“ ‘O ciore chiú felice é ‘o ciore senza radice, corre comme ‘o cane senza fune, é ‘o ciore senza patrune ”. Il mito della libertá nello stato di natura riserva sempre qualche sorprendente smentita. A cominciare dalla strofa di canzone appena citata, cantata dalla voce degli Almamegretta, Raiz, nome che nelle lingue luso-ispaniche significa radice, e del fatto che l’unico fiore senza radici che corre é quello che il fattorino del fiorista si affretta a consegnare prima che appassisca. Peró é vero che le piante viaggiano, con tutte le radici intatte e la speranza di attecchire all’arrivo, da un luogo all’altro del mondo.
Sommelier, botanici e appassionati del vino sanno che lo stesso vitigno si puó incontrare in terre lontane tra loro. Se c’é, qualcuno ce lo ha portato, essendo le coincidenze evolutive assai rare in natura. E qualche domanda sorge spontanea: come e perché é arrivato lí ; come vive e come si é adattato sul posto? Curiosamente, sono le stesse domande che poniamo a un emigrante incontrato all’estero. Di viti emigranti si tratta. Piante e animali viaggiano da sempre, seguendo l’istinto migratorio e quello di sopravvivenza, battendo rotte di migliaia di chilometri, spargendo semi nel viaggio e all’arrivo, esportando dai propri territori di origine la progeníe, che si adatta a questi, modificando le proprie caratteristiche, nel tempo.
Da quando gli uomini viaggiano, per esplorazioni, conquiste, guerre e fuga dalla povertá, portano con sé un bagaglio biologico nel quale spiccano le piante utili, e tra esse la vite. Dá una certa sicurezza, infatti, sapere che al terminde dell’avventura si potrá piantare qualche pianta da frutto e, magari, in un prossimo futuro stappare una bottiglia di buon vino dal sapore di casa… L’analisi storica ci dimostra che all’imperialismo degli stati si é accompagnata la colonizzazione vegetale, che rappresenta il lato agronomico dell’esportazione degli usi dei costumi e delle strutture sociali. (Crosby, Imperialismo ecologico, Laterza 1988). Le radici della vigna europea, basata sulla vitis vinifera sativa, hanno camminato e navigato e volato sino a piantarsi praticamente in tutte le terre del mondo; il moto é cresciuto col tempo, dapprima misurato in migliaia di anni, secondo i tempi della propagazione naturale, successivamente, dal XVI al XIX secolo, con una lenta espansione, corrispondente alle politiche coloniali europee e ai mezzi di trasporto preindustriali; piú recentemente, dal 1830 al secondo dopoguerra mondiale, il moto é divenuto una colonizzazione rapida e massiccia al seguito delle grandi migrazioni europee verso le terre promesse d’oltremare. Ai milioni di uomini che hanno traversato gli oceani hanno fatto seguito milioni di barbatelle che hanno composto la vigna mondiale come la studiamo oggi.
Cosa é successo alle viti che hanno viaggiato cosí tanto e cosí diversamente per il mondo? Semplificando, due cose: da una parte l’ibridazione delle varietá per incontro tra i vitigni esistenti sul posto, magari giunti per propagazione naturale, e i vitigni importati, ibridazione che ha comportato la manifestazione di nuove varietá; da un’altra parte l’adattamento dei vitigni importati al nuovo terroir, con lo sviluppo di nuove caratteristiche organolettiche del frutto. In termini di genetica, stiamo parlando di un orizzonte temporale limitato, poiché in soli cinque secoli madre natura non consente grandi modificazioni, ma non troppo limitato da non avere consentito ad una intensa opera dell’uomo di spingere sull’acceleratore del motore biologico, ottenendo con le tecniche colturali un adattamento della pianta al clima, al microclima, alla biochimica dei suoli. Viene spontaneo pensare che, alla luce di queste dinamiche evolutive, la distinzione tra vitigni autoctoni e vitigni internazionali perda il carattere della classificazione per assumere un significato storico; é il risultato, molto piú che l’origine, ció che conta ai fini agricoli ed enologici. Come i pronipoti degli emigranti risultano irriconoscibili ai bisnonni quando tornano in vacanza nella patria avita, parlano lingue affatto diverse, mostrano fisionomie aliene, come vichinghi in sicilia; ecco una barbera andina andare ospite di una degustazione comparativa in piemonte e chiedersi perché é stata costretta alla visita ai supposti parenti, ecco un moscatel caboverdiano incontrare un moscatel di setúbal, presentatogli come suo triscugino, e guardarsi da un calice all’altro chiedendosi che ci stanno a fare lí, uno secco e l’altro dolce, uno dorato l’altro ambrato entrambi dalla nascita, aromatici entrambi ma con un corredo incomparabile, magari se si trovano simpatici possono giocare a chi apre il pranzo e chi lo chiude…
L’Antico Testamento ci racconta di un Noé che approda dopo il diluvio su un monte dell’Asia Minore e lí mette radici, ringrazia la divinitá per lo scampato pericolo, festeggia con una libagione epica; quello che le scritture non dicono é se la libagione fosse del frutto della vite antidiluviana o della neotrapiantata sua parente. In ogni caso sappiamo che tra le piante salvate dalle acque il mito ci consegna un esemplare con foglie pentalobate, viticci e una vocazione inesauribile a continuare il viaggio per le terre emerse, portando in tutto il mondo le sue radici che camminano.
E’ sempre un piacere leggerti caro Luca e spero di vederti presto. Un saluto agli amici AIS
Sebbene una condizione di vita “particolarissima” mi costringa da un po’, e solo per un po’ ancora, a starmene qui seduto a contemplare l’arrivo di una nuova meravigliosa Vita, il leggerti smuove in me primordiali istinti di reazione. Una reazione passionale, guidata dal duplice amore che mi lega ai due distinti eppure uniti Mondi del Vino e del Viaggio.. Sapere che la tua anima, come la mia, ne fu stregata, rafforza in me la convinzione della ordinarietà della mia malattia. Mi piace fingerci come vele, smosse da venti ingovernabili, ma pur sempre saldate ad un albero maestro, un appiglio, che altro non è che la nostra passione di andare almeno un passo oltre il conosciuto..
P.S. Bellissima la tua poetica in forma di articolo.