Ormai è passato un anno da quando per la prima volta nella scorsa edizione tre pizzaioli sono stati chiamati sul palco del Milano Convention Center dal patron Paolo Marchi insieme ai migliori chef d’Europa. Una decisiva apertura ad ampliare a tutto tondo il respiro di questa manifestazione; un ragionamento sulla neogastronomia arrivato a maturità: il cibo nel terreno delle necessità, delle tradizioni culturali e delle spinte innovative è l’insegna di un modo di vivere e di pensare il territorio, l’ambiente, il milieu come direbbero i francesi, quella profonda relazione cioè esistente tra spazio e società.
Il prodotto della bottega del pizzaiuolo è il risultato finale di un bisogno, di una storia e di esigenze rinnovantesi incessantemente, cerniera tra la filiera produttiva ed il consumo.
Il pizzaiuolo nelle vesti, e come un cuoco, sceglie le materie prime ed attinge a questa filiera, è sua la responsabilità della proposta, è sua la sensibilità, è sua la voglia di migliorare se e i suoi clienti.
È con questa voglia di identificazione, con questa nuova consapevolezza e con l’emozione di trovarsi sullo stesso palco di Redzepi, Esposito e Bottura che Enzo Coccia, pizzaiuolo in Napoli e Franco Pepe a Caiazzo nell’alto casertano, incontrano Milano.
«Mi sono sempre sentito figlio di un dio minore, cugino povero della professione del cuoco, così inizia Coccia. Poi ho capito che il pizzaiuolo che non avvisasse l’urgenza del conoscere le materie che usa, delle tecniche degli impasti, che non sapesse distinguere uno Sherry da un San Marzano, una coratina da un leccino, un piedirosso da un aglianico, non avrebbe mai avuto un ruolo da protagonista nella nostra professione ».
È con questo messaggio ci introduce alle probabili origini della pizza napoletana, che prima di essere un prodotto da forno, poteva riconoscersi in quelle pizze fritte, in quelle zeppole dolci che venivano preparate nelle omonime botteghe nei vicoli di Napoli, così come ritrovato nelle iconografie del ‘500, cibo di strada che doveva sfamare la terza città d’Europa per grandezza. Un bel viaggio sino ai giorni nostri interrotto ad un certo punto dal profumo dei diversi tipi di pizza fritta che Enzo e la sua equipe intanto ci avevano preparato, suscitando l’immediato entusiasmo della platea.
D’altro canto Franco Pepe, interprete con le sue tecniche d’impasto basate sulla lievitazione naturale e con una lavorazione completamente manuale, avvicendandosi racconta di se, del suo cammino di ricerca: « La tradizione è un insieme di saperi tramandati che deve continuamente rimettersi in discussione in un contesto attuale e confrontarsi con le conoscenze sia scientifiche che tecnologiche. Non disdegno di usare il laser per confermare ai miei ragazzi come sia possibile riconoscere in modo empirico, così come mi è stato insegnato, la temperatura delle pareti del forno». Ed intanto, discorrendo di farine e di diversità delle pizze dei territori regionali, prepara il suo impasto nella maida.
Allo sfornare dalla bocca del forno di uno splendido calzone bolloso e fumante, si alza sommessamente un’esclamazione di meraviglia, rinnovandosi tra noi quello stupore che di fronte la forgia del fuoco da sempre suggella il rapporto con il cibo.
E mentre assaporavo ancora i sapori di farina, mozzarella e pummarole, già correvo nella sala Auditorium per ascoltare Redzepi e la sua cucina nordica.
Gli innumerevoli spunti e tra essi Identità di Pizza hanno arricchito questa manifestazione arrivata alla nona edizione, gemellata tra l’altro con Food&Wine creata da Helmut Kocher, padre del Merano Wine Festival,. Identità Golose è sicuramente un punto d’incontro di operatori, appassionati ed esperienze, è essa stessa un’esperienza che non può non lasciare rinnovati, e appena terminata se ne attende già la prossima con impazienza.
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Bello ed interessante questo articolo..
Nozionistico al punto giusto, mai pedante, avveniristico per il tema eppure di assoluta “digeribilità” alla lettura..
Bel lavoro!
GraziE mille!!