Di Marco Pozzali
Qui si disserta sul desiderare, sullo scegliere, sul prendere posizione. Di politica, quindi. Di qualcosa che ha a che fare con una passione che si chiama schieramento radicale per una marca.
Nel 1980 avevo otto anni. L’undici giugno a Roma si inauguravano i campionati europei di calcio con la partita Cecoslovacchia-Germania: uno a zero per i tedeschi con goal di Rummenigge al 57° minuto.
A marzo di quell’anno, proprio trent’anni fa, usciva l’album delle figu Panini, Europa 80 che costava 200 Lire. Avevo già provato a fare la collezione per Argentina 78 ma ero troppo piccolo. No, nel 1980, a 8 anni ero pronto per la raccolta. Nell’album c’era una sezione dedicata alle nazioni non qualificate: ricordo ancora il volto di quei calciatori e le squadre: Ddr, Eire, Francia, Svizzera, Jugoslavia, la mia Jugoslavia, Ungheria, Irlanda del Nord, Austria, Polonia, Portogallo, Scozia, Russia, Svezia e Galles.
Tra le qualificate c’era l’Olanda di Johnny Rep e dei fratelli Van de Kerkhof, l’Inghilterra di Kevin Keegan, Glen Hoddle e Tony Woodckock, il Belgio di Vandereycken e di Ceulemans e l’Italia, di passaggio verso un successo ancora da venire: Ruben Buriani, Maldera e il Barone Causio.
È da quella primavera che sono stato contagiato dagli eroi. Da quelle facce fiere e spesso baffute dei calciatori dell’est. La Jugoslavia è diventata la mia squadra e l’Adidas è diventata la mia marca. Per sempre. Come una cosa indelebile, che non può mai più cambiare. Una fede, indissolubile patto d’amore. Così avevo deciso e così sarebbe andata. Sapevo, come oggi so ancora, quali calciatori calzavano le scarpe con le tre strisce. Scarpe nere con le tre righe bianche e basta. Mica quello scempio che vedi oggi ai piedi di questi mezzi uomini con il gel, i cerchietti e i tatuaggi in giapponese, calzature di tutti i colori, bianche, gialle, rosse, verdi, rosa. Nel 1980 l’unico fronzolo erano i baffi di Panenka. Le scarpe da calcio vogliono nere. Nere.
Il modello con i sei tacchetti, nel 1980, si chiamava Zephir, diventato World Cup per i mondiali del 1982, insieme alla immortale Copa Mundial a 13 tacchetti di gomma nera con suola bianca. Safet Susic, Valdimir Petrovic e Ivica Surjak le usavano fieramente, con quella capacità piuttosto zingara di farle muovere nella tecnica e nell’eleganza accanto al pallone.
Nel 1982, a dieci anni, ero un bambino Adidas e mi apprestavo a seguire il mondiale infischiandomene bellamente del risultato finale; io tenevo per i calciatori più Adidas degli altri. Mio padre, in giro per il mondo per lavoro, mi regalava scarpe e magliette che in Italia non esistevano e io non me le toglievo mai.
La mia Jugoslavia, in Spagna, era riuscita a ottenere la qualificazione ma ha abbandonato il torneo dopo aver ottenuto solo 3 punti in 3 partite: pareggiando 0-0 contro l’Irlanda del Nord, perdendo 2-1 contro la Spagna e vincendo 1-0 contro l’Honduras.
Allora, mi ricordo, che avevo pensato di tenere per due squadre: la Francia per via della maglietta della prima partita, bianca a righine sottili blu e rosse (era la seconda divisa; la prima, blu, sarei riuscito ad averla qualche mese dopo, da un amico di mio padre di Parigi) e la Russia di Blokhin. Mi ricordo le formazioni: Ettori, Amoros, Bossis, Tresor, Janvion, Giresse, Soler, Platini, Lacombe, Genghini, Six. Il mio idolo era Didier Six, ala sinistra coi capelli lunghi, ricci e i baffi neri.
La Russia: Dassaev, Borovskij, Chivadze, Baltacha, Demianenko, Oganesian, Shenghelia, Bessonov, Gavrilov, Baal, Blokhin.
Che bella quella Francia, tutti vestiti Adidas e tutti con le scarpe Adidas.
Gli anni 80 sono volati via così. Li ho vissuti tutti da innamorato di innamoramento facile ma fedele: le mie passioni autentiche e immediate avevano volti e contorni netti.
Forse il calciatore che ho amato di più è stato Dragan Stoijkovic ma il suo calcio e il mio hanno perso una sera al Maracanà di Belgrado, forse dalla nebbia, forse dal dottor Galliani, sicuramente non dal Milan di Sacchi. Berlusconi non lo nomino nemmeno perché usa il fondotinta. Ma questa è tutta un’altra storia.
Come state leggendo, di riferimenti a Nike, neanche l’ombra. Sono dei neofiti questi americani qui. Sono arrivati al calcio nell’epoca del grande business; quando c’era da fare affari. In Italia, negli anni 80, avevamo delle signore marche: Pantofola d’Oro, Quiko, Rutilius, Tepa, Valsport. E il concorrente di Adidas era Puma, mica Nike.
E, visto che questo è un giornale che parla di vino, potrei abbozzare un paragone. L’Adidas sta al calcio come la Francia sta al vino. La Nike sta al calcio come la California sta al vino. E si ci si guarda davvero, è così. Osserva chi usa le scarpe da ginnastica, o da tempo libero Nike e vedrai che gli piace il Nero d’Avola, oppure il Merlottone fruttato o il Sardonné. Le Nike sono modernissime, luccicano, brillano, sono ammortizzate, forse fanno anche i frullati. Le Adidas sono vintage, io direi millesimate. Sono storia che si ripete.Oggi ho ai piedi una Running zx 700 uscita nel 1985 e rifatta pari, pari quest’anno. La Champagne è Adidas e anche la Borgogna è Adidas. Per non parlare della Mosella, Adidas anche lei. Radicamento, fedeltà, appartenenza, pelle con tre strisce, tre strisce che non cambiano mai.
Adidas è questo pezzo