Era quell’ora in cui il cielo si stira come un’ala di gabbiano, e righe ora simmetriche, ora sinuose, disegnano tratti sfumati nello specchio celeste come in quello acqueo. Quando il sole è oramai all’oblio, ed un lunar fascio di luce è come un crepitio al cospetto di un’esplosione. L’ora in cui pennellate dal blu acciaio conducono all’oltremare, passando per un mite ceruleo. E poco a poco tutto muta, come un fuoco che si spegne o un’ombra che si allunga, il gioco della notte assale la vista prima che essa si accorga di esserne prigioniera non una bensì due volte. Poiché lo stesso cielo che si mostra lì dove punta il naso si riproduce nello specchio indicato dal mento, così che l’universo sembra offrire due versioni di sé identiche, con la sola variante di un effetto mosso nell’emisfero inferiore, colmo di rughe d’acqua, che spalmano d’argento la specchiera della volta celeste.
Non avrei potuto trovare parole più espressive per descrivere ciò che Posillipo era quella sera del 13 Novembre, quando le stanze calde ed accoglienti del Mad in Food (espressione purissima della conciliabilità tra tradizione e modernità riassumibile, volendo, nell’espressione “Qualità 2.0”) ospitavano l’irripetibile matrimonio tra carne e vino intitolato “Tra crudo e cotto con i vini di Firriato”, evento magistralmente ideato da Mr. Giustino Catalano, e la cui eco aveva il pregio della diffusione grazie alla firma della Regina della comunicazione partenopea, vale a dire Laura Gambacorta.
Carni, furon esse espressione della più sana pastorizia, dei più ricchi cortili, o dei vicini campi, giunsero in tavola dopo l’attentissimo operato di Roberto Verducci, – giovane ed ambizioso chef del Mad in Food – in grado di districarsi tra le differenti tecniche di lavorazione e di cottura della carne come nella realizzazione di piatti appartenenti a diverse categorie di cucina. Così, se ad aprire le danze fu una Tartare di manza chianina, mela annurca, zenzero e salsa allo yogurt, immediatamente seguita da un Petto d’anatra con gelatina di thè all’arancia (entrambi espressione di una cucina raffinata dall’alto grado di elaboratezza), a seguire giunsero in tavola il Coniglio porchettato cotto in sottovuoto, con caponatina di verdure, aioli e porro croccante nonché sua maestà A tracchiulella… ovvero una Puntina cotta in brodo thai, scaroletta napoletana e liquirizia, (piatti, questi, decisamente made in… sud). A continuare questo magnifico carosello di carnagione arrivò poi il Brasato con polenta e scagliuzzielli, elegantissimo quanto originale pre-dessert, dessert “incarnato”, è proprio il caso di dire, da un (pur se solo apparente) ritorno alla tradizione, ovvero dall’amatissima Pastiera del 2014, versione stratificata e fruttata del leggendario dolce pasquale.
Cinque piatti più uno, dunque, ai quali, come fossero amici di sempre, si accompagnarono altrettanti vini. Sei capolavori di enologia firmati Firriato, mirabile azienda siciliana, anch’essa espressione del legame tra il vecchio ed il nuovo, anch’essa in grado di interpretare al meglio le nuove tecniche di produzione senza con ciò dimenticare le origini. Così, Saint Germain (Spumante di Catarrato e Grillo), Caeles (Catarratto), La Corte del Maharajà (Syrah e Frappato), Le Sabbie dell’Etna (Nerello mascalese e Nerello cappuccio), Ribeca (Perricone in purezza) ed in fine L’Ecrù (Zibibbo e Malvasia) scorsero al calice con incredibile merito d’abbinamento da riconoscere a madame Daniela La Porta, abilissima responsabile del brand Firriato.
Fu dunque il cielo del più fulvido zaffiro, furon le stelle e fu la media notte. Fu scroscio d’applausi, fu lezione di cucina d’ogni classe e fu abbondanza di carni. Fu stridio di tappi, fu la Sicilia in gocce, fu profumo di sud. E, più d’ogni altra cosa, fu altissimo vivere.
Durante la serata rivolsi alcune domande allo Chef Roberto Verducci, ecco di seguito il resoconto dell’intervista:
Qual è il concept di Mad’n Food?
La nostra idea è quella di offrire una cucina di alta qualità ma assolutamente comprensibile. Il menu spazia dal panino alle carni pregiate. Le preparazioni possono essere semplicissime come complesse. L’elemento di fondo rimane la qualità della materia prima.
Qual è l’anello di congiunzione tra l’alta cucina e lo street food?
In realtà, nonostante l’immenso sforzo di coniugare queste due realtà gastronomiche, le stesse non credo abbiano trovato ancora un vero punto d’incontro. Tuttavia, anche in questo caso credo si possa indicare la qualità della materia prima quale comune punto di partenza per ottenere buoni risultati.
Cosa rende un piatto unico?
Il tocco dello chef. Questo dipende dallo studio e dalle esperienze personali. Per me l’idea di fondo è tornare alle origini, alla mia infanzia. Se mi emoziono io allora si emozioneranno anche i clienti.
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