Sabato 20 Aprile 2013, un’insolita sveglia nel week-end ci ricorda che non si finisce mai di imparare. E’ tempo di ritornare tra i banchi, quelli di un’ambita scuola, la scuola di sommelier. Così, alle 9 in punto, ci si ritrova nelle stanze dell’Hotel Ramada di Napoli, in una sala lignea adornata da lampadari a luce calda in stile Musée du Louvre. Sotto i piedi, una moquette dalle linee tridimensionali attutisce il passo degli ultimi arrivati, mentre dall’alto di un palchetto il professore è già al benvenuto. La voce rasserenante di Pierpaolo Sirch (agronomo di fama internazionale, nonché amministratore delegato dell’azienda Feudi di San Gregorio) apre così una serie di cinque incontri dedicati a soci e sommeliers Ais, in cui si parla e si parlerà di Campania. Un ciclo che, lungi dal generare equivoci politici, potremmo però, senza peccare, definire a 5 stelle, visti i cinque emblemi (rappresentante ognuno una categoria di addetti al settore enologico), selezionati dall’Ais per riprogrammare la formazione dei corsisti. Cinque incontri, dunque, cinque lezioni che risponderanno ai nomi di Pierpaolo Sirch, Luigi Moio, Manuela Piancastelli, Piero Mastroberardino e, per finire, Armando Castagno. Cinque giorni in cui si studierà la Campania del vino ed il vino della Campania. Una Campania così vicina, eppure così lontana dall’essere compresa, come ammette lo stesso Pierpaolo Sirch, quando, nell’elogiare il grado di autenticità preservato dalla nostra Terra, mette a nudo la difficoltà di trasmettere una mentalità volta alla tutela dell’autoctono al cospetto dell’internazionale. Affronta temi importanti Sirch, spaziando dalla difesa del terroir alla preziosità della biodiversità, e lo fa nella veste di soldato del Creatore, che nel parlare dei campi e della vite sembra impalmare una spada in senso di difesa. Così, tra il silenzio dei presenti, figlio dell’approvazione quanto del rispetto, l’inerte terra subisce, grazie all’oratore friulano, un processo di vivificazione; i boschi si fanno polmoni e le colline diventan rughe, i ruscelli simulano sudore di un viso su cui brillano mille e mille occhi, fatti ora di un frutto, ora di un fiore. Parte poi un’intervista, egregiamente condotta da Giovanni Ascione, in cui vien fuori, come saggiamente sottolineato dal Delegato Ais di Napoli, Tommaso Luongo, il Sirch uomo del vino, la cui umiltà va ben oltre i lustri di una carriera impressionante. Alle domande sulla genesi del suo percorso, sui princìpi da sui seguiti, e sulla filosofia da lui adottata in vigna, Sirch racconta che fu un giornalista ad apostrofarlo, per la prima volta, “preparatore d’uva”, quando lo stesso Sirch chiedeva lui il perché della tendenza, da parte della stampa, ad osannare i soli enologi. La risposta fu che gli agronomi erano, e sarebbero stati, sempre in seconda linea, che essi, dopo tutto, erano dei “preparatori d’uva”. Fu la molla che fece scattare Sirch. Quanto alle linee guida del metodo Simonit-Sirch, l’agronomo invoca il rispetto estremo della pianta: pochi tagli ed attenzione maniacale ai funghi. Le malattie del legno, dice, sono la nuova filossera! Incalzato, poi, su quanto di buono e di nuovo abbia fatto per il mondo dell’uva, Sirch sfata un mito dicendo “Non abbiamo inventato niente, abbiamo solo raccolto le esperienze di chi ha fatto da sempre vino, ed abbiamo messo a punto un metodo, tutto qui”. C’è spazio, dunque, per una domanda sul biodinamico. Stavolta c’è meno enfasi nella risposta, e Sirch si limita a dire “Attendo ancora che scatti la scintilla, per ora non è il mio habitat”. Seguono un paio di domande sui gusti personali dell’agronomo, a cui egli ben si presta. Emerge un dato: è amante dei vini bianchi. Una degustazione di quattro vini da uva Fiano, vendemmia 2012, provenienti dalle zone di Sorbo Serpico, Santo Stefano, Lapio e Sant’Angelo, chiudono una mattinata da incorniciare, e confermano quanto sostenuto a bassa voce dal gladiatore gentile, professore per un giorno e maestro per la vita. Su tutto ricorderò, di questo ameno giorno di Aprile, un aneddoto raccontato da Pierpaolo Sirch. Qui di seguito ne riporto la versione integrale. “In Francia, visitando una vigna di Cabernet Sauvignon, vidi che le viti erano poste ad un metro e trentacinque centimetri l’una dall’altra, notando però che solo un piccolo ramoscello di pochi centimetri per ogni vite dava uva. Chiesi allora al vigneron il perché di tale assurdità, quale senso avesse quello spazio vuoto. Lui mi guardo e mi disse: quello spazio servirà a mio figlio, quando la vite sarà cresciuta..” Mentre lo raccontava era come in estasi. Questo è Pierpaolo Sirch oggi.
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