Di Mauro Illiano e Ivan Marchitiello
Ore 16.05, un mini van della Ford è fermo al casello autostradale di Dormans, Nando fuma la sua prima sigaretta in terra franca, e un vento gelido spira tra i bassi vigneti che avvolgono le case intorno. Un solo giro di lancette lunghe e arrivano Olivier e Marianne a bordo del loro pick-up carenato; un cenno d’intesa e siamo già a ruota del nostro timoniere. Ore 16.20, siamo riuniti nella saletta di degustazione di Vatel, piccola azienda di Verneuil. Gli assaggi si susseguono compulsivi tra un apprezzamento e l’altro. Poco il tempo lasciato ai commenti, tant’è che alle 17.50 siamo già in rotta verso le mura di Bouché, autentico tesoro familiare, minuscolo avamposto di Fleury La Riviere, capitanato dal saggio Jean Pierre. Qui la visita è intensa: si stappa, si sbocca, si fanno prelievi in botticelle di Ratafia. L’umore sale a dismisura quando dalla cantina ci spostiamo nel salone di casa del generoso Jean Pierre, dove le lancette contano minuti interminabili fatti di aneddoti sul vino, sui viaggi in calesse intorno al mondo, e sul modo di intendere il buon bere. Sono le 19.50, ed ognuno di noi avrà assaggiato almeno 20 o 25 calici di vino, ma è del tutto normale, siamo interra di Champagne.
La cena a casa di Olivier e Marianne è un’esperienza totalizzante. Lui, professore di storia a Reims, francese di origini sicule, è un pozzo da cui attingere storie incredibili ed uomo dalla risata contagiosa. Lei è un’artista a trecentosessanta gradi, donna dalla sensibilità spiccata e dalla ricca cordialità. Così, il daino brasato, sapientemente stornato e finemente cucinato da Olivier, riesce a passare in sordina poiché coperto dalla gaiezza del momento, che si trasforma in giubilo quando ci trasferiamo dalla sala da pranzo al salone della cascina datata 1780 posta nella piazza principale di Lagery, la casa dei nostri osti. Musica improvvisata, figlia dell’insolito duo musicale composto dal “nostro” Antonello al piano e dall’indomabile Olivier alla chitarra. Note al vento, interminabili risate intrise d’uva, poi una notte di sonno e di gelo. E’ il primo giorno di Marzo, e salutiamo Lagery sotto una nevicata fitta; destinazione Henry Giraud ad Ay.
I pochi passi spesi per calpestare una cantina avveniristica, le anfore di terracotta, le botti di rovere della foresta di Argonne, il gioco di luci delle vetrate di quella che è una cattedrale dello Champagne, poi tutti a bere, alcuni a degustare. La Maison non bada a spese, offrendo in degustazione l’intera gamma, dall’Esprit all’Argonne, passando dai Fut de Chene nelle versioni bianco e rosa. E’ arrivata l’ora di salutare, ma arriva Claude Giraud, quindi tutti in riga e foto di rito con calici in vista.
Un pasto fugace ma delizioso al Table Kobus di Epernay, poi di nuovo a “lavoro”, destinazione Alfred Gratien e l’accoglienza di Nicolas Jaeger. La visita alla bottaia è a dir poco primitiva, ma quando ci si sposta in sala di degustazione la musica cambia. Nicolas ci delizia con informazioni tecniche di ogni sorta, mentre Nando incalza con le domande scomode e i due Ivan sbuffano di piacere nel saggiare, goccia dopo goccia, ogni versione dell’equilibratissima gamma di Champagne, mai saggiata prima. Il tempo sembra fermarsi nell’istante in cui ci congediamo dal nostro indottrinatore, sta per cominciare un pomeriggio all’insegna dell’ozio a Pierry. Villa avveniristica dotata di comfort di ogni tipo, docce con luci multicromatiche, musica classica in filodiffusione, vasche installate al centro delle stanze, termo arredi con sensori di passaggio, controllo di luci ed areazione via bluetooth, jacuzzi e tante altre diavolerie da dare in pasto all’anima. Stand by dalle 16 alle 20, quattro ore di “oltrevita”, fatte di silenzio e cura del se, poi di nuovo nella mischia.
Al Cook’in di Epernay una cucina che definire filo asiatica equivale a declassare l’amore sconfinato dello chef per lo zenzero e il coriandolo, viene accompagnata da uno spettacolo folk tutto sommato idoneo al luogo. E’ il nostro saluto ad Olivier e Marianne, vera garanzia in terra di Ardenne, magnanimi quanto preziosi custodi delle nostre più autentiche emozioni fuori dalle vigne.
Per il giorno seguente il programma è fitto, fittissimo. Prima tappa Diebolt-Vallois a Cramant, terra di bianchi e di profumi. Dopo un viaggio freddo, atterriamo, è proprio il caso di dire, su lastroni di ghiaccio che sembrano difendere quanto di prezioso vive oltre la porta di quella cantina: una semplicità disarmante. Breve quanto piacevole la visita, lo spazio di qualche scambio di veduta, poi di nuovo in marcia alla volta di Troyes.
Capolavoro di estetica dominata da casupole iniettate di travi e sormontata da tegole spioventi, un’atmosfera autentica, i ritmi dolci dei luoghi magici, ed una collezione di fotografie tridimensionali adagiate sotto il cielo. Il tempo di un pranzo, non un pranzo qualsiasi però, poiché la cucina de Le Valentino è in grado di mettere a disagio moltissimi pretendenti al trono. Purezza interpretativa, leggerezza aulica e sapiente abbinamento dei sapori; il tutto condito da una carta dei vini molto valida, impoverita dal nostro passaggio che ha segnato il venir meno di una bottiglia di Agrapart, un Puligny-Montrachet di Olivier Leflaive, uno Chablis Grand Cru, un Francois Raveneau, 2012, ed un Marsannay Les Longeroies, Bruno Clair 2012. Il tempo di vedere Gianmarco sorridere come poche volte prima nella sua vita, poi tutti ai propri posti: il pomeriggio è di Dosnon.
Stretta e irta la strada ci conduce su una collina semi deserta dove Nicolas Languerotte ci attende con il suo cappellino verde acido ed una gran voglia di portarci in vigna. Scenari lunari si susseguono durante il percorso, e momenti di disarmante silenzio intervallano le spiegazioni sul “portlandiano” ed il terroir dell’Aube. Il camino intanto già sa che presto faremo a gara per sederci al suo fianco, e tant’è. Degustazione un po’ scarna e a dirla tutta molto diversa da come ce la saremmo immaginata, ma la voglia di saggiare, dopo un’intera giornata spesa per arrivare sin lì è forte, così compriamo un millesimato ’08, negatoci sino ad allora, ed anche questa visita volge al termine.
Due ore di strade buie e nebbia da panico ci dividono dalla nostra stanza in paradiso. Un panino per alleviare il morso acido delle bollicine, poi a riposo.
Sorge il sole ed il navigatore dice Metz. Partiamo ed arriviamo in una città bellissima, imponente nel suo essere elegante, viva come i fiori in primavera, meta ideale per salutare il brio delle Ardenne. Il pranzo da Les Caves Saint-Clèment è un dolce tormento, fatto di fois gras da grido, Champagne da Pinot Bianco e chiacchiere, tante troppe chiacchiere dell’istrionica oste.
Due ore di silenzio ci trasportano a Riquewihr, autentico gioiello in terra dell’Alto Reno. Viti a ricamare colline dal dolce pendio, case di marzapane, strade acciottolate ed un arredamento urbano che sembra essere uscito da una fiaba dei fratelli Grimm. E’ il nostro arrivederci alla Francia. L’ultima cena è Svizzera: legno, candele, caldo avvolgente e quintali di fonduta, solo fonduta, sotto le luci fioche di una Baracca definita Zermatt, in un luogo ben nascosto nel cuore di Basilea.
Maison visitate
Vatel
Bouchè J.P.
Henry Giraud
Alfred Gratien
Diebolt-Vallois
Dosnon
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