Il programma del Master continua, prosegue la poliedrica visione della Campania del Vino, intra moenia ed extra moenia, raccontata, con piglio olistico, da 5 grandi attori, ognuno con la sua parte, ognuno con il suo carattere, una “rappresentazione” in 4 Atti + 1 per emozionare il pubblico degli appassionati:
• Primo Atto , Pierpaolo Sirch, in … “L’Agronomo”
• Secondo Atto, Luigi Moio, in … “L’Enologo”
• Terzo Atto, Manuela Piancastelli, in … “Il Comunicatore” (le voci di “dentro”)
• Quarto Atto, Piero Mastroberardino, in … “L’Economista”
• Atto Conclusivo, Armando Castagno, in … “Il Comunicatore” (le voci di “fuori”)
Terzo Atto: Manuela Piancastelli, in … “Il Comunicatore” (le voci di “dentro”)
Che si “sentissero” davvero “le voci di dentro” ci avrei scommesso tutta la posta! Manuela Piancastelli è oggi in scena nella doppia veste, di giornalista e produttore di ottimi vini autoctoni a Castel Campagnano, affacciati sul Casertano ramo del Volturno. Venti anni presso “Il Mattino” ed ancora alla RAI, decide, infine di diventare Produttrice e fare cultura del vino con il vino!
La sua capacità di grande comunicatrice si svela immediatamente ed entra nel tema senza uscire mai fuori traccia.
Esistono tre categorie e due sottocategorie nel mondo della comunicazione. 1) Il giornalista, che ha fatto un percorso formativo complesso, che utilizza regole condivise, che per lui notizia e verità sono il codice deontologico da seguire, il principio ispiratore e che, in genere, proviene dalla carta stampata e con il tempo si è dovuto adeguare ai nuovi mezzi di comunicazione (video e web); a questa categoria appartiene anche il giornalista enogastronomico. 2) Il comunicatore, una figura più generica che ha la “licenza” all’uso dell’inventiva evocativa di qualche percezione; questa figura filtra una notizia per trasformarla in messaggio, è anche il demiurgo che avvicina chi propone un prodotto e chi deve consumarlo, per dirla all’americana, “esporta democrazia”. 3) L’opinionista, che non deve necessariamente avere conoscenze specifiche ma possedere una grande cultura per poter dire la sua, praticamente su ogni cosa; la libertà in cambio di una capacità di articolazione del pensiero al di sopra della media. Questa figura, un tempo difficile da conquistare e perciò appannaggio di pochi, negli ultimi anni si è molto inflazionata a causa degli mezzi di comunicazione veloce (la rete), accessibili a tutti; il web ha scompigliato le regole portando alla ribalta, in tempi prima inimmaginabili, chi ha saputo utilizzare questo strumento di divulgazione di massa. Opinionisti, oggi, sono tutti”! Ma si hanno i titoli per “operare”?
Nell’immaginario collettivo la semplicità d’azione è messa in diretta correlazione con la vita ordinaria, in pratica si pensa che più una cosa è quotidiana e più è facile da fare; il vino è l’alimento di ogni giorno per cui tutti ne parlano anche senza avere competenze specifiche.
Si è in presenza di una falsa democrazia della parola!
La suddivisione in sottocategorie si può sintetizzare così: coloro che amano raccontare e coloro che amano giudicare e criticare; per entrambe, anche questa volta, la “specializzazione” servirebbe ad evitare “guai” e di far passare falsi messaggi con ritorni negativi sull’oggetto della comunicazione.
Primo messaggio fondamentale: la Campania, anche in questo “settore”, sembra aver goduto di buona sorte: i comunicatori ed il mondo del “vino” che si andava formando sono cresciuti insieme; la Regione è “esplosa” ed ha recuperato il tempo perduto favorendo la “proliferazione” di un numero elevato di produttori, molti anche di qualità. «I primi pezzi di Luciano Pignataro passavano nel comparto di economia e sviluppo imprenditoriale, negli ultimi 12, 13 anni la situazione si è addirittura ribalta» racconta Manuela Piancastelli.
La giornalista-produttrice ricorda l’intuizione di Davide Paolini, definitosi poi “Gastronauta”, che proprio su “Il Sole 24 ore” ha cominciato a parlare di enogastronomia in modo differente puntando molto sull’aspetto culturale.
Avere i “comunicatori” insieme al “comparto” non è una cosa così comune, basti pensare, ad esempio, al Piemonte ed alla Toscana, due Regioni dove la cultura del vino è nata molto prima di quella della comunicazione del prodotto; la divulgazione dell’enogastronomia, in Campania, è cosa relativamente giovane, come recente (fatte le dovute eccezioni) è la vera crescita del settore. Conoscere i produttori, le loro storie, diventa allora molto importante.
Secondo messaggio fondamentale: la Campania è molto “raccontabile” ed ha cose che altre Regioni non hanno, la ricchezza straordinaria di circa 100 vitigni autoctoni, la straordinaria narrazione che si può fare sulle differenze potendo “volare” sui temi che ne scaturiscono, la ricchezza della Terra, la sua varietà che è stata la salvezza dall’omologazione dei vitigni alloctoni, più comunemente chiamati “internazionali”.
Questi aspetti positivi generano, con simmetrica evidenza, anche alcune difficoltà: «Come si fa a parlare di Caprettone, Pallagrello, Casavecchia o Coda di Volpe fuori dalla Campania, ancor più all’estero?» è la domanda, retorica, che pone la Piancastelli.
Tra gli aspetti positivi emerge la consapevolezza che il mondo del vino viaggia a parte e riesce anche a “rompere” i pregiudizi, facendo passare in secondo piano le “piaghe” che affliggono il Territorio, la camorra e l’emergenza rifiuti, solo per citarne due, eufemisticamente imbarazzanti e dannose.
Terzo messaggio fondamentale: non esiste un Progetto Comunicazione del Vino in Campania, non esiste un racconto univoco come succede, ad esempio, in Toscana dove si comunica fortemente un territorio, anche al di la del prodotto specifico. In Campania ogni Cantina ha il suo frutto della terra, la sua storia, la sua “nicchia”, ogni Azienda è “autonoma” e “frammentata” e sembra ergere “campanili” a far da baluardo, trasformando i confini delle vigne in mura di difesa contro un “nemico”, di fatto, inesistente che, inquadrato nella giusta ottica, può diventare il migliore alleato per “combattere” le vere battaglie, i cui “campi”, bisogna rendersene conto, sono “fuori Contea”.
«La Campania è ricca di storia ma non ha la storia del racconto di se stessa» dice Manuela Piancastelli che replica «c’è stata una sorta di interruzione temporale, pensiamo al “falernum” … è bello sognare».
Ed è proprio nell’onirica formulazione del pensiero che prende vita il quarto messaggio fondamentale: bisogna avere un grande obiettivo comune: unirsi e decidere cosa raccontare della Regione (storie, differenze, qualità).
Raccontare le diversità ed inserirle in un Territorio significa divulgarne l’eccellenza e le specificità che valgono molto più di una insana, sterile e mortificante globalizzazione.
Prende vita, allora, un mosaico della comunicazione che sa quello che deve dire, sa cosa significa qualità delle differenze, sa far sognare con una grandissima forza evocativa.
In Campania esistono pochissime Grandi Famiglie del Vino (azzarderei a dire una sola), ci sono però tantissime persone che hanno deciso di tornare al mondo del vino, alle origini della “fatica contadina” e che, oggi, diventano una risorsa enorme per il mondo della corretta e sana comunicazione.
Come sempre accade esistono anche i cialtroni e gli improvvisati la cui “miscela esplosiva” viene, inesorabilmente, generata quando si tende a valorizzare, a tutti i costi, quello che non c’è perché manca un’onestà intellettuale, una morale che dovrebbe agire da freno alla fuoriuscita di messaggi devianti e fuorvianti, quelle forme di raccontocriticodivulgativodelgiudizio che sono solo forieri della disgregazione dell’immagine di un prodotto di qualità e delle sue derivate di inevitabile impoverimento, una “fatica” a cui sarà sottoposto il Territorio tutt’altro che “contadina”.
P.S. … ovvero … “titoli” di coda dove “scorrono” i vini portati in degustazione da Manuela Piancastelli di “Terre del Principe”, i vignaioli del Pallagrello e del Casavecchia, come recita la frase sotto il logo della Cantina e qualche domanda dell’istrionico Giovanni Ascione all’affascinante Giornalista-Produttrice.
La risposta di Piancastelli, di cui lascio qui traccia, è “il punto di vista del comunicatore” sui cosiddetti “vini naturali”: «una tendenza trasversale che sta attraversando il mondo della comunicazione, le mode ci sono sempre, si creano e si autodistruggono anche in tempi brevi, tutto viene esasperato. Penso a questa tipologia come offensiva in quanto presuppone l’esistenza anche di “vini innaturali”. Come comunicatore aziendale non dico che faccio vini naturali ma vini che rispettano la natura. Un vino, infatti, è naturale quando è rispettoso del suo territorio, nelle piccole produzioni succede spesso anche se non si utilizza il “corno letame”» (corni di vacca riempiti con deiezioni fresche che vengono interrati nelle produzioni in regime di viticoltura biodinamica).
I vini, splendidi e luminosi gli “Ambruco”, Pallagrello Nero in purezza, declinati nelle ultime tre annate: 2010, 2009, 2008 in una miniverticale esclusiva per AIS Campania.
[…] Si può immaginare la piacevole sorpresa, mista ad emozione, quando sugli schermi giganti della Sala è apparsa la frase che ho utilizzato finora per presentare e descrivere questo evento: “le voci di fuori” di Armando Castagno in “contrapposizione”, culturale, alle “voci di dentro”, di edoardiana memoria, “recitate” da Manuela Piancastelli in un precedente incontro. […]