A volte, passeggiando tra i vicoli e le strade di una città infinitamente grande e variegata come Napoli, capita di incontrare le persone più strane, le situazioni più incredibili, i personaggi più iconici del nostro folklore.
E poi, a volte, ma raramente, capita di incontrare folletti del nord Europa, pronti ad accoglierci e a condividere la loro vita e le loro idee.
E questo è davvero successo sabato, tra le case dell’entroterra napoletano, all’ombra, ma non troppo, di un Vesuvio silenzioso ed osservatore.
Beh, non è accaduto per caso, a dirla tutta. In fondo la gita mattutina, come se ne dovrebbero fare di più nel mondo dell’enogastronomia, ha portato un infreddolito gruppo di futuri sommelier della birra, nel microbirrificio Okorei, cooperativa di produzione e lavoro di Marigliano, come tappa del percorso di formazione organizzato dall’AIS Napoli.
Ad accoglierci, oltre ad un energico ed emozionato Alberto Mochetti, uno dei soci dell’azienda, c’erano piante di luppolo a fare da cornice all’insegna del Birrificio, un gatto con enormi occhi che… ma questa storia ve la racconto dopo.
Una volta entrati la curiosità di vedere una simile realtà è stata sostituita dalla voglia di saperne il più possibile sulla produzione della birra.
Ed è lì che tra magici e tecnologici strumenti moderni i nostri birrai hanno speso più di mille parole per raccontare come possano malto e acqua essere trasformati dal lievito in una delle bevande più amate del mondo. A volte, ma non sempre, in compagnia del verde luppolo.
Ed è andata così la mattinata, tra chiacchiere ed argomentazioni scientifiche, tra taralli e degustazioni informali che il nostro piccolo gruppo ha potuto saperne ancora di più su cosa voglia dire produrre la birra, con emozione e con passione, con forza e coscienza dei rischi sempre dietro l’angolo, tra temperature imprevedibili e lieviti capricciosi.
Ah il gatto, vero… so che non mi crederete, che darete la colpa agli effetti della bianca Beermana, della scozzese Tramalti, dell’Amarilla che strizza un occhio alle Ipa e della “biondissima” Nunenapils, ma io, nel frattempo, tra una foto e l’altra ho avuto la netta sensazione di scorgere un dispettoso diavoletto che provava a rubare le birre. Ed un gatto che, sornione e nero, la proteggeva per noi.
Ora, che sia vero o no ciò che vi ho detto, penso davvero che nel nostro territorio ci sia bisogno di più folletti che, certo, possono anche sbagliare talvolta, ma che provino a rischiare molto per portare sommessamente un po’ di coraggio e di orgoglio lì dove si è già detto molto ma fatto ancora troppo poco.
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