Di Fosca Tortorelli

 

“La scoperta del caffè fu, a suo modo, importante quanto l’invenzione del telescopio o del microscopio. Il caffè infatti ha inaspettatamente intensificato e modificato le capacità e la vivacità del cervello umano.”

Heinrich Eduard Jacob

Il nostro terzo appuntamento si svolge nel quartiere del Vomero, che costituisce la principale e più vasta delle zone collinari della città, le altre si identificano nelle alture dell’Arenella e nel promontorio di Posillipo.

E’ il cuore commerciale e residenziale di Napoli, con una popolazione globale equivalente a quella di una cittadina di medie dimensioni e, data la sua posizione, viene spesso considerato quasi come una città a sè stante. Fino alla fine del 1800, quest’area era quasi totalmente agreste, e vi si potevano trovare solamente sporadiche masserie e qualche villa nobiliare.

I primi interventi di una urbanizzazione moderna risalgono agli ultimi anni dell’Ottocento, con gli investimenti della Banca Tiberina nella zona delle attuali Piazza Vanvitelli e via Scarlatti; ma il forte sviluppo del quartiere si è avuto negli anni ’50/’60 del secolo scorso, e purtroppo in molti casi si è trattato di urbanizzazione selvaggia, senza vincoli e controlli.

Tuttavia, in numerose strade e zone del Vomero rimangono ancora gli edifici più antichi: si possono osservare caratteristici esempi dello stile Liberty di inizio ‘900, e anche qualche villa.

Ed è proprio in questo ricercato quartiere, che i caffè ed i bar sono sempre stati una istituzione.  Logicamente è stata Piazza Vanvitelli a vedere aprire i primi esercizi: all’inizio c’era solo il caffè di Don Ciccio, aperto notte e giorno, pronto a rifocillare all’alba gli operai delle prime edificazioni. Nel 1912, in Via Scarlatti 104, Daniele aprì un negozio di “coloniali”, poi diventato notissimo bar e storico punto d’incontro per tutti i vomeresi. Fra le due guerre, comparve il Nuovo Caffè Vanvitelli e verso la metà del Novecento fiorirono numerosi bar.

Insomma come avrebbe detto il grande Toto’… ”Ho detto tutto!”.

Per questo motivo non è stato facile scegliere dove approfondire altre curiosità su questa complessa bevanda. Mi sono lasciata guidare dal cuore, dalla storia e dal gusto e mi sono fermata al numero 69 di Via A. Scarlatti, dove dal 1958, il Caffè Antico Mexico, cerca di soddisfare i più esigenti consumatori. Il locale è tra le sedi storiche dove vengono utilizzate le miscele top della produzione Passalacqua e dove viene curata in modo particolare la preparazione del caffè seguendo poche, ma fondamentali regole.

 Come sempre prima di iniziare l’intervista ordino un caffè, sono le 15.30, orario ideale per poter approfondire insieme a Michele, giovane ma esperto barista, le curiosità di questo marchio e sorseggiare la preziosa bevanda.

Peculiarità del bar è proprio la possibilità di scelta tra due miscele top, la Moana e la Passalacqua Harem, entrambe arabica 100% (quest’ultima assolutamente la numero uno per gusto e olfatto e naturalmente non posso non sceglierla).

  Ma passiamo al nostro approfondimento e come sempre inizio con qualche domanda meno tecnica, che riporto in forma di botta e risposta:

– Cosa rappresenta il caffè a Napoli? Come viene visto da Turisti e cittadini?

 “A Napoli il caffè rappresenta uno stile di vita, un vero e proprio culto.”

 

– Quali difetti non deve mai presentare un caffè?

 “Non deve lasciare sensazioni spiacevoli, quali un gusto amaro o astringente.”

 

– Quale può essere la “sposa ideale” del caffè? (a quale dolce, della tradizione o non, vi piace accompagnarlo)

 “Se vogliamo degustarlo sicuramente è preferibile berlo da solo, bevendo un sorso di acqua prima della valutazione, berla dopo potrebbe lasciar sottendere che il caffè non ci ha lasciato piacere, bensì fastidio.”

 

– Quale deve essere la filosofia del vostro caffè?

 “Bollente, dolce al gusto – intendendolo non zuccherato – delicato; in bocca poi si deve riconoscere il flavour ossia la ricchezza e la corposita’ del gusto.”

 

 Per ciò che attiene, invece, l’aspetto dell’approfondimento più tecnico, ho pensato di rivolgere le seguenti domande:

–  La macchina (la tipologia, il settaggio, il lavaggio, la manutenzione)

 “Abbiamo una macchina San Marco a leva, la pulizia è rigorosamente giornaliera, solo con acqua e prodotti  appositi di tipo Haccp”.

 

– La mano del Barman incide?

 “Come si interrogava il grande Eduardo De Filippo fare un caffè è facile o è ancora un’arte?

Il primo passo fondamentale è il creare una miscela perfetta e in secondo luogo, imparare ad utilizzarla al meglio.

Bisogna dunque riconoscere che sulla qualità dell’estrazione influiscono essenzialmente le famose “5M” (alcuni ne riconoscono solo quattro):


– miscela
– macchina
– macinadosatore
– manutenzione
– manualità


Ovviamente essendo il caffè un prodotto semilavorato, ci sono anche altri fattori che incidono, quali ad  esempio la conservazione delle buste o dei fusti, pulizia della campana del macinadosatore, qualità dell’acqua, tipo di addolcitore impiegato a monte. Anche la taratura del Macinadosatore deve essere effettuata ogni giorno, operazione indispensabile per avere una bevanda ottimale, in quanto il risultato finale varia in funzione del tasso di umidità. Riguardo la pulizia delle tazzine utilizziamo uno scaldatazze a filo diretto e ad acqua continua”. Inoltre la differenza sta soprattutto nella macinatura e nel tarare adeguatamente il macinino.”

 

– Che tipo di acqua utilizzate?

 “Acqua depurata anche con addolcitori.”

 

– Umidità (incidenza e condizioni ideali)

 “L’umidità incide notevolmente, proprio per questo il macinadosatore va tarato giornalmente, e a volte anche più volte nel corso della giornata.”

 

– Miscela e tostatura (segreti, difficoltà, parametri di ottimizzazione)

 “Offriamo diverse miscele, sia al banco che per casa. Quelle al banco sono due , Moana e Harem, mentre per casa consiglio la Mexico.

L’Harem è una 100%  arabica dal gusto dolce e delicato. Non scontato per molti va detto che la compresenza di due miscele prevede necessariamente due macinadosatori distinti.

Nessun segreto e nessun mistero, sulle provenienze delle basi e sui macchinari, fatta eccezione per la composizione della miscela. Il segreto risiede proprio nel dosare la qualità arabica dal gusto dolce e delicato alla qualità Robusta più decisa e corposa  (nei caffè Passalacqua la Robusta non supera mai il 30% per non rendere aspre e amare le miscele).”

– Tazzina (quanto incidono tipo, temperatura, pulizia)

 “E’ da preferire l’uso della classica tazzina di porcellana, che va rigorosamente servita bollente. Inoltre nei nostri bar il caffè viene servito zuccherato, a meno che non venga fatta esplicita richiesta, in quanto se tale operazione venisse fatta in un secondo momento, si perderebbe la giusta temperatura di degustazione e la crema si spaccherebbe”.

 

Anche questa volta l’incontro si è rivelato un piacevole scambio di curiosità; del resto Michele ha scelto questo mestiere fin da piccolo, soprattutto per il piacere del contatto con il pubblico. Inoltre dopo diciotto anni che lavora è sempre entusiasta e consapevole di avere sempre qualcosa da imparare. Sono diversi i baristi che si alternano nel sempre affollato caffè, ma non posso non citare il suo collega Enzo (purtroppo non presente al momento dell’intervista), che oltre alla mano d’oro nel preparare il caffè, ha un tocco speciale, tale da far affiorare un sorriso anche nella giornata più nera, creando quella sottile confidenza che solo alcuni comunicatori riescono a fare.