Partecipare ad un seminario condotto da Armando Castagno significa partecipare ad un evento esclusivo, con tanti punti di riflessione, legati a tutto tondo alla cultura dei vini d’eccellenza ed a un nuovo modo di proporli e raccontarli.
Non è la prima volta che partecipo e ogni volta mi colpisce l’atmosfera unica che si respira, trasposta ai presenti grazie alle capacità di una squadra di professionisti del vino.
E’ opinione condivisa generata dalla “narcosi” enologica degli anni ’80, che il vino rosso sia, per sua natura più longevo del vino bianco; quando poi si tratta di vini bianchi minori o addirittura aromatici e dolci, il pensiero legato all’invecchiamento, si allontana definitivamente.
Siamo, infatti, abituati a credere, che una delle tante differenze tra vini bianchi e vini rossi, sia una questione legata alla durata nel tempo, caratteristica, questa, non distintiva dei primi.
Il problema della longevità è decisamente simile alla longevità degli esseri umani, è infatti possibile stimolarla attraverso diverse regole comportamentali, ma qualsiasi cosa si faccia, il risultato resta quasi sempre imponderabile.
L’attenzione sulla longevità dei vini bianchi, nasce senza dubbio prima in Francia che in Italia, non a caso il vino più longevo al mondo è un bianco francese, Château-Chalon (Jura), vino definito diabolico per aver stretto un patto con il diavolo, secondo tradizione dovrebbe invecchiare sei anni, sei mesi e sei giorni.
Premesso, che in via generale, i vini bianchi hanno più necessità di protezione, le armi, necessarie per bilanciare alterazioni di natura spontanea e non, sono essenzialmente due, legate a fattori esogeni ed endogeni, lo sviluppo di anidride solforosa indotta dal dosaggio e anche dalla fermentazione alcolica, le perfette condizioni di conservazione in cantina, l’utilizzo di legni viversi, l’acidità fissa e l’estratto secco, a puro ma indispensabile complemento.
L’Italia, quella dalle uve d’oro non emula, reagisce e dalla Sicilia al Friuli, in forza di un’antica tradizione, utilizzando un protocollo di vinificazione tutt’altro che modaiolo, forte di una tecnica ragionata ma unica, genera vini bianchi differenti, gli “orange wine”, frutto di una fermentazione in rosso.
Sono questi vini evoluti, hanno più talento rispetto al passato, una marcia in più ( il glutatione) hanno conosciuto legni diversi, costretti dal tempo a confrontarsi con l’ossigeno e spogli della corazza tartarica, donano una cromaticità inattesa, naso lirico e note di seria dolcezza.
Bene, la lezione è terminata, mi allontano quindi dall’aula, preferisco evitare l’ascensore e con timido sorriso scendo i pochi gradini che mi portano al parcheggio, in verità sono un po’ confuso ma sicuramente più tranquillo e sereno, sì, sereno come i vini che ho appena conosciuto.
Mi dispiace di aver perso il seminario ma mi sarebbe dispiaciuto ancor di più perdere questo splendido articolo, umano e professionale. Giuseppe Il diVINO