Di Manuela Chiarolanza
Buona la prima.
È dalle parole finali del patron di Malazè, Rosario Mattera, che voglio iniziare a parlare del primo degli appuntamenti in vigna per festeggiare i 20 anni della DOC Campi Flegrei, iniziative organizzate dall’Associazione Italiana Sommelier di Napoli e da Malazè.
Il festeggiamento di questa ricorrenza, spalmato nei mesi a venire, è stato fortemente voluto da Rosario che da 10 anni ormai si occupa della diffusione e della comunicazione archeo-eno-gastronomica dei Campi Flegrei. Rosario ha chiamato e l’Ais Napoli ha risposto…in compagnia di Anna Ciotola, referente Ais Napoli per i Campi Flegrei iniziamo con la prima tappa dedicata all’areale Astroni-Solfatara: la prima azienda visitata è stata Agnanum di Raffaele Moccia. Poche, pochissime bottiglie, ma ognuna di esse riempita con vino e passione, quella che traspare dagli occhi di Raffaele quando ci parla.
Dopo il classico benvenuto e le parole spese per raccontare gli inizi e l’evoluzione dell’azienda, ci avviamo verso il bosco, ci inerpichiamo tra viti centenarie su per la collina, tutte a piede franco, facendo gli scongiuri ogni volta che arrivavano due gocce d’acqua, guardando continuamente i nuvoloni neri e cercando di capire come avrebbe girato il vento.
Vigna a dir poco eroica, scoscesa, che costeggia l’Oasi Naturalistica WWF, il cui confine è segnato dal muro borbonico settecentesco, dove regnano quercie antichissime le cui radici si sono espanse fino ad arrivare sotto i filari e dove vi sono le incursioni delle volpi, che ancora oggi vanno a rubare l’uva. Un fazzoletto di terra strappato al cemento, che domina il cratere del vulcano.
Raffaele lavora in prima persona in vigna, con i suoi compagni fedelissimi: il papà e la zappa. Perché lassù si fa tutto rigorosamente ancora a mano, non arriva un trattore, per i trattamenti si è dovuto perfino inventare un sistema di irrigazione volante, perché non arriva neanche l’acqua del serbatoio, posto più giù. Ma Raffaele è una persona che non ha paura della fatica fisica, cosa che non si può dire di carte e burocrazia. Ci intrattiene a lungo, si fanno tante domande, lui ci racconta di come ha dovuto rieffettuare i terrazzamenti, di come ha dovuto cambiare le pendenze per evitare frane o stagnamenti delle acque, di come con la zappa crea solchi paralleli ai filari in cui ribalta le erbe, favorendo un sovescio ancora più naturale.
Ma il tempo non è clemente, dopo la lunga passeggiata all’aperto, siamo costretti a tornare in cantina. In una sala degustazioni molto accogliente ci aspettano bruschette, Falanghina e Piedirosso. Quattro etichette, due con menzione Vigna (Vigna del Pino per la Falanghina e Vigna delle Volpi per il Piedirosso) che fanno un po’ di affinamento in legno e due versioni base, che fanno solo acciaio, quelle che abbiamo degustato noi.
La falanghina ha un colore dorato, limpidissimo, al naso tanti fiori, acacia, tiglio, ginestra, e poi erbe aromatiche, timo, un po’ di rosmarino. Al gusto ha un forte impatto, la sapidità e la mineralità fanno da padrone, con un tocco ammandorlato alla fine, ma si sente l’alcol, che però non è slegato dalla spiccata acidità. Un vino di pronta beva, sicuramente, ma dotato di forte personalità, che fa pensare che durerà molto nel tempo.
Il piedirosso si presenta invece al naso con i classici profumi di fragolina, ciliegia, ma tante erbe aromatiche anche qui, un po’ di balsamico, minerale, piccole note speziate. Un sorso pieno, caldo, con tannini per niente invasivi. Molto equilibrato, anche questo con una lunga vita davanti. Questo vino, stranamente più del bianco, racconta il territorio vulcanico.
Purtroppo dobbiamo andare via, la seconda azienda ci aspetta, ma promettiamo di tornare a trovare Raffaele con più calma, magari fermandoci a pranzo a mangiare qualche suo coniglio. Ah già, non l’ho detto, lui ha anche un allevamento di conigli, ma questa è un’altra storia.
Saliamo in macchina, 10 minuti e siamo già dall’altra parte. Stavolta la località è Pozzuoli, in prossimità di un altro vulcano, stavolta attivo: la Solfatara.
A darci il benvenuto stavolta è un panorama mozzafiato, quasi a 360°, dove da una parte ci si affaccia sul mare, con Nisida, Posillipo e Capri, da un’altra si vede il Vesuvio e da un’altra ancora si ci affaccia sullo stesso cratere degli Astroni, proprio di fronte a dove ci trovavamo mezzora prima. L’azienda è l’Az. Agricola Monte Spina, di Antonio Iovino.
Anche qui una bellissima passeggiata, forse fatta con un po’ più di fretta, perché il tempo proprio non vuole reggere.
La vite qui è più rigogliosa, è chiaro che ha un’esposizione con più sole, con una brezza marina che fa la sua parte e un terreno completamente diverso. 2,5 ettari per la viticoltura, ma quasi 12mila metri di terreno tutto intorno. Vi sono dei filari di vite allevata con la pergola puteolana, perchè Antonio e la moglie Teresa tra i filari coltivano di tutto: cavoli, lattuga, fave, piselli, aglio. Ci sono anche qui terrazzamenti in cui si lavora rigorosamente con la zappa. Anche in questo caso troviamo viti centenarie, ma la maggior parte di loro ha un’età media di 60 anni.
La cantina è in fase di ristrutturazione, quindi dei vini parliamo all’aperto. Anche in questo caso, Falanghina e Piedirosso, entrambi 2012.
La Falanghina Grande Farnia prende il nome dalla quercia ultracentenaria che svetta nella vigna. Il vino al naso si presenta molto verticale, tanta mineralità, un po’ di salmastro, meno fiori della falanghina assaggiata poco prima da Raffaele. Al gusto invece spiccano l’elevata freschezza e la sapidità, un vino che si fa bere molto velocemente.
Il Piedirosso Gruccione invece prende il nome da un uccello “acquaiolo” che in primavera si aggira spesso in vigna. Al naso le classiche ciliegie, amarene, prugne, erbe. Al gusto una buona freschezza e una sapidità determinano un sorso pulito e diretto. Solo forse un po’ meno pronto del precedente piedirosso e ancora non perfettamente equilibrato.
Mentre ci intratteniamo a chiacchierare, a commentare e a sentire i racconti e i progetti di Antonio, un tuono ci comunica che forse è il momento di prendere la via del ritorno. Neanche il tempo di alzarci e cominciare la discesa verso le auto, che arriva un acquazzone come pochi ne ricordo all’inizio di maggio. Arriviamo giù completamente zuppi e purtroppo inizia il “fui-fui”, pertanto anche qui dovremo ritornare con calma, magari una volta aperto l’agriturismo a fine maggio.
Restiamo quindi tutti in attesa della seconda tappa alla scoperta del territorio, delle persone e dei vini che costituiscono questa DOC.
Vignaioli eroici, sommelier, enoappassionati, semplici curiosi: per come la vedo io, quando si va in vigna è sempre una grande gioia per tutti.
Foto di Michela Guadagno
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