Nell’arte si è sempre discusso del rapporto tra fascino, bellezza e imperfezione e solitamente l’imperfezione è definita adottando come punto di riferimento un genere, un canone, una legge per cui sarebbe imperfetto quel qualcosa che ha troppo o troppo poco rispetto a tale genere, canone o legge. Eppure non è detto che ciò che è imperfetto sia necessariamente privo di fascino e incapace di trasmettere emozioni: se così fosse non si comprenderebbero le celebrazioni che la storia ha riservato all’imperfezione tanto nell’arte (la Venere di Milo) quanto nell’estetica (lo strabismo di Venere, il naso di Cleopatra, ecc.) e questo perché evidentemente il fascino è fenomeno sfuggente e non ha nulla a che vedere né con la perfezione né con la bellezza.
Lo stesso discorso può valere, fatte le debite differenze, quando si passa ad un altro senso umano –quello del gusto – e alla degustazione del vino. Cosa dobbiamo ricercare in un vino? La sua perfezione? I profumi al posto giusto, il perfetto bilanciamento dell’equilibrio, e le sensazioni, certo eleganti, che si ritrovano anno dopo anno al punto tale che possiamo finanche prevederne tanto le caratteristiche nel calice quanto il loro corredo gusto-olfattivo? Oppure possiamo lasciarci affascinare dal fatto che la perfezione anche in un vino abbia bisogno di una piccola imperfezione? Come giudicare quel qualcosa di inatteso, che sorprende, che emoziona, e che casomai inizialmente non riusciamo a decodificare, ma che dona a questo vino un anima?
Ebbene il tema dei vini imperfetti, vini che sono “alla perenne ricerca di un equilibrio”, che potrebbero non trovare mai, e che forse proprio per questo sanno emozionare più di altri, è stato l’oggetto di due interessanti degustazioni (l’8 luglio e il 22 luglio) dedicate proprio ai ‘vini storti’ e magistralmente guidate da Tommaso Luongo delegato dell’AIS Napoli, presso il Wine & Sparkling Granafine. In questa sede passiamo in rassegna i vini oggetto della degustazione svoltasi il 22 Luglio. La batteria di vini proposti, serviti in abbinamento con le raffinate creazioni culinarie del locale e serviti con la consueta competenza e passione dai tre proprietari (i due Giuliano e Federica), tutti sommelier, due AIS e uno Fisar (ma non è colpa sua, ndr :-) ), si è rivelata particolarmente interessante:
– Champagne Brut 1er Cru di Yves Ruffin, Avenay Val d’Or
– Maximin Grünhäuser Herrenberg Riesling Kabinett 2011 di Carl von Schubert, Mosel
– Noir, Pinot Nero, Abbazia di Crapolla, 2011 il “Mister X“ della serata servito alla cieca
– Gattinara DOCG 2010 di Travaglini, Gattinara
Questi vini, infatti, per un motivo o per un altro sono “storti”: sono cioé vini diversi, atipici, molto spesso richiedono di essere attesi per poter essere compresi appieno. Sono però vini dotati di personalità, hanno carattere da vendere ed un anima come pochi altri: è proprio questo che li rende affascinanti.
La degustazione
Champagne Brut 1er Cru di Yves Ruffin, Avenay Val d’Or
La …‘diversità’ di questo champagne risiede nelle tecniche di conduzione in vigna e nelle pratiche di cantina adottate dall’azienda. Yves Ruffin, infatti, ha svolto un ruolo pioneristico nella regione della Champagne sin dal 1971 quando ha ottenuto la certificazione di agricoltura biologica, con una scelta per l’epoca in netta controtendenza (e che per certi versi lo è ancora oggi) rispetto alle pratiche dei vignaioli della regione improntate all’uso di pesticidi e diserbanti come trattamenti antiparassitari e dei fertilizzanti chimici. In secondo luogo, la vinificazione e l’affinamento sono svolti interamente in legno, in botti di acacia con parecchi anni di vita sulle spalle in modo da favorire la micro ossigenazione del vino con una ridotta cessione di tannini. Lo stile di vinificazione seguito dalla maison, quindi, cerca di ridurre al massimo l’invadenza talora propria del legno con un controllo ossidativo rigoroso, soprattutto nel primo stadio evolutivo. Si tratta di uno stile in cui dal punto di vista delle sensazioni organolettiche l’apporto del legno è solo intuito: esso non crea ‘distrazioni’ alle fragranze fruttate e a quelle collegate all’autolisi.
Note di degustazione
Una livrea oro scintillante ed un perlage sottile ed elegante sono il biglietto da visita di un vino di grande stoffa e personalità. L’olfatto è scandito da un rincorrersi di sentori che iniziano su lievi note fumé intessute con sentori di albicocca e pesca bianca, per poi virare verso il pan di spezie, le noisette ed i biscotti alle mandorle e chiudere infine con nuance di burro fuso e miele. L’incedere del sorso è ricco e scandito da un perfetto equilibrio tra l’avvolgenza del gusto e la verticalità impressa da freschezza e dalla sapidità, il tutto su lunghi ritorni aromatici di frutta e note gessose.
Maximin Grünhäuser Herrenberg Riesling Kabinett 2011 di Carl von Schubert, Mosel
Riesling, un’uva la cui origine è avvolta nel mistero e che entra di buon diritto nella categoria dei vini ‘storti’. Le sue caratteristiche, infatti, ne fanno un unicum: matura tardi, molto tardi per i paesi del Nord che per tradizione invece vendemmiano molto presto. Nella regione della Mosella, terra di estremi, di suoli a base di ardesia e di scorci verticali, il Riesling trova le condizioni ideali per rendere al meglio: le escursioni termiche e i suoli minerali conferiscono intensi profumi tra cui gli inconfondibili sentori di pietra focaia e idrocarburi. Soprattutto, nel maturare il Riesling fa una cosa che nessuna altra uva riesce ad eguagliare: raggiunge una dolcezza elevatissima mantenendo una elevata acidità. Origina un vino quindi che fa della freschezza, del basso tenore alcolico e delle decise percezioni zuccherine le proprie caratteristiche principali. Tanto lo zucchero quanto l’acidità tendono a favorirne la conservazione rendendolo un vino praticamente eterno in grado di durare nel corso dei lustri e non è un caso d’altronde che, a parte i vini liquorosi, proprio i Riesling renani siano tra i vini più longevi del pianeta. Ad esempio, erano Riesling i vini in cui si imbatté Thomas Jefferson, il terzo Presidente degli Stati Uniti, quando, nel corso della sua permanenza in Europa dal 1784 al 1789 in qualità di ambasciatore in Francia, si trovò nell’albergo della Grande Casa Rossa di Francoforte. La carta dei vini in vendita, infatti, includeva annate che risalivano fino a sessant’anni prima. Verosimilmente era sempre appartenente alla famiglia del Riesling il vino più antico mai bevuto, aperto nel 1961 a Londra dopo quattrocentoventuno anni di conservazione in bottiglia: si trattava, come ci racconta Hugh Johnson (Il vino. Storia, tradizioni, cultura, 2012, 429), di uno Steinwein, cioè un vino proveniente da un vigneto chiamato Stein, nei pressi di Würzburg sul fiume Meno vendemmiato nel 1540 (ventiquattro anni prima della nascita di Galileo).
Note di degustazione
Paglierino luminoso con riflessi verde smeraldo. L’assetto olfattivo, maestoso e opulento, regala sentori di albicocca, ananas, mela e melone per poi assestarsi su note di agrumi canditi e sbuffi di spezie dolci e chiudere, infine, su note di idrocarburi e di pietra focaia. Sorso in linea con l’olfatto, glicerico e vellutato ma ottimamente bilanciato dalla sferzante acidità e da una martellante sapidità a testimonianza della sua potenziale, e disarmante, longevità. Si congeda con eleganza su echi di frutti canditi e ricordi minerali.
Noir, Pinot Nero, Abbazia di Crapolla, 2011
In una ipotetica gerarchia di vini ‘storti’, il Pinot nero occupa senz’altro una posizione di rilievo soprattutto quando proviene, come nel caso del campione in degustazione, da un territorio che non può essere certo definito come la sua terra d’elezione. Il territorio in questo caso è rappresentato dagli splendidi declivi a picco sul mare della Penisola sorrentina e l’azienda è l’Abbazia di Crapolla a San Salvatore a Vico Equense. L’azienda dal 2007 ha dato vita ad un progetto di grande suggestione: piantare in quelle vigne a 300 mt. sul livello del mare, e dislocate su diverse piane, 2000 esemplari di pinot nero in modo da sfruttare al meglio il particolare microclima locale, caratterizzato da grandi escursioni termiche e dall’influenza delle correnti d’aria provenienti dal mare; un clima che poneva grossi dubbi circa l’adattabilità delle varietà autoctone a bacca rossa. Una scelta, dunque, altamente inusuale e che insegue una associazione, solo apparentemente azzardata, tra questo particolare lembo di terra della Campania e la Borgogna. A ben vedere, il modo più semplice per cercare la Borgogna rossa nel nostro paese sarebbe quello di visitare l’Alto Adige (dove il pinot nero è conosciuto con il nome blauburgunder); in alternativa si potrebbe pensare all’Etna dove solo recentemente ci si è accorti delle potenzialità derivanti dalle affinità elettive con questa regione francese. Tuttavia, ridotte esposizioni al sole, terreni similari e grandi escursioni termiche, che donano quindi profumi intensi ed eleganti, caratterizzano anche quest’angolo di Penisola Sorrentina. Infine c’è il vitigno, il pinot nero, che per definizione è ‘storto’. Scorbutico, di difficile adattabilità e delicatissimo, odia il sole ma è soggetto facilmente a marciumi, e origina un vino che non ha un colore invitante: rosso rubino scarico, molto simile al nebbiolo. Insomma, una Borgogna …Campania style.
Note di degustazione
Radioso manto rubino, trasparente. Impianto olfattivo elegante: incipit su note di mirtilli rossi e ciliegia; poi note floreali coronate da sbuffi di cuoio, polvere di caffè e rabarbaro. Il sorso è caratterizzato da una vivace freschezza avvolta da moderato tenore alcolico e sfuma su di una trama tannica ancora astringente.
Gattinara DOCG 2010, Travaglini – Bottiglia Imperiale
Il nebbiolo è uno dei vitigni più difficili al mondo. Acini piccoli e fitti, ciclo vegetativo molto lungo; precoce nel germogliamento e nella fioritura, matura tardi e quindi viene vendemmiato tardi esponendosi ai rischi climatici derivanti dai primi freddi. La buccia di quest’uva è povera di antociani, le sostanze che danno colore al vino rosso, e determina pertanto un vino particolarmente scarico di colore e che risulta a volte poco invitante. Nel calice è un vino di non facile interpretazione. Esso, infatti, tende a rievocare precisamente le caratteristiche del territorio e, come avviene nel caso del vino in degustazione (proveniente da una denominazione a volte ingiustamente sottovalutata – Gattinara DOCG), riflette tanto le spigolosità (maggiori rispetto al nebbiolo delle Langhe) causate dall’alta concentrazione di ferro che caratterizza il territorio delle colline vercellesi, quanto l’intrigante mineralità che deriva dalla particolare composizione del terreno (che ricorda quello delle vicine Alpi: il Monte Rosa è a due passi!) a base di granito, porfido, e come detto ferro, e che conferisce eleganza e finezza al vino. Un vino ‘storto’, che, e qui risiede un altro aspetto di rilievo, è presentato in una bottiglia anch’essa molto particolare. Nel 1958, infatti, Giancarlo Travaglini, il fondatore dell’azienda, ideò una particolare bottiglia in grado di trattenere il naturale sedimento che il vino con il trascorrere degli anni tende a formare, consentendo di servire il vino direttamente nel calice e di evitare quindi le operazioni di decantazione e di scaraffatura. Si tratta di una vera e propria opera d’arte che da allora è diventata in un certo senso il simbolo del Gattinara in tutto il mondo. Particolarità nella particolarità, nella degustazione in esame il vino è stato servito da una bottiglia Travaglini ‘Imperiale’ dotata di una capacità di 3 lt. e corrispondente quindi alla Jéroboam della nomenclatura utilizzata per lo Champagne.
Note di degustazione
La mescita da una bottiglia Imperiale ha richiesto di attendere che nel calice il vino emergesse in tutto il suo splendore dopo il lungo periodo di riposo in una bottiglia di 3 lt.
Manto granato, ancora ricco di luce. Cornice olfattiva esemplare caratterizzata da un’incalzante progressione: ciliegie, more e ribes in confettura aprono la strada ad un rincorrersi di note floreali, su tutte la viola appassita, per poi virare ed intrecciarsi con nuance di cuoio e sentori minerali e ferrosi. Il palato è in sintonia perfetta con l’olfatto. Il sorso riempie il palato e lo avvolge grazie alla struttura autorevole e al ritmo impresso da una freschezza mai doma e dall’elegante trama tannica. Finale lungo e coerente incentrato su echi speziati e minerali.
costumato a sorvolare senza leggere i resoconti di degustazione, provando indifferenza per il “vino di carta” cui preferisco quello nel mio calice, la struttura del racconto di Marco ha agganciato l’occhio e ho cominciato la lettura. Meno male, perché stile e ricchezza del contenuto meritano. Ecco dieci minuti ben spesi, al termine dei quali esco dalla lettura con il gusto di una buona novitá e la curiositá di saperne di piú. Fosse cosí tutte le volte… Grazie Marco, scriva di piú per favore.