La caldaia emette grugniti e gorgoglii, come la pancia di una grassa signora, in subbuglio. Della pancia ha tutto l’aspetto, dalla forma come una grossa pera al cerchio chiodato lungo il diametro come una cintura; nel buio solo il colore di lucente rame, reso disuniforme da colature verdastre, impedisce alla metafora di realizzarsi in pieno.
Il nero della notte tropicale, sotto la volta del cielo saturo di punti brillanti, sono interrotte solo da un lontano lampione solitario, il giallo lume immerso in una nube di moscerini. Niente case visibili intorno, solo il profilo dei monti aguzzi intorno allo spiazzo dell’adega. L’unica luce disponibile é il fuoco acceso sotto all’alambicco, che manda vivaci bagliori e un calore infernale.
Gli addetti alla foguera si muovono lenti, a torso nudo, lucidi di sudore, portando i fasci di stoppie di canna per alimentare il fuoco. Le volute di fumo profumano di zucchero bruciato e di terra calda, si alzano verticali nell’assenza di vento. Questa notte é stata scelta proprio per l’aria quasi ferma, perché il fuoco possa essere controllato, la temperatura nell’alambicco salga piano, la distillazione sia seguita lento passo per lento passo.
Il mastro di caldaia aveva caricato la cotta in serata, facendo attenzione che non vi fossero impuritá nel mosto di canna, fermentato nei giorni precedenti. Ora segue il termostato come una bussola e la tabella di distillazione come una carta nautica, consulta regolarmente l’orologio e appunta lo stato dell’operazione con una matita. Ad un suo ordine, l’assistente va spedito a sostituire il contenitore che riceve lo zampillo alla fine del lungo tubo di condensazione.
Quando la temperatura interna era giunta a settantasette gradi, il mastro aveva fatto un cenno all’assistente ed egli aveva cominciato a porre il contenitore in un luogo riparato, chiudendone l’imboccatura e marcandone con un gessetto la sequenza. Dopo un tempo che stava fuori del tempo, accompagnato solo dal magnetismo delle fiamme che ipnotizzavano gli sguardi e scandito dagli ordini di ricambio, una fila di recipienti numerati si allineava su una lunga panca di legno.
É giunta mezzanotte e da poco il mastro ha ordinato di tornare a separare i contenitori che ricevono, giá, uno zampillo esiguo, ridotto a grosse gocce pesanti, di lasciare il fuoco calmarsi senza piú alimentarlo, di sistemare nella baracca al sicuro i contenitori numerati e di rimuovere le braci per porle in un basso paiolo, sul quale é giá pronta una griglia di ferro che imprigiona una breve batteria di spiedini. É ora di lasciare che il calore della foguera sia assediato piú da vicino dal fresco della notte e le membra stanche possano rifocillarsi di carne e di acquavite.
Sette ore piú tardi, con le luci del giorno che sorgono e i raggi del sole che calano dal profilo dei monti, arriva un pick-up che si ferma sotto il lampione e dal quale si avvia di buon passo all’adega un uomo in camicia recante un giornale. Il governo ha approvato la legge sulla produzione del grogue e l’MdR inizia oggi stesso a porre i sigilli agli alambicchi, i delegati del ministero sono giá in riunione a Porto Novo e in giornata li si vedrá percorrere l’isola, ospiti silenziosi a bordo delle camionette ufficiali, per portare fogli e bande adesive in tutti gli spiazzi dove vi sia una foguera e una caldaia. La lista é nota, i destinatari sono gli stessi coi quali l’ispettore si ritrova sovente alla casa do pasto o a condividere i piccoli fatti della vita, battesimo, raccolto della canna, nozze, condoglianze, visita di cortesia o per un consiglio sui fertilizzanti. Non ci saranno proteste organizzate ma molti commenti da scambiare davanti all’ultimo bicchiere di aquavite ufficiale, la stessa che da domani diverrá ufficiosa, per tutto l’anno di vacatio legis, in attesa di divenire ufficialmente fuorilegge, e che dio benedica chi ha inventato questa commedia nella quale un oggetto che ieri era bianco oggi é grigio e domani sará nero. E, cosí naturalmente come un oggetto cambia colore per decreto, vi sará qualcuno che accoglierá il delegato come un amico che divenuto un nemico si coprirá di ingiurie se non partirá qualche sassata, a ricordare che l’ambasciator non porta pena ma se porta cattive notizie con qualcuno bisogna pure pigliarsela. Non sempre fare l’impiegato statale rappresenta un privilegio.
In attesa che lo stato faccia la sua parte, nella persona del delegato suo ambasciatore, l’uomo in camicia gioca la ben piú comoda parte dell’araldo, sventolando il giornale fresco di stampa, leggendo ad alta voce le parole altisonanti del ministro ad una platea dagli occhi arrossati per il fumo la veglia e i bicchieri della notte, aggiungendo il suo parere a voce piú bassa, battendo di tanto in tanto la mano sulla pagina aperta per evidenziare il commento. Il teatro delle dichiarazioni, nella capitale, sulla carta stampata, davanti al gruppo. Il mastro, che si é tenuto in disparte, guarda senza parlare e lo sguardo é fermo, mentre il pensiero scorre le cifre dell’ultima produzione e quanto é nei fusti per la vendita nell’anno e quanto é nelle botti per fare l’invecchiamento. Il primo é al sicuro, potrá essere proposto senza nuovi crucci nelle bottiglie rimediate come sempre, solo l’etichetta di carta il tappo e la capsula uguali per tutte, a ricordare che siamo su un’isola rurale di un paese povero, il lotto da invecchiare invece propone un enigma, ed é l’imprevedibile risultato pratico della novitá, che si tradurrá in regolamenti, e vedremo se saranno scritti bene, a chi spianeranno la strada per l’esportazione, chi invece prima di poter etichettare dovrá dannarsi per divincolarsi dalla rete delle burocrazie, novello Disinganno in una Cappella Sansevero tropicale. Il mastro non ha un’espressione serena in volto. Sa che il beneficio di pochi coincide sempre col disagio di molti, e guarda caso i pochi sono coloro che possono e i tanti sono destinati a tentare, tentennare e toppare. E lui é solo un agricoltore senza diplomi, la scuola é quella del nonno, e senza attestati di frequenza, solo trentasette anni di pratica.
Nel frattempo il sole ha finito di scavalcare il monte, ha percorso il pendio roccioso, raggiunge il ruscello, si tuffa e fa brillare le acque tra le canne. Gli operai si asciugano il sudore sotto i cappelli e tutti si avviano verso casa, percorrendo la strada dove il ritorno del pick-up ha sollevato una polvere fina e bianca che il vento sta portando lontano. E adesso cosa farai, dice il figlio al padre, capofamiglia, erede unico della piantagione, dello spiazzo, della foguera e degli alambicchi, degli annessi e connessi per la distillazione, l’imbottigliamento o l’invecchiamento. Cosa faró, é semplice, accoglieró il delegato, saggeremo insieme il prodotto nuovo, gli lasceró i campioni per la delegazione e attenderó i sigilli. Ma perché, sei cosí sicuro che metteranno i sigilli, il grogue tu lo sai fare bene, non ci metti lo zucchero e butti via le code, se fermano te devono fermare l’isola. É quello che faranno, fermeranno l’isola e sara’ meglio per noi, perché se facessero una selezione e ne venisse fuori anche uno solo idoneo allora sarebbe il finimondo, monterebbe una rivolta e nessuno si fermerebbe e potrebbero anche far saltare la delegazione. Pausa. Questo il delegato lo sa. E quanto tempo staremo fermi, il governo é capace che tra regolamenti e commissioni lascia che passino anni senza mettere mano. Sguardo eloquente del delegato, a dire ecco il punto, se questa riforma prende tempo chi ci va per mezzo saremo noi, mica loro, perche’ noi siamo qui e chi come te attende risposte certo non se le aspetta da un ente invisibile ma dal suo interlocutore, e’ il gioco della burocrazia che usa le persone come schermo e le norme come ostacolo, e con quale scopo, quello di stancare, di lasciare ferme le usanze e di fermare le iniziative, quaeta non movere et mota quaetare, José quando parli cosí sembri un avvocato.
La fine é nota, come nel racconto di Holiday Hall: si comprerá tutti una licenza a caro prezzo; i controlli saranno affidati a nuovi funzionari che non ne sanno nulla oppure agli attuali che ne sanno abbastanza, e sarebbe un miracolo; di tanto in tanto arriverá un’ispettore dalla Capitale e si fará un po’ di teatro, che ci vuoi fare anche a Cabo Verde la vita é una commedia, e testimonia la distanza dal continente, visto che nel resto d’Africa la povertá rende la vita una tragedia; chi faceva un buon grogue continuerá a farlo, alla luce del sole o a quella delle stelle, e la differenza tra chi ne capisce e gli illusi sará come nel resto del mondo, affidata al bicchiere e alle etichette.
Foto di Helena Resende
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