Raramente mi capita di avvertire il bisogno di parlare di qualcosa. Ma quando ciò capita c’è un motivo valido. Stavolta a muovere il mio interesse è stato un gruppo di tre ragazzi con un nobilissimo fine: fare cultura divertendosi. Marco Campajola, Gianluca Campajola e Sara Santucci sono tre giovanissimi interpreti dell’avvenirismo gastronomico, che hanno dato vita ad un’idea chiamata PDM 360. Figli d’arte i primi due (il papà è il patron dello storico Bar La Caffettiera in Piazza dei Martiri, che fa spalla al PDM 360), di sangue toscano la ragazza. Un mix niente male.
Il PDM si presenta come un Bar moderno, ma è molto di più. Qui l’intento non è tanto dar da bere agli assetati, ma piuttosto sfidare la mediocrità, purtroppo incalzante in una zona di Napoli spesso affollata da orde di avventori alla ricerca di cibi e bevande easy, spostare l’asse della movida verso un nuovo luogo del gusto, stuzzicare la clientela con prodotti unici poiché creati al momento. Prodotti nuovi, marchi storici, comunicazione via internet, rapporto qualità/prezzo e grande maestria nel creare ed eseguire cocktails sono solo una parte del credo del PDM.
Marco e Gianluca, due Barman insospettabili, dalla formazione umanistica e la preparazione frutto dei corsi seguiti presso la Federazione Italiana Barman e la specializzazione in Mixology e Molecolare, si alternano nei ruoli di intrattenitore ed alchimista. Li si può vedere spiegare ai clienti gli stili di birra, decantare le qualità dell’insaccato appena arrivato ed inserito a far da compagno all’aperitivo, e poi, un attimo dopo, armeggiare pistole a fuoco o intrappolare fumo in un bicchiere. E dietro di loro anche nuovi adepti in via di formazione, è ora il turno di Fabio Cincini, già abilissimo apprendista barman. Qui non ci si ferma mai, poiché il progetto è ambizioso. La loro idea è come il simbolo di una generazione che non si accontenta di vendere prodotti, poiché bramosa di crearli e condividerli.
Creazione, dunque, ma non solo. Gli spazi esterni del PDM 360, occupanti Piazza dei Martiri, il lussuosissimo salotto della Napoli costiera, sono spesso teatro di eventi di degustazione guidati dall’altrettanto insospettabile Gianmarco Antonelli (studioso del Diritto e oramai prossimo notaio), spesso accompagnato da Christian Santorelli (profondo conoscitore del mondo birrario), veri dispenser di nozioni raccontate ad un pubblico eterogeneo unito dalla volontà di sposare l’idea di fondo di questo progetto, appassionati e curiosi intenzionati a tornare a casa con “qualcosa in più” di ciò che si è bevuto e mangiato. La mia visita è stata la volta della degustazione di 7 birre abbinate a 7 piatti (Edelstoff abbinata a Fleischwurst e patate rosolate, Sierra Navada Porter per una zuppa toscana di farro e borlotti, O’Hara’s Stout per triangolini al bacon irlandesi, Orval su tagliere di insaccati e formaggi erborinati, Kwak su paté di fegatino alla “parisienne”, Jacobite Traquair abbinata a salsiccia di maiale rosolata in ale scura californiana, Blohemenbier per una sfogliatina riccia partenopea). Un evento insieme didattico e rilassante, premiato da un’ottima partecipazione.
Prima dell’inizio della serata, ho avuto modo di rivolgere alcune domande a Marco Campajola, ecco il resoconto:
– Qual è il concept di base del PDM 360 e come nasce?
Qui al PDM cerchiamo di offrire un prodotto nuovo. L’idea è quella di incuriosire la clientela con prodotti ricercati e diversi dal solito, come ad esempio cocktails realizzati con prodotti creati o raffinati da noi. Tutto ciò lo portiamo nel sangue, l’idea di incrementare la qualità, e poi incrementare ancora, è infatti una sorta di marchio di fabbrica, ereditato da nostro padre.
– Qual è il vostro Main Aim?
Aumentare la cultura del bere. Insegnare a bere non per trend ma perché si sa cosa si vuole. Per portare la clientela su questa strada ci siamo sforzati a ricreare cocktails quasi estinti, ma abbiamo imparato anche le tecniche biomolecolari. Ci siamo inventati il “Negroni in botte”, abbiamo aromatizzato gli zuccheri, affumicato i cocktails, introdotto i tiki cocktails…
– Qualità, dunque, ma si può fare?
La risposta è si, ma bisogna saper attendere. Educare è una sfida affascinante ma richiede molto tempo. Non bisogna demoralizzarsi poiché la qualità, alla fine, vince sempre.
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