibilità dello Specialty Coffee di penetrare nel mercato italiano ed in particolare in quello napoletano.
Ho sempre ritenuto necessario un approfondimento sul tema specialty coffee a Napoli, e ciò perché ben prima di andare in piantagione e comprendere in effetti quale fosse il plusvalore umano oltre che tecnico di questa categoria di caffè, avevo ben chiara l’idea di come gli operatori stessi del settore, nel territorio partenopeo, avessero completamente travisato il concetto primo di questa merceologia.
Tante, tantissime le affermazioni ascoltate in città: dalla convinzione che “un caffè di quelli costa 5 euro”, a “quel caffè acquoso non si venderà mai a Napoli”, per finire con “sento solo l’acidità del limone”. Tutti luoghi comuni che evidentemente, a causa di un erroneo approccio da un lato e di una non efficiente comunicazione dall’altro, hanno regnato incontrastati sino al 2020, se è vero che in una città con più di 2 milioni di abitanti ad oggi esistono solo due Bar Specialty, uno piccolissimo in Città, ed uno a Pompei, vale a dire in provincia.
Ma la metamorfosi è partita. Lo posso dire serenamente. Lo posso affermare perché da un po’ di tempo assolvo un ruolo di mediatore tra i sostenitori della cultura tradizionale ed i supporters dell’evoluzione più avvenirista. La Napoli del caffè è già all’ascolto, e parte di essa è già in moto, in un’opera di trasformazione di sé, rimodellamento di stili ed aggiornamento delle competenze, in una sola parola: rivoluzione.
Tornando al tema del dibattito, è giusto innanzitutto dare atto alla nutrita presenza di spettatori ed appassionati, che in massa si sono sintonizzati per prendere parte all’evento.
Tante le domande durante la diretta andata in onda il 14 Aprile che è stata pensata per fare chiarezza sul significato di Specialty Coffee, nonché sui falsi miti generati da un approccio non sempre attento a questa tipologia di caffè.
A partire dai costi al pubblico dei caffè Specialty, considerati spesso “alti ed inarrivabili” più da gestori e baristi che dai consumatori stessi.
Sul tema, chiarito il fatto che i fantomatici “4 o 5 euro” a tazzina (ove il caffè venga estratto in espresso) si possono pagare solo per prodotti di nicchia, Godina prende ad esempio Starbucks, sottolineando come il colosso di Seattle, nella sua Roastery milanese applica già un prezzo di poco inferiore ai 2 euro per la sua miscela più in voga.
Si è discusso poi di uno dei punti più critici del caffè specialty, almeno per la community napoletana, cioè la spiccata acidità che spesso gli espresso Specialty presentano in tazza.
Anche stavolta Godina è intervenuto con una profonda spiegazione del concetto stesso di Specialty Coffee, evidenziando i requisiti essenziali al fine della qualificazione secondo gli standard di SCA (difetti consentiti nel campione di caffè verde, assenza di quackers nel tostato, votazione di 80+, ecc).
Ebbene, all’esito della sua introduzione, il caffesperto ha poi messo in chiaro che al di la delle regole dettate dalla SCA non vi sono invece norme precise che riguardino ad esempio il grado di tostatura, confermando in tal modo la possibilità di modellare il profilo in tazza della bevanda a partire dallo stile e dal grado di tostatura, scelta di per sé in grado di influenzare il gusto e assecondare le preferenze della clientela locale.
Tostature scure, ha spiegato Godina, ove comunque rispettose della materia prima, non sono solo consentite, ma addirittura consigliate per l’espresso. E ciò soprattutto per agevolare la diffusione della cultura specialty, rispettare il consumatore e le sue abitudini di consumo.
Proseguendo sul concetto di acidità, Godina ha poi spiegato come le scelte di estrazione (brew ratio, temperature di estrazione, macinatura, ecc) possano comunque aiutare a mitigare il gusto acido della bevanda, che soprattutto nella sua versione in espresso può spiazzare il palato di consumatori abituati ad un altro stile di bevuta.
Allo stesso modo, interrogato sul tema, ha proseguito spiegando come anche la possibilità di creare dei blend di caffè specialty non sia assolutamente esclusa, a patto però che tutte le componenti usate siano all’origine anch’esse Specialty. La scelta di miscelare i caffè, ha spiegato Godina, si chiarisce con la necessità di trovare un bilanciamento di più elementi del caffè (dolcezza, acidità, amarezza, corpo, aromi) e non si ravvede il motivo del perché tale opera di assemblaggio non possa essere consentita per i caffè di maggior pregio.
Porta aperta anche sulla possibilità di zuccherare il caffè, ancorché specialty. A tal proposito Godina ha sottolineato come un caffè di qualità di per sé deve avere una dolcezza tale da poter essere degustato al naturale, ma che, tuttavia, soprattutto per l’estrazione in espresso – riprendendo un concetto chiarito durante un seminario tenutosi nell’ultima edizione di Host – una piccola aggiunta di zucchero adeguatamente mescolato alla bevanda, può senz’altro risultare gradevole oltre che interessante dal punto di vista sensoriale, fungendo da un lato da esaltatore di alcune note aromatiche della bevanda, dall’altro da facilitatore nella comprensione della qualità del caffè per alcuni bevitori abituati a tenori zuccherini alti.
Sollecitato sull’imprescindibilità dell’aggiornamento professionale, il caffesperto ha spiegato che la formazione è parte essenziale di ogni attività lavorativa, e come essa sia l’unico strumento con cui il barista può difendersi dall’avanzare del tempo e mantenere intatto se non accrescere il valore della propria professione. Spinoso il tema della forbice che spesso si crea tra costi di formazione e remunerazione del barista. A tal proposito Godina, sollecitato dal mio invito, ha rinviato la discussione ad altra data, lasciando però uno spiraglio alla rimodulazione di percorsi formativi, da ripensare ad hoc per il mercato meridionale, e da strutturare, nei limiti del possibile, in modo che l’aggiornamento professionale divenga accessibile all’intera comunità dei Baristi d’Italia.
Il finale è stata l’occasione per rispondere alla domanda composita posta dal già recordman Francesco Costanzo (703
caffè espressi estratti in una sola ora), vale a dire dell’effettivo successo che la cultura specialty potrà avere nella città di Napoli e come e quali eventi potrebbero fungere da acceleratori.
Verrebbe da dire “Godina ha detto si ! ”. Ed in effetti l’esperto ha spiegato come in realtà questo fenomeno sia già in espansione nel sud Italia ed a Napoli. La seguitissima diretta, d’altronde, è stata l’ennesima conferma che il fermento c’è eccome.
Il caffesperto promuove anche la ventilata idea di un Napoli Coffee Festival, evento da costruire con assoluta attenzione, poiché in grado di enfatizzare la Napoli del caffè, vera prova del nove di una Città già grande per culto che vuole e deve primeggiare anche per tecnica.
A telecamere spente non posso che esprimere la mia totale soddisfazione per tutto quanto detto da Andrej Godina e per la significativa risposta del pubblico napoletano, rappresentato da torrefattori, gestori, baristi, ma anche tanti appassionati.
Consapevole della difficoltà che insieme alla mia Napoli affronterò negli anni che verranno, sono oggi a conficcare questa nuova bandiera sul percorso, a testimonianza del raggiungimento di una nuova vetta.
La chiameremo “Napoli Specialty peak”
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