Di Franco De Luca
Cosa è che ci fa uscire di casa una sera di pioggia, freddo e vento come quella dello scorso 4 marzo in cui nemmeno i lupi sono usciti, ci fa raggiungere un bel ristorante ma che non si trova proprio dietro l’angolo, ci fa spendere una cifra notevole considerato che si tratta apparentemente di una semplice “cena con degustazione”, ci fa rientrare a casa tardi, ai limiti dell’etilometro e necessariamente dotati di una robusta scusa? Non lo so. Sono tanti anni che me lo chiedo, sta di fatto che ogni volta che mi prenoto ad un evento del genere, mentre mi annodo la cravatta davanti allo specchio, mi sorge sempre il dubbio: ma sarò normale? Per poi però scoprire, una volta seduto a tavola e con davanti 6 vini come quelli delle sfide che vi racconto, che vale la pena perdere di tanto in tanto il buon senso.
A tavola eravamo dodici apostoli, gli altri squilibrati erano (in ordine a come viene): Tommaso Luongo, Francesca Adelaide Di Criscio, Vittorio Cioffi e Gabriella Oliva, Pasquale Conversano, Massimiliano Grieco, Nicola Di Fusco, Immacolata Avena, Angelo Caprio, Fabrizio Erbaggio, chi vi scrive naturalmente ed infine il più folle di tutti, Francesco D’Alena, il proprietario del ristorante Nautilus di Varcaturo, la struttura che ci ha ospitato. Uno che per nostra fortuna ha il nostro stesso seme di follia in virtù del quale si possono organizzare eventi “a perdere”. E ditemi voi dopo aver letto cosa ci siamo bevuti e mangiato se dico eresie. Ma veniamo alle sfide.

I sfida: Il Brunello di Montalcino – Biondi Santi il Greppo 1999 Vs Soldera Riserva Case Basse 2001
Fabrizio Erbaggio ci presenta le aziende e le loro rispettive politiche e subito possiamo denotare che la differenza che ci aspettiamo dalla teoria è assai percettibile anche nella pratica. Il Soldera ha un’anima fruttata ed ammaliante, per usare un termine molto in voga diciamo che si mostra maggiormente ruffiano mentre il Biondi Santi è un Brunello duro e speziato già dal primo naso. La platea dei dodici apostoli si divide e non è mai un caso se il palato femminile predilige vini più rotondi nel finale. Ma tutti però riconoscono la maggiore complessità e persistenza de Il Greppo e Fabrizio ci spiega che esso rappresenta meglio il brunello di 30 anni fa, e che si tratta del modello con il quale l’azienda persegue la tipologia di vino diciamo “originale”. Un po’ come accade con i Barolo ed è proprio dei Barolo che si occupa la seconda sfida
II sfida: Il Barolo – Conterno Riserva Monfortino 1995 Vs Scavino Riserva Rocche dell’Annunziata 1998
In questa sfida e nella successiva c’è meno lotta, ed è un peccato che il Barolo di Scavino si sia dovuto confrontare con un nemico tanto forte, ma andiamo per gradi. Stesso territorio, stessa esposizione (sud- sud-est), simile altitudine (300-400m l.m.), stessi terreni di marna argillosa, insomma cosa cambia principalmente? Cambia che nei 14 ettari della vigna di Cascina Francia, il raccolto della zona migliore, quella più in alto e dove su ogni tralcio viene lasciato soltanto un grappolo, viene destinato alla produzione del Monfortino. Segue poi una macerazione lunghissima dove il mosto inizia il suo sodalizio con il legno di rovere sebbene non incontrerà mai in tutto il suo percorso una sola botte piccola. Una lavorazione con un’attenzione quasi maniacale se paragonata al mezzo ettaro della vigna di Rocche dell’Annunziata dove sin dai primi momenti il vino conosce i benefici più facili ed immediati della barrique. Il confronto non c’è, il Monfortino piace nettamente di più ma bisogna sempre considerare che nel rapporto qualità prezzo il barolo di Scavino si colloca forse addirittura meglio del suo concorrente. Ma a calici schierati non possiamo non ammettere che il Monfortino 1995 non ha eguali confermando, secondo il mio modesto parere, che stiamo davanti ad uno dei più armonici vini del mondo.
III sfida: Amarone Quintarelli 1995 Vs Romano Dal Forno 2000
Qui la parola passa a Tommaso Luongo che come me ha pochi peluche da far pallottole, la distanza tra Quintarelli e Dal Forno è abissale. Il secondo è di 5 anni più giovane ma sembrava suo nonno. Non che presentasse problemi, anzi sarebbe stato un grande amarone se lo avessimo bevuto da solo, ma rispetto all’altro appariva cotto, maturo e gravoso. Quintarelli invece ha espresso un’agilità che non potevi immaginare in un vino tanto opulento, in cui la presenza alcolica era assolutamente in armonia con la straordinaria gamma di sensazioni odorose terziarie ma anche di frutta non particolarmente matura. Una minoranza dei presenti lo ha legittimamente indicato come primo vino della serata, io mi sono dissociato non solo per amore del Barolo ma anche perché di questo vino ho gradito meno il finale eccessivamente dolce che lo rende difficile poi da abbinare.
Di seguito abbiamo pasteggiato con ancora tutti i vini davanti, tuttavia per non farci mancare nulla e per onorare Pasquale che lo ha offerto, abbiamo unito a questa schiera di campioni un Barbera d’Alba di tutto rispetto, Roberto Voerzio del 1996 riserva Pozzo dell’Annunziata… in magnum. Ditemi voi.
I piatti sono stati i seguenti:
Insalata fredda di maiale – con un pregevole pomodorino caramellato
Parmigiana di melenzane – straordinaria alternanza di croccantezza e morbidezza, fritto e forno, la felicità in punta di forchetta, senza dubbio il piatto più sensazionale della serata. Complimenti di cuore allo chef e… … e ho detto tutto!
Raviolo di ricotta di fuscella con melenzane affumicate , pomodoro passato cotto del piennolo e scaglie di laticauda stagionato – c’è poco da aggiungere è giù tutto nel nome, ha detto di nuovo tutto!

Filetto bordato di maialino, papaccella croccante con riduzione al Pallagrello e gelato al parmigiano – piatto eccellente che però ospitava un intruso, qui viene fuori una minima quanto amichevole vena polemica. Comprendo la logica ad alternare croccante-morbido o freddo-caldo e via dicendo ma temo sempre un po’ la deriva che possono intraprendere certe tendenze, nella fattispecie, se il freddo esalta la durezza, il gelato al gusto del sapido parmigiano ha senso? Ma a parte il preconcetto che ammetto e che è figlio solo del mio gusto che conta quanto il due di spade a briscola, devo dire è stata la cosa che oggettivamente ho gradito di meno.
Mela cotta all’aglianico – in linea con le aspettative
Sanguinaccio, chiacchiere e castagnole – qui ci inchiniamo, le castagnole (zeppoline sferiche fritte, zuccherate e farcite alla crema) erano mitiche e denotavano la grande arte pasticciera della struttura che nasce appunto circa 15 anni or sono con questa peculiarità. Vi assicuro che la leggerezza è un arte e le castagnole sono un’opera che vale da sola la passeggiata a Varcaturo.
Non mi dilungo oltremodo, solo per dire che queste occasioni sono necessarie per chi vuole avere a che fare con i vini, e sebbene siano impegnative sotto diversi punti di vista, rappresentano il miglior modo per comprendere che la qualità ha talvolta un costo solo apparentemente ingiustificato. Ringrazio (credo a nome anche di Fabrizio e Tommaso) Francesco D’Alena per la sua ospitalità sperando che non gli ritorni troppo presto il senno e che ci aiuti ad organizzare ancora sfide del genere… in modo che davanti allo specchio nell’annodare la cravatta io possa ancora pormi la domanda: “ma sarò normale?” per potermi ancora rispondere: “Ringraziando Dio no!”