Di Annito Abate
Il programma del Master continua, prosegue la poliedrica visione della Campania del Vino, intra moenia ed extra moenia, raccontata, con piglio olistico, da 5 grandi attori, ognuno con la sua parte, ognuno con il suo carattere, una “rappresentazione” in 4 Atti + 1 per emozionare il pubblico degli appassionati:
- Primo Atto , Pierpaolo Sirch, in … “L’Agronomo”
- Secondo Atto, Luigi Moio, in … “L’Enologo”
- Terzo Atto, Manuela Piancastelli, in … “Il Comunicatore” (le voci di “dentro”)
- Quarto Atto, Piero Mastroberardino, in … “L’Economista”
- Atto Conclusivo, Armando Castagno, in … “Il Comunicatore” (le voci di “fuori”)
Quarto Atto: Piero Mastroberardino, in … “L’economista”
Se proprio si vuole rispondere a domande dal “classico” milione di dollari, pardon, oggi è più vantaggioso dire euro, tipo “Cosa siamo?”, “A che punto siamo?” e, addirittura, “Quali prospettive abbiamo?” si consiglia di consultare discipline specifiche: economia e statistica, materie che il Prof. Piero Mastroberadino, conosce ed insegna, con grande maestria, armonizzando teoria e pratica.
Attraverso analisi che in questa sede, ovviamente, saranno omesse si arriva alla consapevolezza della rilevanza di un Comparto, quello del vino, che presenta una depressione dei consumi interni e, quindi, una ovvia derivata transfrontaliera, uno “sguardo” verso i mercati esteri che “pesa” circa il 13% del valore delle esportazioni della nostra Cara “Penisola Affacciata Sul Mar Mediterraneo”.
Per inciso, l’Italia ha il suo peso nel Mondo del Vino in quanto culla di questa cultura; proprio i Romani (quelli antichi) hanno spostato in avanti l’asse dell’evoluzione del “Nettare di Bacco” razionalizzando il processo ed in questo scenario proprio la Campania Felix (per vari motivi) diventa, nel tempo, il momento fondante della cultura del vino nel mondo conosciuto (si può anche dire del mondo intero visto che, ad esempio, gli Indiani d’America nemmeno ci provavano a pensare che il succo dell’uva potesse essere fermentato).
Tornando alla “disciplina” si deve prendere coscienza di uno squilibrio derivato dall’eccedenza e dal potenziale di assorbimento del mercato che, a loro volta, derivano da un consumo che “giace”, da tempo, al di sotto della produzione; in pratica si fa molto più vino di quanto se ne beve e questo genera dinamiche di competizione che portano a conseguenze dirette sulla qualità dei prodotti.
Non è complicato se non si perdono i passaggi!
Ci vorrebbe un’attività incisiva di sostegno al consumo, stando attenti a mantenere un “approccio soft”, delicato insomma, nella consapevolezza che il vino contiene alcol e che quindi il “bere moderato” deve essere un indicatore importante da considerare; allora è nella consapevolezza che il vino è moderazione, ricerca di stile ed equilibrio che risiede la vera forza del messaggio da far passare: degustare, infatti, non è bere ma è un modo di essere, una maniera per fare, e vivere, cultura.
Primo messaggio fondamentale: i mercati esteri sono diventati determinanti per il mantenimento della filiera.
Si cela un “ma” dietro questo enunciato che dipende dalla capacità di “penetrare” il “mercato”, non volendo attingere alla “disciplina” si può dire che dipende dalla capacità di arrivare alla “torta”.
Il settore vitivinicolo è estremamente polverizzato, le Aziende in Italia superano il milione di unità, di queste più di 40mila sono Cantine; sono decine le migliaia di operatori che popolano il mercato e di questi le Cooperative sono quelle che hanno la maggiore “bocca di fuoco”, sono grandi e concentrano capitali (in genere il fatturato supera i 500 milioni); per trovare una Cantina singola e privata bisogna scorrere la graduatoria anche fino al sesto o settimo posto con circa 150 milioni di fatturato.
Secondo messaggio fondamentale: il mondo del vino, in Italia, è fatto di microimprese che, spesso, non dispongono di una struttura adeguata per affrontare una internazionalizzazione; tale aspetto è, oggi, oggettivamente, un elemento di intrinseca debolezza che si trasforma però in “fascino” per il comunicatore che spesso esalta questo aspetto, insomma è una sorta di “favola” che serve a colmare un evidente gap della filiera produttiva.
Il “messaggio del vino” è estremamente soggettivo, personale, è spesso fatto di strette di mano, incontri, seminari, un guardarsi negli occhi, una vera comunicazione “B2B”, come si usa dire, che non può essere delegata. La componente socio culturale, nel vino, è fondamentale. Tutto questo si traduce in una organizzazione aziendale che deve mettere a disposizione risorse non facilmente reperibili per chi è “piccolo” e “lontano”.
I dati distributivi sono tutti in sofferenza, le enoteche ed il cosiddetto settore HO.RE.CA. arrancano; aumenta il consumo a casa e si cercano altri canali, ci si rivolge al “moderno” ed all’efficiente, alla Grande Distribuzione Organizzata, una realtà fortemente concentrata che si è strutturata in grandi insegne affiliate.
Terzo messaggio fondamentale: bisogna sostenere i consumi interni per sostenere la filiera in modo da aumentare la “massa critica”.
In Campania, ad esempio, la filiera non regge, solo in Irpinia esistono circa 200 Cantine, la competizione è forte, il prodotto è molto ed i consumi interni sono molto minori dell’offerta.
La vocazione viticola della Provincia di Avellino è straordinaria: su circa 6.400 ettari circa 2.700 ricadono in Zone a Denominazione di Origine, più del 40%, è, quindi, una attitudine reale del territorio; ma quante Cantine vediamo sul mercato estero? Un numero compreso tra il 5 ed il 10% e di queste quanto riescono a fare “esportazione strutturata”, cioè basata su relazioni dirette? Bisogna essere preparati!
«Vi racconto di una manovra a tenaglia per distruggere l’immagine del Vino, un Taurasi DOCG» dice Piero Mastroberardino con la sua esperienza da “vendere” «si presentano in una piccola Azienda Vitivinicola ed acquistano una partita di prodotto di eccellenza ma in eccedenza, con presunto beneficio per la Cantina stessa». Con il pubblico, ormai, attento e curioso la storia continua « im seguito, all’altro capo del mondo, le bottiglie acquistate all’origine vengono affiancate, sullo scaffale, ad una “private label” che è stata imbottigliata da un intermediario e che viene venduta, in comparazione, ad un prezzo notevolmente inferiore. Quale Vino sarà venduto di più?».
La morale la racconto io: stesso prodotto, stesso scaffale, prezzo dimezzato per la “private label”, il Vino comprato in Italia dal Produttore, che ha pensato di aver trovato, appunto, l’America non finirà mai nel circuito auspicato ed anche ipotizzato (la ristorazione ad esempio) e sarà destinato a “vivere” tristemente su uno scaffale senza essere, forse, mai acquistato perché vicino c’è l’etichetta civetta. Morale della morale? Come ottenere grandi profitti da piccoli margini, un vantaggio per l’economia del Paese, non l’Italia!
L’invito, allora, è di comunicare le cose per come stanno davvero, è di essere meno ingenui.
Quarto messaggio fondamentale: il miglior vino non si fa dove non arriva nessuno ma dove, invece, esiste una organizzazione strutturata che investe, anche in ricerca; se la filiera è precaria, tale condizione si propagherà su ogni attore della stessa. L’invito è la cautela contro la voglia di “aggressività” del mercato, un “no” ai finti e facili guadagni che si trasformano in grandi “perdite” dell’’immagine collettiva.
«Il Taurasi è un vino di montagna e tali caratteristiche territoriali devono emergere nel bicchiere» dice Piero Mastroberardino «esistono bottiglie che hanno almeno dieci anni sulle “spalle” e che dimostrano di essere fini, eleganti». Alcune espressioni di questo “nobile” prodotto tendono, invece, a proporlo con fattori di una certa “aggressività”, quasi snaturandolo.
Ma cosa ne pensa l’economista dei cosiddetti vini naturali? «Ci sono più risposte del mercato, il tema della sostenibilità ha le sue fasi, in quella di “lancio” c’è una grande confusione, ognuno crede di avere lo slogan vincente, si pensi a “green economy” ad esempio. Considero “biologico” un vocabolo privo di significato e “biodinamico” una classica economia di nicchia per ridurre l’intensità competitiva. I disciplinari prevedono già dei controlli ed un’affermazione di qualità».
Non c’è che dire una sagace argomentazione in perfetta linea con il tema della giornata.
Quinto messaggio fondamentale: quello che tutela la filiera è il guardare alla sostenibilità dalla vigna al bicchiere. Va, poi, affermata l’unicità del prodotto, la non replicabilità del “sangue della terra” (per dirlo alla contadina), unico connubio per ottenere la “complessità”.
In sala tutti i calici sono stati riempiti con i “gioielli della Famiglia Mastroberardino”, nei bicchieri l’espressione del territorio voluta dal Produttore/docente di economia, espressione delle massime eccellenze in fatto di D.O.: Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi.
Il Prof. ci ha regalato proprio una bella Lezione!
Scrivi un commento