Quando osservate le stelle, guardate la loro luce che attraversa lo spazio e, dopo un lungo viaggio, arriva a impressionare la vostra retina e, quindi, a diventare oggetto della vostra mente che l’inserisce nella rappresentazione del mondo nel quale vi muovete. Ne consegue che quanto voi osservate è un qualcosa che è accaduto molto, molto tempo fa. Il presente astronomico non esiste e se doveste imbarcarvi su un’ipotetica astronave per tentare di raggiungere una di quelle lucine nel cielo, lo fareste soltanto sperando che quell’astro esista ancora o esisterà ancora nel momento in cui l’avrete raggiunto.
Ma c’è di più. Guardate la vostra mano: è la vostra, ma esiste ancora nel momento in cui la vedete? Non ne avete alcuna certezza, perché la mano che vedete è, anch’essa, nel passato. La luce s’imprime nel vostro occhio un attimo dopo essere stata riflessa dalla mano. Poi quella stessa luce viene incanalata attraverso il nervo ottico, per arrivare al cervello che attiva le proprie reti di neuroni e crea la rappresentazione della mano. In questo percorso altro tempo è passato, sicché ciò che state osservando non è la vostra mano, ma quel che era la vostra mano un millisecondo fa.
Ne possiamo dedurre che non solo il presente astronomico è inconoscibile, ma il presente in sé è del tutto inafferrabile. Solo il passato ha una qualche concretezza e tutti i nostri atti, tutta la nostra ricerca scientifica, sono rivolti al passato. L’unico spazio in cui possiamo permetterci d’emendarcene, è l’immaginazione che crea il presente e che prospetta il futuro.
Cosa c’entra tutto questo con il libro di Franco De Luca “La chiameremo vita”
vi chiederete certamente voi. Seguitemi ancora un attimo e ci arriviamo.
Se l’unico spazio analizzabile scientificamente, in qualche modo misurabile, è il passato, allora che cos’è il tempo? Pensateci: il tempo serve a misurare il fluire di passato, presente e futuro. Ebbene il tempo, lo sappiamo bene, è un concetto estremamente flessibile, che si è modificato di civiltà in civiltà e che varia la sua velocità di uomo in uomo e persino di età in età. Scorre più lento da giovane, più veloce da vecchio.
Però, soprattutto, il tempo è una gabbia politica, è uno strumento di potere: chi decide il tempo, domina gli uomini. Gli imperatori cinesi erano i sacerdoti del calendario, che stabilivano i tempi della semina e del raccolto. Nelle nostre città le torri con l’orologio dei comuni si confrontavano con le campane delle chiese in un infinito conflitto tra potere temporale e potere secolare che ancora oggi non ha trovato una soluzione.
Chi ha già letto il libro di Franco, forse, a questo punto ha cominciato a capire dove voglio andare a parare. Chi non l’ha ancora letto si starà incazzando: “Vuoi parlare di ‘La chiameremo vita’, perché ci ammorbi con questo sproloquio sul tempo?”
Al tempo!
Abbiate pazienza ancora per qualche secondo e tutto vi sarà chiaro.
Vedete, io avrei potuto parlarvi della trama di questo libro, ma oltre a rovinarvi il gusto di scoprirla, avrei fatto solo una gran confusione. E’ un libro corale, una saga familiare, che nasconde un mistero. Ma tra i tanti protagonisti, io ne ho individuato uno non dichiarato.
Ed è appunto il tempo!
Non solo per lo schema di questo romanzo in cui il dopo sta prima, il prima sta dopo e infine il dopo torna alla fine per coagularsi col prima. Ma perché il tempo sgorga da ogni pagina. E, se nella prima parte ambientata a Napoli, il tempo è soprattutto tempo della musica, della magnifica musica partenopea con le sue passioni e le sue ironie, a Roccaspina – abitata dai personaggi che riconoscerà chiunque come me provenga dalla provincia meridionale – il tempo è in metamorfosi. E’ il tempo delle vite e il tempo della vite. Le vite dei protagonisti, che Franco segue con magistrale tenerezza. La vite, il suo raccolto, il processo di vinificazione. Ed è anche il tempo politico, quello di un campanile col suo orologio, segno di potere agognato e strumento di ribellione realizzata. E’ il tempo dell’orologiaio, tempo lungo di vendetta, scandita dal tic tac di una gamba di legno costruita artigianalmente. Ed è il tempo ingannevole in cui qualche vivo è morto, e tanti morti sembrano ancora vivi, in un ulteriore rimescolamento delle carte del tempo, che lascia storditi.
Allora, in questo tempo di Roccaspina, in cui ogni cosa, ogni acino di vita viene travolto dal tempo, chi è l’unico ad avere la bussola per non perdervisi?
E’ il matto, lo strano, quello che avrebbe ogni diritto di essere protetto e infine è lui a proteggere. E’ l’homo sacer, che non a caso Franco ha chiamato Santo. E’ il ragazzo che come animale da compagnia si tiene un cinghiale. Quello che si fa strumento di un disvelamento del mistero che sembra avere tutte le caratteristiche di un’illuminazione buddista.
Il Buddha storico ricevette la sua illuminazione – la “bodhi” che i giapponesi chiamano “satori” – sotto un albero. E, come l’illuminazione consiste nel trascendere il tempo, così sotto un albero tutto si fa chiaro… ma non vi dico altro, altrimenti rischio di raccontare troppo.
Ecco, questa è la chiave di lettura che io ho usato per entrare in questa storia. Quella del tempo. Ora tocca a voi individuare la vostra chiave di lettura. Prendete questo libro, ora, leggetelo. Fatelo subito, non date tempo al tempo. Dedicateci un po’ del vostro tempo.
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