Esistono persone che della propria vita fanno un uso ordinario, fatto di routine e consuetudini, persone che nascono con il destino segnato per percorrere determinate vie, maestre o minori. Esistono persone che si accontentano di attraversare il mondo passando dalle superfici piane, evitando le salite e rimanendo ben lontani dalle insidie.
E poi esistono le persone come Andrea Zaccarini, eroi di un mondo che scompare ogni giorno, allenatori e critici di sé stessi, amanti dell’estremo e della desuetudine.
In un mite pomeriggio di fine Agosto mi son ritrovato braccio a braccio col mio migliore amico sulla ridente collina di Bertinoro (FC), a fare visita ad un ragazzone barbuto dalle grandi idee e dal supremo coraggio.
Maglia polverosa, pantaloncini no-griffe e scarponi da collina, un occhio affilatissimo ed un cuscino di barba incolta in viso, spalle larghe e tanta voglia di vivere. Così si è presentato Andrea, a bordo della sua Panda 4×4 in cima alla via selvaggia da percorrere per giungere ai suoi vigneti…
La storia enologica di Andrea parte nel 2000, anno in cui decide di sfruttare il fazzoletto di collina di tre ettari appartenente al padre per farne una vigna. Prima di allora un passato da cuoco, da allora in poi un’avventura da percorrere insieme a sua moglie Elisa (Ellis come la chiamerebbe Andrea…)
Due persone, quattro mani, un mucchio di lavoro. E si, perché Andrea ed Elisa in vigna fanno tutto da sé, e lo fanno a mano. Dall’inizio del ciclo della vite all’imbottigliamento, passando per l’invecchiamento in botti d’acciaio e l’eventuale affinamento in bottiglia tutto accade in uno spazio limitatissimo.
Albana, Pagadebit, Trebbiano e Sangiovese i quattro vitigni lavorati, con qualche filare di Cabernet Sauvignon e Montepulciano, tutti sistemati a circa 180 metri s.l.m., tutti meravigliosamente affacciati sull’altro versante della collina di Bertinoro, e tutti in grandissima forma.
La vinificazione avviene secondo le idee ed il gusto di Andrea, massimo critico dei “succhi di frutta” spesso scambiati per vini, fervente sostenitore della “pianta” d’uva, dove a suo dire avviene il vero miracolo. E lì che secondo Andrea si fa la vera selezione, ed è sempre lì che si decide la sorte di ogni vino.
Andrea trasmette ai suoi vini il suo carattere, la sua forza ed il suo coraggio. Il suo Trebbiano è un inno alla diversità, un vino che nasce dalla perseveranza di Andrea e dalla voglia di donare un nuovo ruolo ad un vitigno spesso declassato e snobbato in Romagna. Così Andrea non si è limitato a migliorare il Trebbiano, non ha speso solo anni in vigna affinché il suo vino avesse finalmente il giusto carattere, egli ha bensì sfidato la sorte ed il pessimismo di chi lo aveva sconsigliato di menzionare in etichetta quel vitigno, lasciando al suo vino il solo e semplice nome di quell’uva. Oggi quel vino è una chicca, e chi “beve” la Romagna lo sa, così come lo sanno i custodi più colti del vino romagnolo.
Ebbene, nonostante il prodigio sul suo bianco, non è il Trebbiano il vino di punta di Andrea. Il suo fiore all’occhiello si chiama Indaco, un rosso proveniente da 4 qualità di uva Sangiovese, a cui di anno in anno viene assemblata una piccolissima quantità di Cabernet Sauvignon e di Montepulciano. Il risultato di tale alchimia è un vino dalla grande longevità e dall’equilibrio notevolissimo, sintomo, ancora una volta, della tenacia e della bravura di Andrea.
Non vi sono altre parole per descrivere l’operato di questi ragaazzi se non con il termine “impavido”, perché ciò che Andrea ed Elisa fanno non è comune agli altri, perché con le sole 7.500 bottiglie l’anno Andrea si limita a vivere, perché con la sola forza di due braccia più due Andrea ed Elisa tirano giù una collina una volta l’anno, e gli rimane giusto la forza di abbracciare i loro due splendidi figli alla fine della vendemmia…
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