Grazie ad un’iniziativa inedita del Consorzio della Franciacorta e del suo presidente, Maurizio Zanella, il 15 ottobre scorso, Tom Stevenson, il guru mondiale dello Champagne e degli spumanti del mondo ha presentato una selezione di 10 spumanti inglesi. Ci sono ovviamente andata di corsa, incuriosita e pronta a mettere da parte almeno per due ore la mia anima da “champagnista”. In realtà, non è stato per me la prima occasione e nemmeno la seconda per approcciare questi sparklings. Un’idea l’avevo già e veniva prevalentemente da una bella esperienza, quella data dalla degustazione targata Decanter di Vinitaly di due anni fa dove mi era stato chiesto di intervenire per confrontare questi vini con gli spumanti italiani. La mia conclusione all’epoca fu doppia: 1- gli spumanti italiani erano più consistenti e concentrati sul frutto; 2- lo stile volutamente (o no) rispecchiava quello degli Champagne degli anni 70 dove i sentori di lievito e di zucchero di canna prendevano il passo su un frutto sottile e poco maturo. In due parole, gli spumanti inglesi assaggiati due anni fa davano tanta freschezza, mineralità e avvolte note di ossidazione (nei rosé in particolare) ma tutto sommato poca piacevolezza. Come si potrebbe dire nella mia lingua madre, lo spumante inglese nella sua globalità era per me né un “vin de soif” (cioè giovane, rinfrescante e piacevole) né un “ vin de plaisir” (ossia di grande bevibilità e versatilità). Era un vino duro e austero che ti dava poco a fronte di un posizionamento geografico estremo. Ed anche se Tom Stevenson ha sottolineato che le vendemmie vengono fate prima in Champagne, la forza delle bollicine di uno spumante inglese non riesce a sprigionare la sinfonia di uno Champagne o di uno spumante d’autore che, comunque sia, rimane affascinante e buono anche se sgasato. L’impressione che ti lascia uno spumante inglese non è quella. In un bicchiere di spumante inglese, il carattere e la personalità ci sono – anche se non sistematicamente – e di più che in uno di spumante danese, ma non è in primis la piacevolezza che ti colpisce. Costituisce un prodotto didattico sia per i volumi prodotti (in media 2,58 milioni di bottiglie annue) che per le sue caratteristiche sensoriali. Con la degustazione in Franciacorta emergono diversi punti che potrebbero essere anche delle chiavi di lettura per individuare lo stile di uno spumante che al contrario di quello che pensavo è espressione di un terroir con diverse sfaccettature nel bicchiere. La coppia acidità – mineralità (iodio prevalentemente) rivela al naso come al palato una grande eleganza e un minimalismo quasi eccessivo per l’amatore di vino, che si aspetta naturalmente di più. E’ vero un Franciacorta è meno fresco e più maturo che uno Champagne mentre lo spumante inglese è il più acido in assoluto. Ma vogliamo proprio bere questo? Il dosaggio è in compenso relativamente elevato (in media 10g/l) rispetto agli Champagne prodotti oggi. Quindi si parla di vini tecnicamente equilibrati ma manca la materia, la polpa che ti da la maturità dell’uva ossia la “mâche” come dicono in Champagne! Punto di domanda: sono spumanti riservati ai grandi amatori di Riesling renani? Sospetto davvero che una maggiore permanenza sui lieviti con un dosaggio potrebbe rendere questi spumanti più bevibili per un pubblico latino come noi. Inoltre credo che lo Chardonnay, uva più precoce del Pinot Nero si esprima meglio nel bicchiere di spumante inglese ed è in questo senso che metterei una maggiore percentuale di Pinot Meunier nell’assemblaggio, anche se naturalmente si legga male con lo Chardonnay. Da notare infine: tutti gli spumanti inglesi hanno fatto (per fortuna) la fermentazione malolattica.
Ed ecco quelli che mi hanno colpito:
– Nyetimber 2009 Tillington Single Vineyard (elegante e completo)
– Camel Valley 2011 Pinot Noir Rosé (piacevole e versatile)
– Henners 2009 Vintage (elegante, sapido e persistente)
– Hambledon NV Première Cuvée (evolutivo e biodinamico)
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