Di Gennaro Miele
L’ espressione ‘’che pizza!’’ credo sia parecchio ingrata, sminuisce di molto il piacere che gustiamo ad ogni morso di uno dei cibi più rappresentativi della nostra tradizione, che ritroviamo presente in serate tra amici o nell’ intimità dei nostri sabato familiari.
Penso piuttosto alla pizza come ad un valore universale, nata nei vicoli di Napoli, desiderata da analfabeti scugnizzi, per i quali era l’unico libretto che valesse la pena di leggere. Da cibo di strada entra nei discorsi dei più raffinati gourmet.
Sono andato a scoprire tutto ciò scendendo verso Piazza Dante in una mattinata calda, osservando lo spazio cui dà le spalle un severo Alighieri, occupato da una tenda candida come un’ enorme fontana di farina in cui il sole sembra tuffarsi come un tuorlo.
Entrando in questo piccolo mondo nel cuore della città mi sono sentito lontano dai e dalla gente che si rincorreva frenetica da un lato all’ altro della strada.
Dentro quest’enorme ‘’impasto’’ trovo Gianluca Liccardo, che riesce ad accogliermi con un sorriso, e malgrado le continue richieste d’ attenzione dei collaboratori ed un cellulare che squillava senza sosta, mi spiega il senso della manifestazione.
Festeggiamo quest’anno, mi racconta, il trentesimo anniversario della fondazione della AVPN (Associazione Verace Pizza Napoletana), che annovera un numero di ben 500 affiliati sotto la propria insegna, nomi di storiche ed eccellenti pizzerie, che si contraddistinguono nel rispetto della scelta di ingredienti e di tradizionali tecniche di lievitazione.
Questo nostro valore culturale è stato protagonista di una serie di iniziative che lo ha portato in giro per il mondo, diffondendone i principi di qualità e spiegandoli a platee sempre differenti in cultura e suono della lingua. Immagino queste ‘’lezioni di cultura gastronomica’’ al pari del viaggio di un’ opera d’ arte unica, prestata a musei lontani e abituati finora a malfatte riproduzioni .
E proprio mentre il mio anfitrione mi congeda momentaneamente per organizzare dettagli dell’inaugurazione rifletto sul discorso del dialogo e mi accorgo che forse non a caso ci troviamo in questa piazza.
Davanti a me, imponente e marmoreo il padre della lingua che nel bene e nel male ha unito noi italiani, mentre accanto a me, chini su banchi di lavoro e con semplici e misurati gesti i Pizzaioli creano dischi che suonano una musica senza lingua, pura armonia di sapori, sinfonia senza tempo, un linguaggio che non ha bisogno di interpretazioni, perché comprensibile ovunque.
Immagino che il profumo arrivi fino al cielo e che inviti paralleli e meridiani che avvicinandosi creino due sole linee intersecate su di noi , facendomi sentire al centro del mondo, ma forse è solo l’ ombra di una nuvola solitaria.
Il dibattito ‘’ricomincio da 30’’ viene moderato dal giornalista Luciano Pignataro, il filo conduttore è inevitabilmente l’internazionalità della pizza, lo si potrebbe quasi definire un brand frutto dell’esperienza di chi ci ha preceduto e da trasformare in un tesoro per le attuali e future generazioni, come opportunità pratiche di lavoro. Intendere tutto ciò come un discorso inesauribile nel tempo, continuum culturale da difendere.
Ad anticipare il brindisi a base di Franciacorta Contadi Castaldi c’è stata la premiazione di Enzo Coccia con ‘’La Notizia’’ come miglior pizzeria, affettuosamente e generosamente festeggiato dai suoi colleghi .
Numerose iniziative hanno coinvolto il pubblico nei giorni seguenti e tra queste dei laboratori didattici che hanno illustrato l’uso e la storia dell’impasto e di ingredienti come l’olio e di quello che veniva definito “oro rosso”, ovvero il nostro pomodoro dell’agro nocerino.
L’ AIS Napoli ha contribuito con il prezioso dialogo svoltosi tra Tommaso Luongo ed il pubblico spiegando con semplicità e senza pretesti tecnici come trarre il maggior gusto sposando pizza e vino, le bollicine con i semplici ma raffinati aromi della pizza.
In quest’ esperienza ho visto i maestri pizzaioli esibirsi anche come campioni di simpatia in un torneo di calcetto, nel pomeriggio ancora assolato, lontani dai loro banchi trasformando la piazza in uno stadio dove con magliette contraddistinte da due diversi tipi di farina si sono sfidati a calcetto con tanto di premiazione finale.
Personalmente ho sempre pensato che il calcio sia una pizza ma che addirittura la pizza possa essere il calcio…
Questo nostro prodotto ha attraversato il mondo con l’ umiltà di un emigrante che portava con sé un bagaglio di speranza e di coraggio incontenibile dalle corde strette intorno alla sua valigia, l’ umiltà di chi non si arrende , capace di poter creare mondi nuovi. E dopo tanto viaggiare il nostro pizzaiolo è tornato a casa, mai stanco nella sua postura curva, e come a salutarlo , un raggio di sole clandestino trapassa la tenda, e lui battendo le mani al cielo , diffonde una fine nuvola di farina, soffice e leggera, nel quale sembra scomparire…
Sì… in fondo posso dire che questa manifestazione sia stata una pizza… ma di quella buona!
Foto Emanuele Di Cesare
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