Ciò che si cerca nel vino: la bellezza, il colore, la cultura, il piacere e il sogno. (G. Jacquenot)
L’antica Pompei è paragonabile a una metropoli di cultura, attività, mercanti e commercio; infatti, prima dell’eruzione del Vesuvio, era un importante nodo commerciale tra Roma e le province romane. Vigneti e cantine abbondavano nella città e nelle zone limitrofe come fornitori principali di ottimo vino, che svolgeva un ruolo fondamentale nella cultura pompeiana. Ed è così che con il suo indiscutibile fascino ci apprestiamo a entrare all’interno di questa profonda realtà, guidati da Antonio Capone, uno degli agronomi di Mastroberardino. Vi starete sicuramente domandando cosa hanno in comune Mastroberardino e Pompei scavi; ebbene, a partire dal 1996, si è creata una solida partnership tra la Sovrintendenza per i Beni Archeologici di Pompei e la suddetta azienda, con il fine di condurre delle ricerche in un laboratorio a cielo aperto. L’obiettivo iniziale era quello di indagare e riscoprire le varietà di uva usate in origine, le tecniche di produzione del vino nella Pompei antica esplorandone le potenzialità odierne.
In seguito, attraverso la lettura degli scritti di Plinio il Giovane e degli affreschi ritrovati sulle pareti sono state individuate le varietà specifiche, mentre tramite diverse indagini botaniche e l’analisi di alcuni calchi dei pali di supporto e delle radici delle viti si è capito il come e il dove venivano coltivate le viti.
Ma entriamo nel vivo della nostra visita (efficacemente organizzata da Michela Del Sorbo, che insieme al marito Gerardo Esposito gestiscono da ben 15 anni il loro ristorante “Pompeo Magno”), che ha preso inizio da Piazza Anfiteatro, breve sosta all’interno dell’anfiteatro stesso per poi inoltrarci in uno dei dodici vigneti (tutti piuttosto piccoli, che nella loro totalità raggiungono circa un ettaro) presenti all’interno dell’area archeologica pompeiana.
Nello specifico entriamo nel vigneto denominato “Foro Boario” (il più ampio), situato vicino alla palestra grande, al cui interno si trova l’antica cella vinaria, ossia la zona destinata alla trasformazione e lavorazione delle uve, in cui ritroviamo la ricostruzione dell’antico torchio e le canalette originarie che portavano il succo nei 10 otri (dolia) interrati, che venivano utilizzati per la raccolta del mosto.
Nell’impianto del vigneto è stato seguito il suo originale posizionamento effettivo al momento dell’eruzione del 79 d.C., rilevato dall’individuazione dei calchi delle radici, messe in luce dagli scavi. Sempre attraverso i calchi è stata ricostruita anche la distanza dei filari, dove il metodo di allevamento utilizzato in questo vigneto, era ed è quello delle viti sorrette da pali di legno di castagno.
Infatti, attraverso gli studi effettuati, i principali sistemi di allevamento erano cinque, così suddivisi:
- Vite legata al palo di castagno (utilizzata prevalentemente per le colture di scaiscinoso e piedirosso)
- la Pergola romana
- L’Alberello (utilizzato prevalentemente per l’aglianico)
- A Giogo
- Alberata aversana
Le prime tre colture erano utilizzate all’interno della città, le altre due esternamente.
In successione abbiamo visitato il vigneto chiamato “Casa del Triclinio Estivo”, caratterizzato da due bellissime fontane decorate con piccoli mosaici e da un grande triclinio dove gli antichi romani erano soliti consumare l’uva moscato e in cui la coltura è quella del Piedirosso. Poi è stata la volta della “Casa Nave Europa”, in cui oltre al Piedirosso troviamo anche la coltura dello Sciascinoso.
In seguito ci siamo diretti verso i vigneti impiantati a partire dal 2009, tutti dedicati alla coltura dell’aglianico. Riscontrato il buon esito di tale accordo sperimentale, la Soprintendenza Archeologica nel 2009 ha ampliato le aree in concessione, passando dalle 5 iniziali alle 12 attuali.
In questi ultimi vigneti è evidente il sistema di allevamento ad alberello, tra essi va menzionato quello dell’“Orto dei Fuggiaschi”, dotato anch’esso di un triclinio estivo con letti in muratura. Durante due diverse fasi di scavo (1961-62 e 1973-74), furono ritrovati i corpi di 13 vittime dell’ eruzione del 79 d.C., sopraffatte mentre cercavano di porsi in salvo, i cui calchi sono stati ricollocati nella posizione originale di ritrovamento.
Da tutto questo studio e questa interessante sperimentazione, l’azienda ha dato vita anche a un prodotto unico e ricco di fascino chiamato Villa dei Misteri, la cui prima annata prodotta è stata la 2001 e di cui ne sono state prodotte appena 1.721 bottiglie; una sorta di omaggio ad uno dei siti dell’area archeologica di Pompei, per rappresentare ma soprattutto per valorizzare la difesa del nostro territorio, della nostra storia e della nostra cultura.
Da questa interessante esperienza si riscontra che, come nel mondo antico il valore del vino era universalmente conosciuto e riconosciuto sia dal punto di vista economico sia come aspetto di identità territoriale, anche oggi bisognerebbe tutelare e diffondere in maniera sempre più costruttiva e consapevole questo prezioso prodotto.
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