Di Ada Natale
Da stasera, infatti, ufficialmente da domani, in tutte le librerie d’Italia potrete finalmente trovare il libro “Il respiro del vino”, edito da Mondadori, scritto dal prof. Luigi Moio e illustrato da me. Da me!
Ho sfidato il diluvio universale quando ho saputo al telefono che il libro era arrivato alla libreria Mooks di Piazza Vanvitelli: mi sono messa sul mio fidato motorino, fregandomene del fatto che ho un occhio irritato che sembro Nosferatu e che non avrebbe dovuto prendere freddo, e sono andata di corsa in libreria, scansando sciuliamazzi e scivolate su tutti i tombini bagnati della città, perché dovevo raggiungere prestissimo e stringere tra le mie mani quella che considero un po’ anche una mia creatura. E l’emozione più grande è stata pagare alla cassa il libro con il mio nome scritto dentro e dire “ciao, eh, io sono l’autrice dei disegni!”
“Disegni di Ada Natale”, così campeggia sul frontespizio. Maronna. Quasi quasi ancora non ci credo.
Sono ritornata a casa con la pioggia in faccia, cantando a squarciagola per la strada “Don’t stop me now” dei Queen e ho sentito dentro al cuore un sentimento di infinita soddisfazione, di incredibile felicità. Aspettavo da due anni questo momento e che fosse arrivato finalmente, e addirittura un giorno prima del previsto, mi ha spiazzata di enorme contentezza. Uno dei miei sogni oggi si è realizzato e io non sto nella pelle.
AVVERTENZA: la notizia bomba ora ve l’ho detta, ma da adesso in poi il post è più che altro per chi mi vuole bene ed è curioso di conoscere la storia di questo libro, mentre a coloro che si annoiano di leggere il papiello che seguirà, posso solo dire che, se saranno interessati a leggere un libro che va a fondo nella comprensione del vino, della sua natura, dei suoi profumi, della sua struttura, non posso che consigliare di andare in libreria ad acquistare una copia de “Il respiro del vino”, perché, garantisco, è una lettura che affascinerà neofiti e appassionati: la sfida di Luigi nello scrivere questo libro è stata proprio quella di trovare un linguaggio adatto a un pubblico quanto più vasto ed eterogeneo possibile e io credo che ci sia riuscito. Se lo leggerete, se lo regalerete, buona lettura e fateci sapere.
Bene, ora salutati i lettori pigri, comincia la parte pseudoromanticona e sentimentale del post, i ricordi, le emozioni, com’è nato tutto, ovvero il racconto di quella che per me è stata e sarà per sempre nella memoria una delle più belle esperienze professionali e di vita vissute.
Come sia finita a disegnare per la Mondadori è stato frutto di un fortuito e fruttuoso incastro di luoghi e persone. So di essermi trovata al posto giusto nel momento giusto, è passato un treno in corsa davanti a me e ci sono salita su al volo, senza esitare. L’audacia è uno dei pochi grandi meriti che mi attribuisco spesso, pur nella mia sempre vigile autocritica.
È iniziato tutto nell’estate del 2014 quando, durante un pranzo a Quintodecimo, nella sua casa, Luigi mi disse che la Mondadori gli aveva da poco proposto di scrivere un saggio sul vino e che lui stava cercando qualcuno che, matita alla mano, desse forma alle sue idee. Voleva un illustratore che lo seguisse nei suoi giri di pensieri folli. Quasi per scherzo, gli dissi “eccomi!”, vergognandomi dopo un attimo della mia insolita sfacciataggine, ma ormai l’avevo detto. Mandai giù un gran sorso del suo ottimo vino, perché in certi casi, quando la lingua parte prima che il cervello la freni, è bene ubriacarsi all’istante, così che dopo si possa avere nell’alcol una scusante validissima per le cavolate dette… E invece Luigi dopo la mia esclamazione mi guardò con un certo stupore, sorrise curioso e mi disse “Veramente? Vuoi farlo tu? Guarda che per me va bene.”
BOOM. Un botto nel cuore. Se non sono morta d’infarto quel giorno, allora sarà che sono immortale. Non ci potevo credere, avevo osato per gioco e invece Luigi a quel mio gioco aveva risposto di sì, immediatamente. Gli bastò vedere pochi miei disegni sul taccuino degli schizzi che avevo con me all’epoca e annuì. Stretta di mano, brindisi, sodalizio iniziato. In un primo momento ebbi un sacro timore di una situazione così più grande di me: io su un libro Mondadori? Non ci avrei creduto se il giorno prima me lo avessero detto, ma mi feci coraggio presto, pensando che se un uomo così attento, scrupoloso, letteralmente fissato per la perfezione, mi avesse scelta senza scomporsi affatto, tra l’altro per un progetto così importante per lui, qualcosa voleva pur dire: mi stava dando una fiducia enorme e mi dissi che gliel’avrei ricambiata con il massimo del mio entusiasmo e del mio impegno. E così è stato. Non serve adesso che io vi dica chi è Luigi Moio: se non lo conoscete ancora, basta andare su google per capire che se in Italia c’è un uomo che conosce davvero il vino, che lo ama profondamente e che con grande semplicità insegna agli altri ad amarlo, quello è Luigi.
Abbiamo lavorato con tempi diversi, per quasi due anni: lui dapprima alla scrittura, collezionando pagine e pagine di idee, appunti, bozze, capitoli incompleti, indici, bibiliografie, poi io alle immagini, prima a matita, poi in digitale, con scambi di ruolo continui nel supervisionare il reciproco lavoro e un’accelerazione spaventosa nei mesi finali, in cui siamo stati gomito a gomito, alla scrivania del suo studio, per giorni e notti intere, ma nel vero senso della parola. Siamo stati due macchine da guerra instancabili, lui più di me, e anche quando a un certo punto ci pareva di impazzire nel vedere che il libro non finisse mai, perché ci venivano ogni tanto nuove idee su cui confrontarci, non abbiamo ceduto alla stanchezza, abbiamo resistito per onorare tutte le idee che si affacciavano alle menti. E in tanto tempo non c’è stato spazio per la noia, ma grazie ai continui stimoli ci siamo vicendevolmente sostenuti e incredibilmente mai scontrati, considerati i reciproci caratterini niente male. Un bellissimo incastro di equilibri.
A volte ripenso a quei giorni frenetici e creativi. Ripenso alle finestre dello studio di Luigi, da cui ho visto cambiare la luce delle giornate, l’aria delle stagioni, i colori della sua vigna; ho sentito i profumi degli alberi e dei fiori che dal giardino arrivavano fin su nella stanza, diversi di mese in mese, riempiendo quelle pareti cariche di libri di suggestioni olfattive, mentre scrivevamo e disegnavamo proprio di molecole odorose; si parlava di sensi e i sensi erano all’erta. Siamo stati ore e ore in totale silenzio, concentrati ognuno davanti al suo Mac, tanto che sembrava di sentire il ronzio dei nostri cervelli oltre a quello delle ventole, affannate a raffreddare i computer torturati dalle dita veloci; ho visto pile di libri e di articoli scientifici accumularsi sul pavimento e sulle sedie in ordine rigidissimo, tanto che in quel mare di pagine, che a me inizialmente parevano forsennatamente ammucchiate, mai ho percepito uno smarrimento da parte di Luigi nel cercare e trovare subito i riferimenti utili alla sua scrittura. Lo osservavo, sicuro nei gesti, e avevo la sensazione di essere il fortunato co-pilota di un abile comandante che, pur in alto mare, tra onde di carta, grafici e parole, avrebbe riconosciuto perfettamente la rotta per portare la sua nave finalmente in porto.
È stata un’esperienza veramente intensa, umana e professionale: ho imparato da Luigi cosa siano la disciplina e il rigore scientifico, ho imparato ad adattarmi alle immagini partorite da una mente tanto diversa dalla mia, sedendomi al centro dei pensieri creativi di un uomo indubbiamente preparatissimo nel suo campo, rapido nell’intuire e nel correre anche oltre l’intuizione, e che andava acciuffato e riportato a terra mentre svolazzava, visionario, tra le sue idee, raccontandomi come lui “vedeva” l’invisibile, ovvero il profumo del vino, il suo respiro. Perciò abbiamo cercato insieme il modo migliore di far vedere l’invisibile agli altri e l’esperimento collaborativo è riuscito a perfezione, con immediata sintonia di intenti e di vedute, nonostante le mie iniziali perplessità dovute alla maniacale tendenza alla pignoleria millimetrica di Luigi, cosa che da principio mi aveva disposta in modo vagamente ostile e disfattista nei suoi riguardi, poiché temevo che mi avrebbe fatta impazzire più di quanto io non fossi già di mio fuori di testa e invece ci siamo democraticamente accordati tra pazzi; con lui in qualche modo mi sono domata, perché gli ho riconosciuto molto presto un carisma fuori dal comune e una forte capacità di coinvolgermi nelle sue idee, aspetti che meritavano tutt’altro che antipatia, ma grande stima e voglia di essere all’altezza del suo progetto.
E così abbiamo creato, pensato, imprecato, sofferto, penato, a volte riso per scaricare la tensione, ci siamo scemuniti a correggere ogni cosa mille volte, abbiamo consumato cd di Pino Daniele, Stevie Wonder, Ludovico Einaudi e Michel Petrucciani, tanto che ormai associo i loro brani ai lunghi mesi di lavoro e quasi non riesco più ad ascoltarli, perché appena parte una loro nota mi piglia l’ansia traumatica da consegna del libro, per quanto ormai sia bello e stampato e ce l’ho qui accanto a me; abbiamo bevuto litri di tè verde con biscotti ai cereali, abbiamo scansato – non sempre! – cadute rovinose per non pestare i Lego sparpagliati sul parquet dal piccolo e adorabile Ale, il mio amichetto super carino, che è stato la nostra compagnia costante nei mesi, lui che con i suoi ricciolini, le sue battute e la sua vocetta squillante, spuntava all’improvviso nello studio del suo papà perché voleva giocare e io, non potendo accontentarlo per via dei tempi stretti, gli facevo fare il gioco del controllore dei miei disegni, e se ripenso con quanta cura del dettaglio, pure lui, peggio del padre, mi segnalava cosa sistemare nei miei disegni, mi viene una gran tenerezza e gli sorrido da lontano. E ripenso anche a Raffaele, che ha percorso insieme a noi una parte di questo cammino, e ai nostri disperati blitz musicali per tentare invano di ascoltare i Queen o i Led Zeppelin, quando ci sarebbe servita la carica per lavorare con più grinta… blitz che poi si rivelavano sempre fallimentari e noi due ne sorridevamo, disperati e rassegnati. Durante i mesi di lavoro comune Luigi si è rivelato, ahimè, decisamente poco rockettaro, ma un tremendo difetto insopportabile ce lo doveva pur avere quest’uomo, o no?
E ripenso anche a Laura e la ringrazio per l’ospitalità e per aver sopportato con pazienza i ritmi frenetici imposti a tutta la famiglia dal nostro lavoro incessante, così come ringrazio Rosa, Chiara e Michele, che da vicino e a distanza sostenevano e incoraggiavano i nostri sforzi; ma ovviamente il mio più grande, più sentito, più entusiasta e più felice “grazie” va a Luigi, un uomo a primo impatto difficile, complesso, pieno di sfumature caratteriali a volte anche palesemente contrastanti e spiazzanti, ma con cui è stato davvero bello dividere la fatica e ora la gioia di questo libro, poiché mi ha dato il piacere, l’onere e l’onore di stare al suo fianco in questa bellissima impresa, che all’inizio sembrava un sogno e che invece è diventata una cosa vera e ora ha la forma di un mattone di ben 504 pagine scritte e disegnate.
Vorrei dire un mare di altre cose, ma mi devo fermare, sono una pericolosa grafomane quando sono felice, e perciò concludo con questo invito: se il 2 dicembre vi terrete liberi, amiche e amici cari, io vi aspetterò tutta pimpante alla presentazione del libro a Napoli, in seguito vi dirò bene dove e quando si farà, per poi brindare tutti insieme e ubriacarci di vino, di bellezza e di allegria.
Grazie, ora potete tornare a respirare, il post è finito e io me ne torno a fare le coccole al mio libro!
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