Di Gabriele Pollio
Visionario. Ogni volta che c’è Teo Musso in ballo ricorre questa parola.
La senti da chi lo ha conosciuto, la leggi nella sua autobiografia e negli articoli di giornale che lo riguardano.
Io non lo conoscevo, sapevo tutto o quasi sulla sua storia professionale ma non lo avevo mai incontrato. Ero curioso però, molto curioso di capire perché tutti (ma proprio tutti tutti) restano affascinati da questo personaggio.
Ci serviva solo un’occasione. Teo è uno che viaggia molto ma che a Napoli non passa spesso (quasi mai a dire la verità!). “A volte vorrei fare tutto ma ancora non sono riuscito a sdoppiarmi”, con questa frase si è presentato appena salito in auto…aveva appena concluso una telefonata con Angelo Gaja! Sdoppiarsi quindi. Obiettivo audace ma, per uno che ha inventato la birra artigianale in Italia, immagino possibile.
Dicevo che ci serviva un’occasione, e allora abbiamo pensato di coinvolgerlo come docente nel corso di Sommelier della Birra di AIS Napoli. Chi meglio del creatore di tutto il mondo Baladin (birreria, birrificio, pub vari e chi più ne ha più ne metta) avrebbe potuto spiegare come si fa una birra? Ci è servito qualche mese di corteggiamento ma alla fine Teo è arrivato.
Il tragitto dall’albergo alla sede del corso (Babette a Fuorigrotta) dura mezz’ora abbondante. Il tempo sufficiente per capire davanti a chi mi trovo. A me non sembra visionario e basta. Sa perfettamente di cosa parla e sa perfettamente come trasferirti ogni piccola sfumatura di quello che pensa. Quando si assaggiano le sue birre si ha la netta sensazione che dentro ci sia un’idea precisa delle emozioni di chi l’ha creata. Visionario si ma anche perfezionista.
La serata corre via veloce. Non si ha mai la sensazione di assistere a una lezione, piuttosto sembra una chiacchierata tra amici (parecchi amici visto il numero di presenti al corso!). Teo racconta la sua storia e fa sembrare anche i momenti più difficili una continua opportunità che ha saputo cogliere.
Vuole bene alle sue birre e si vede, gli vuole bene come lo si vuole a dei figli.
Le racconta, non le degusta.
Si parte dalla Wayan e si passa alla Nora. Rispettivamente il nome della figlia e della madre dei suoi primi due bambini. Birre che di canonico non hanno quasi nulla. La Nora, per esempio, prevede l’utilizzo di resine etiopi in luogo del luppolo.
Passiamo poi a due extraterrestri. La Metodo Classico 2015 e la Xyauyu 2013. La prima prodotta secondo il metodo classico degli spumanti con tutto quello che ne consegue: 18 mesi sui lieviti, sboccatura e così via. Utilizzo di lieviti abituati a “lavorare” con i whisky torbati della Scozia e che riporta la torbatura nella birra.
La seconda la spiego con una frase di Teo: “Questa è la birra con cui ho convinto mio padre, contadino delle Langhe, a bere birra dopo 87 anni durante i quali aveva bevuto solo vino”. Siamo su un altro pianeta rispetto ai sentori delle birre terrestri. Niente gasatura, niente schiuma. Temperatura ambiente. Un barley wine “da divano”.
Visionario e perfezionista. Imprenditore di successo e genio sregolato. Insomma, il Maradona della birra. Ma non ditelo a lui…il calcio non gli piace.
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