Di Nicola Campanile
Ho sempre pensato che di questi tempi fosse opportuno incoraggiare e stimolare i produttori di vino riconoscendone meriti e qualità e che non fosse il caso di mettere in discussione il loro operato o, tanto peggio, suggerire loro cambiamenti di rotta. Ma grazie al felice scambio di idee avuto con i wine buyers e wine writers che dall’America, dalla Polonia e dalla Danimarca sono giunti alla 5 giorni di Radici Wines Experience, mi sono totalmente ricreduto. Le indicazioni da loro fornite in modo circostanziato e professionale mi sembrano preziose e convincenti e leggo sui blog di alcuni amici che anche a loro è arrivato un identico messaggio. Mi spiego.
Nell’attesa degli ultimi ospiti stranieri che stavano arrivando, ho avuto il piacere di pranzare velocemente con due buyers americani che mi informavano riguardo le ultime tendenze d’oltreoceano in campo enogastronomico. A titolo d’esempio citavano il fenomeno Mac Donald: ormai la clientela del famoso fast food è composta prevalentemente da adulti, quelli non solo intossicati ma divenuti “dipendenti” dal genere di alimentazione che vi si “eroga”. I più giovani invece, destinatari del processo di demonizzazione attuato evidentemente con successo nei confronti delle cattive abitudini alimentari, ricercano non solo cibi di qualità ma identificano in questa categoria soprattutto cibi la cui provenienza sia certificata come a ulteriore garanzia della loro genuinità. Sono anche spinti a rendere meta dei loro viaggi luoghi in questo senso rinomati. Mi descrivevano una vera e propria rivoluzione culturale che mi dicono riguardi anche il settore enologico, non solo il cibo, che sta modificando lo stile di vita delle popolazioni più sensibili e attente, normalmente più giovani, per forza di cose i maggiori fruitori di sistemi rapidi e potenti di informazione e divulgazione.
Il fenomeno dei vini che dovevano piacere a tutte le latitudini e longitudini sta cedendo il passo a prodotti sempre più identitari, uguali solo a loro stessi, buoni anche in virtù di questo, che siano italiani, francesi, messicani o cileni. L’ormai superato concetto del vino “moderno” trova ancora spazio sui mercati cinese e mediorentale, gli ultimi approdati a questo settore, dove il prodotto di moda trova consenso forte di gusti e competenze che devono ancora affinarsi. Ma il mercato americano, mi spiegavano i due buyers, sta velocemente cambiando e soprattutto è sempre meno disponibile ad accogliere prodotti che non corrispondano a criteri di unicità, territorialità, tipicità che sono sempre più apprezzati e graditi anche dall’utente finale. A conclusione della loro analisi, secondo i miei ospiti, i produttori, che non sapranno interpretare questo cambiamento rischieranno di vanificare gli sforzi nel gesto inutile di ripercorrere strade battute da altri e da quest’ultimi già abbandonate a favore di percorsi alternativi indicati dalle nuove tendenze ed esigenze che si osservano nascere in questo settore. Il consiglio, insomma, che hanno voluto rivolgermi è di suggerire ai produttori locali di modificare per tempo la loro filosofia, la loro politica, per andare incontro alle nuove necessità emergenti. Mi rendo conto che presentare a grandi realtà affermate la necessità di mutare repentinamente le loro strategie possa metterle in seria difficoltà, non fosse altro per la responsabilità nei confronti delle famiglie delle persone alle loro dipendenze, ma, promuovere nel medio termine un progetto di rinnovamento in tal senso lo sento come un dovere, anche morale.
Ecco perché nel 2011 il format del festival dei vitigni Autoctoni di Puglia e Basilicata sarà esteso, con qualche interessante elemento di novità, a tutto il Sud. Il grande evento si terrà ancora per quest’anno in Puglia, le aziende vinicole che guidano la rinascita della vitivinicoltura del Sud avranno la possibilità di mettersi in contatto diretto con la stampa nazionale ed internazionale più qualificata, abbinando la degustazione dei vini alle visite in cantina nei terroirs delle varie regioni, realizzati non più solo nella nostra regione ma in tutte le regioni del Sud. L’idea che possa esistere un percorso comune per i produttori non più solo pugliesi o lucani, ma di tutto il Sud, che intendono mantenere, preservare e promuovere a livello internazionale l’autenticità delle tradizioni locali, sta prendendo sempre più corpo e l’esigenza da parte dei produttori stessi, soprattutto delle più piccole realtà, di unire le forze e condividere strategie è quanto mai sentita. Presentarsi sulla ribalta internazionale sotto una stessa bandiera può voler dire sia ritrovare, attraverso un impegno univoco, la collaborazione e lo scambio di maggiori energie e rinnovate motivazioni, che, sotto il profilo promozionale, evitare il rischio che un messaggio troppo frammentato venga disperso e non se ne possa cogliere l’importanza. La funzione di Radici del Sud sarà proprio quella di stabilire le linee guida di questa futura politica comune; se accanto all’indiscussa qualità del prodotto si riesce a profilare una precisa identità sarà più facile affrontare la sfida dei mercati mondiali con successo.
Questa, sono convinto e fermamente ci credo, sia la rotta da seguire.
Scrivi un commento