Di Gabriele Pollio
Un detto ceco recita: “Una buona birra dovrebbe essere giudicata da un solo sorso. Ma è meglio essere più scrupolosi”.
Mi piace pensare che più che un’esortazione all’alcolismo questa sia un’esortazione alla curiosità.
E’ proprio la continua voglia di scoprire cose nuove che mi ha spinto alla scoperta di una nazione dove la birra è una religione.
Il Belgio, un paese che conta poco più di 10 milioni di abitanti e con una superficie di poco più grande della Lombardia, riesce a produrre più di 600 tipologie di birre differenti.
Senza pretese di esaustività (servirebbe un’enciclopedia che vi risparmio di acquistare, soprattutto se scritta da me!), proverò a raccontare dei posti magici in cui il tempo sembra essersi fermato: i birrifici artigianali.
Il viaggio inizia da Villers-devant-Orval. L’Abbazia di Nostra Signora di Orval si staglia tra i boschi della Vallonia. I monaci sono come fantasmi, non appaiono mai. Eppure già dall’esterno si nota che all’interno c’è del “fermento”. Comignoli che sbuffano senza sosta, le rovine dell’antica abbazia vegliano notte e giorno sulla produzione di una delle birre trappiste che meglio interpreta questo stile particolare e unico: la mitica Orval. La visita è interessante ma lo è ancora di più la degustazione al caffè dell’abbazia. In commercio si trova solo una tipologia (caso unico tra i birrifici trappisti) di birra (Orval, 6.2 %) mentre al caffè mi è concesso di provare anche la birra prodotta solo ed esclusivamente per il consumo interno dei monaci trappisti (la Petit Orval, 3,5 %). Le due sorelle sono molto simili e, come detto, rispecchiano in pieno i canoni dell’arte brassicola trappista. Colore ambrato, schiuma compatta e finissima. Naso e bocca perfettamente coerenti con toni fruttati e speziati. Persistenza notevole supportata da un’acidità elegantissima.
Il giorno dopo arrivo a Bruges. Secondo alcuni, la città più romantica del mondo. Per me, la sede del birrificio De Halve Maan (La Mezza Luna). Aperto nel 1856, ancora oggi è a conduzione familiare e resta l’unico ancora in attività nel pieno centro della città. Superato l’impatto con il bar del birrificio (alle cui pareti crescono piante di luppolo), a dire il vero molto accogliente ma altrettanto turistico, ci si tuffa in un impianto piccolo, costruito su 4 piani, che sembra un vero e proprio labirinto. Cunicoli, scale ripidissime e porte nascoste portano alla scoperta di un birrificio che ha mantenuto intatte le proprie caratteristiche strutturali e il modo di fare la birra.
I prodotti degustati sono tutti in perfetto stile “belga”: gradazioni alcoliche elevate (la birra meno alcolica, quella che dovrebbe essere una sorta di aperitivo, ha una gradazione del 7 %) e un corpo che, volendo azzardare un paragone col vino, potremmo accostare a quello di un Taurasi.
Terza tappa del tour alcolico. Fiandre occidentali. Esen: un paese che non esiste sulle mappe stradali! Qualche casa, molte mucche e il birrificio De Dolle Brouwers. Il perché del nome (che in italiano si può tradurre con birrai matti) lo si intuisce già dalla facciata del capannone,un pupazzo enorme intento a guardare la propria birra campeggia sulla parte superiore dell’edificio. Nato nel 1980, questo birrificio si fonda sul carisma e sulla follia di Kris Herteleer. Tralasciando il fatto che mi ha accolto con pantaloni viola, scarpe verdi e un papillon largo quanto le sue spalle, credo che sia difficile incontrare personaggi del genere. E’ stato lui il primo al mondo a fare maturare le birre in botti di legno già utilizzate per il vino (precisamente utilizzate nell’AOC Saint-Julien a Bordeaux), le sue birre non sono mai banali, le etichette sono fantastiche. La punta di diamante del birrificio è sicuramente la Oerbier. Il suo colore molto scuro rende sorprendente l’acidità di cui è pervasa all’assaggio. Nonostante sia prodotta con 6 differenti tipi di malti, il finale non è affatto dolce ma piuttosto amaro e lungo. Una birra che definirei “spiazzante”!
Come non chiudere un viaggio del genere con la birra belga per antonomasia? Il lambic. E quando si parla di lambic, come non parlare di Cantillon? Uno degli ultimi 5 produttori rimasti al mondo (tutti in Belgio per la verità) di questo tipo di birra. Fermentazione spontanea grazie ai microrganismi selvatici presenti nell’aria, maturazione in botte e, ovviamente direi, rifermentazione in bottiglia fanno di questa birra l’anello mancante tra la birra e il vino. Carne in scatola, metallo, aceto sono tutti sentori che in qualsiasi altra birra sarebbero considerati difetti (per non parlare del vino!) ma in questa no. E con ciò non voglio salvare un prodotto nel nome della “tipicità”. Il lambic è questo, prendere o lasciare. Io, personalmente, ho preso e vi assicuro che la Gueuze (birra nata dall’assemblaggio di lambic di tre annate differenti) risulta una birra fantastica nonostante la sua inizale “scontrosità”.
Signor Gabriele Pollio, reporter. Cosí potrebbe esser stampata la carta da visita. Leggo e torno sui passaggi per gustare la prosa e la capacitá evocativa. Una volta tanto, ecco un reportage dal denso gusto di esperienza filtrata attraverso il lino della cultura. Play it again, Sommelier…