Di Luca Massimo Bolondi
Torta, attorcigliata, stesa per metri in linee tormentate, spezzate, terminanti in piccoli ciuffi verde tenero di foglie rade, avvinghiata agli alberi e agli arbusti intorno, come a garantirsi dall’espianto, opera difficile perfino a pensare, basta guardare il ceppo enorme saldamente radicato nel suolo roccioso, tronco testimone di longevitá, imprevedibile alla latitudine equatoriale. Sopravvissuta perché ben nascosta, all’angolo di un frutteto abbarbicato a quasi millecinquecento metri di altitudine, in cima ad una conca vulcanica al culmine di una ribera di canyon profondi, luogo oggi accessibile ai veicoli a motore e fino a ieri raggiungibile solo a dorso di mulo dopo ore di cammino.
Santo Antão é un’isola, la propaggine estrema ad ovest del continente africano, parte dell’arcipelago di Cabo Verde. É un territorio montagnoso, dai profili aguzzi, geologicamente giovane, solcato da valli profonde chiamate riberas. É un’isola a due facce, quella esposta agli effetti incessanti dell’aliseo, vento di nord-est salso e perenne, che insieme al sole a picco asciuga la terra sino a farne un deserto, e quella riparata grazie ai rilievi e alle erosioni, che ospita una vegetazione ricca grazie al terreno fertile e alle acque che appaiono dalle rocce come nel miracolo della pietra spaccata. La coltivazione principale oggi é la cana sacarina, dalla quale si produce il Grogue, acquavite agricola di ottima qualitá, ma si tramanda che in passato fosse la vite la protagonista dei coltivi terrazzati di questo gioiello africano.
Sentita nominare dai vecchi di Porto Novo come una leggenda, la vigna era scomparsa dal catasto agricolo fin dalla fine degli anni sessanta, quando la morte dell’ultimo coltivatore della famiglia Morais di Catano aveva interrotto una tradizione di innumere generazioni che custodivano i residui del vigneto santantonense e della sua pratica vinicola. Ultime vestigia perché dal 1765 un editto del Marqués de Pombal, primo ministro della corona portoghese, aveva sancito l’estirpazione delle piante dall’isola al fine di non contrastare l’esportazione vinicola del Douro in Brasile. Il coltivo della vite era sopravvissuto clandestinamente, ad uso familiare, progressivamente soppiantato dalla piú redditizia canna da zucchero.
La vigna perduta viene scoperta quasi per caso, sbagliando strada, come accadde a Ulisse e ai principi di Serendip. Durante una missione sull’isola, accompagnando l’amico Blaise Menuet in cerca di locande per completare il suo portafoglio di offerta turistica, seguendo le indicazioni di un contadino ci si inerpica con il fuoristrada lungo una salita tutta curve e sassi, in un paesaggio mozzafiato di guglie di basalto e prati con le mucche pezzate al pascolo, uno strano ma armonico misto svizzero-equatoriale. Quando la strada diventa definitivamente sentiero e anche la jeep si dichiara impotente, un ragazzino chiamato per sapere dove siamo dichiara il nome del luogo, che a Blaise conferma essere sulla via sbagliata e a Luca fa accendere una scintilla di memoria. Dopo qualche domanda il ragazzino si offre di accompagnarli dove, dice, si trova una pianta di uva. Entrambi pieni di curiositá, lo seguono scalando un cammino da capre quasi verticale, fino ad un grande terrazzamento. É un frutteto con giardino, davanti ad una piccola casa padronale, immerso nel silenzio, e il ragazzo, dopo aver inutilmente dato la voce, annuncia che il padrone é fuori, forse a casa, nel villaggio.
Passato il primo momento di impasse, i due visitatori si rivolgono al ragazzo quasi in coro e chiedono di mostrare loro la pianta di cui parlava. Torta, estesissima e incolta, una vite poderosa, piena di rughe e di incisioni emerge dalla terra giallastra, all’ombra, e si estende addosso agli alberi vicini; il tronco quasi nero ha un diametro di circa venti centimetri, i rami sembrano braccia e al termine dei sarmenti ecco foglie nuove verdissime, poche, ma i rami sottili sono pieni di gemme. É febbraio, é luna piena, é stagione asciutta a Cabo Verde, sono le condizioni ideali per trarre talee. Luca ha un temperino con se, e in pochi lunghi minuti si improvvisa chirurgo ancor piú che potatore, con le mani quasi tremanti per l’emozione, con tutto l’amore e la cura che si possono dedicare a un monumento vivente. I due predatori discendono dal giardino quasi di corsa, salutano la loro giovane guida che li guarda allontanarsi in preda all’euforia, per andare in cerca del padrone dell’ultima vigna, ritrovata.
Con il tesoro trafugato ben nascosto sul lunotto posteriore del fuoristrada, i due viaggiatori si avventurano sull’altro lato della ribera, dove un vicino di casa del padrone della vite ha detto che lo avrebbero potuto trovare, in un’altra proprietá della famiglia. Con l’aiuto del telefono cellulare il signor Morais viene contattato, concede un incontro, lo si va a trovare in cima ad un altro viottolo, tra le mucche pezzate e le costruzioni in pietra e paglia. Un pezzo d’uomo alto grosso e loquace che, vinta la prima diffidenza, racconta del padre amante di quei luoghi, dei fratelli quasi tutti emigrati o in cittá e di lui unico ed ultimo custode delle terre e della vite che, assicura, d’estate regala ancora tanti grappoli dolcissimi di moscato bianco, per la gioia dei passeri e la dannazione del vicinato. Blaise e Luca non sono gli unici ad aver visitato la Quinta e Morais confessa che piú volte negli anni sono venuti funzionari dell’MdR (il Ministero dell’Agricoltura caboverdiano) e ricercatori universitari e cooperanti internazionali a fare rilievi e lasciare promesse.
L’ultima vite di Santo Antão rimane lassú, nell’angolo del frutteto in cima alla ribera, in attesa di una potatura decente, godendosi una lunga e meritata vecchiaia negli sprazzi di sole tra le foglie, e se la natura ha un progetto e una coscienza diffusa, allora la pianta puó vegetare soddisfatta, consapevole del fatto che nell’isola vicina, otto sue piccole creature, in altrettanti vasi di incubazione, stanno mettendocela tutta per spaccare le gemme e spingere le radichette in un composto miscelato con amore da due cinquantenni, un francese e un italiano, appassionati e animati da inesauribile entusiasmo.
La storia dell’ultima vigna ha una grande forza evocativa a tratti onirica. La sensazione che suscita è quella, in parte di essere con i due cacciatori di vita, ed in parte invidia per un’esperienza tanto affascinante. Sicuramente lo stimolo a vedere posti così magici è davvero forte, come il desiderio di partire subito, destinazione S.Antao. Chissà che prima o poi….grazie Luca regalaci altre store cosi,ne abbiamo bisogno!