Una bigia e fresca mattinata di metà ottobre annuncia l’inizio della stagione autunnale a Napoli, cancellando di fatto l’ultimo colpo di coda di una “estate ballerina”. Contestualmente decido di avventurarmi con curiosità verso un territorio per me poco noto e universalmente riconosciuto come una delle aree di massima espressione del vitigno aglianico: il Vulture.
Dominata dal massiccio dell’omonimo monte, la zona del Vulture regala ad ogni visitatore un ricco patrimonio ambientale, potendo apprezzarne colline vitate, aree da pascolo, boschetti di macchia mediterranea, nonché suggestivi specchi e corsi d’acqua. In tale incantevole scenario, abbracciato da un clima di tipo continentale, vanno commercialmente consolidandosi, anche altri prodotti dell’enogastronomia regionale, come i semplici ma buoni formaggi di latteria, il saporito caciocavallo lucano, i formaggi pecorini, gli olii e.v.o. morbidi e fruttati ideali per condire insalate e verdure, e tanto altro ancora.
Lo scopo di questo mio fulmineo percorso è stato quello di instaurare un rapporto diretto con le persone del luogo e apprezzarne le capacità comunicative e produttive in vari ambiti. In particolare ho voluto visitare alcune realtà vitivinicole artigianali, che avessero un atteggiamento rispettoso verso la terra e la coltivazione del vigneto e che portassero avanti con naturalità i propri processi, senza farsi abbagliare dalla corsa al profitto.
In ordine cronologico di tempo Grifalco è stata la prima realtà vitivinicola a cui ho fatto visita.
Nata nel 2003 da esperti produttori che lavorano il Sangiovese a Montepulciano in Toscana, l’azienda lavora nel Vulture uve di solo aglianico, certificate biologiche. Le pratiche di cantina non prevedono interventi di alcun genere e una volta entrati in azienda risalta subito la capacità di tendere alla razionalizzazione dei propri flussi di produzione attraverso una logistica snella ed efficiente. Giunti al momento della degustazione, mi sono stati proposti due prodotti dell’intera gamma commerciale: Gricos e Damaschito. Il primo, meno evoluto e di più facile comunicazione; il secondo più rotondo e strutturato. Due vini diversi tra loro, ma entrambi davvero buoni.
Con il trascorrere delle ore, e anche per gli assaggi fatti in cantina, i succhi gastrici hanno reclamato la loro parte, rendendosi necessaria la sosta in un punto di ristoro. Attraverso un rapido passaparola con le persone del luogo, ho guadagnato la strada per la Masseria Sett’anni nel comune di Maschito (PZ), posizionata in una suggestiva vallata. Una volta entrato nella struttura ho percepito subito un clima tranquillo e familiare, grazie anche alla semplicità e alla cordialità di Leonardo, titolare e gestore della clientela ai tavoli, mentre il fratello Vito è intento in cucina a preparare le antiche e robuste ricette del Vulture. La mano sembra quella della nonna, con pietanze da scuola culinaria forte, semplice e genuina, assai lontana dalle elaborazioni più tipiche della cucina moderna. Vengono proposti sopratutto prodotti di terra e carne, confermando la natura di questa regione come terra di pastori e di contadini: le massicce orecchiette al ragù di agnello (rigorosamente locale), i gustosi fusilli con cacioricotta, pepe, pomodorini e rucola, resi appena brillanti e scivolosi da un verdognolo olio e.v.o. locale. Ovviamente a tavola si serve solo aglianico del Vulture (sfuso in brocche da ½ litro oppure imbottigliato dalle migliori cantine della zona) ideale per accompagnare l’agnello locale cotto ai ferri. Dopo aver pagato una cifra irrisoria ed essere stato omaggiato di un piatto di biscotti della casa, simili a lingue di gatto glassate al cioccolato, accompagnati da un deciso e goloso liquore all’amarena, ho ripreso il mio percorso esplorativo.
Sempre nel paese di Maschito incontro un’altra interessante realtà vitivinicola, Musto Carmelitano. Anche in questo caso la mission di famiglia è sinonimo di qualità del prodotto finito, etica produttiva e tutela dell’ambiente. Le uve aglianico sono coltivate seguendo il metodo organico biologico, scrupolosamente selezionate e raccolte a mano, ottenendo vini di livello assoluto. In tale occasione il mio excursus degustativo è stato ampio e profondo, saggiando la qualità di tutto il ventaglio commerciale: dal Maschitano Bianco (da uve moscato bianco), al Serra del Prete “etichetta bianca” (prodotto in completa assenza di solfiti, praticamente il top della gamma commerciale della casa), passando per il Maschitano Rosato (rosato di aglianico) e il Pian del Moro (aglianico elevato in tonneau di rovere francese). Tale percorso sensoriale mi ha permesso di apprezzare la capacità di detta azienda di lavorare le uve aglianico nelle diverse versioni, conservando sempre una pulizia e una eleganza, sia al naso che al palato, davvero notevoli.
Ormai la mia giornata volge al termine, mentre le colline si fanno ancor più belle sotto i riflessi del crepuscolo. Mi accingo a rientrare verso casa, appagato dalla cartolina e dalla quiete di questi luoghi, dalla semplicità e dal ritmo cadenzato e composto degli abitanti, consapevole di ritornare al più presto in questo coinvolgente angolo di Sud.
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