Di Luca Massimo Bolondi
Questo scritto parte da una banale sequenza di esperienza – riflessione – volontà di comunicare. Questa sequenza guida tutti i report di eventi e i racconti di cose che si presumono realmente accadute. Applicando la sequenza a una degustazione di vini, è facile ottenere un’astratta quanto noiosissima sequela di aggettivi applicati a riconoscimenti, astratta perché il lettore che legge il racconto ha in mano la carta e non il calice, l’eloquenza che accompagna il sorso, però senza il sorso. Quando il lettore avrà, se mai avrà, quel vino nel suo calice, le condizioni di quel vino e della degustazione saranno diverse da quelle del racconto, e la carta servirà a poco. Ogni stappo è un evento quasi irripetibile e soprattutto nei grandi vini ad ogni bottiglia corrispondono una storia diversa e sfumature organolettiche diverse. Ogni degustazione può essere resa occasione di poesia, ma che siano versi a braccio, rigorosi nella metrica e rispettosi della rima, pregevoli in forma esclusivamente orale e possibilmente accompagnati dal vino nel calice. Infatti, l’unico vino buono è quello bevuto davvero.
Questo scritto parte da una banale sequenza e vediamo dove arriva. L’esperienza nasce da un’occasione, e l’occasione è tale se si è pronti a coglierla, altrimenti si parla di occasione perduta, che non muove alla riflessione ma al rimpianto e il rimpianto non viene il desiderio di comunicarlo in pubblico. Nella fattispecie accade che durante una riunione con Nicoletta Gargiulo, Tommaso Luongo e Massimo Florio, si parli di un incontro di lì a poco, all’Hotel Vesuvio, con il Marchese Frescobaldi, per la presentazione dei campioni distribuiti dalla sua azienda, con degustazione con la partecipazione di Tommaso e guidata da Nicoletta. Vuole il caso che all’ultimo momento la partecipazione venga estesa ai presenti e che l’incontro si riveli un G8 del vino, anzi un G4 che vede riuniti Marmoreto, Cos D’Estournel, Opus One e Chateau Haut-Brion, in rappresentanza dei principati del vino Chianti-Rùfina, Saint-Estèphe, Napa Valley e Médoc, congiunzione astrale di stelle fisse in una piccola porzione di cielo sovrastante il lungomare partenopeo. Farne esperienza, anche di uno solo, è cosa non comune, figurarsi incontrarli tutti insieme in una sola stanza, in una sola sera. Toccati dalla grazia, come gentleman bohemien chiamati a corte, la cosa muove alla riflessione, dopo il godimento naturalmente. Una sfida simile richiede stile e umiltà, non è solo l’invito a tuffarsi in un’orgia di squisitezze, è una esperienza sensoriale di altissimo profilo, sequenza di bontà, impone disciplina, divide et impera se si vuole uscirne vincitori. Cosa insegna allora un grande vino, a riconoscere i massimi valori della scala delle qualità in degustazione, e farlo chiudendo gli occhi aiuta a fugare il timor reverenziale dell’etichetta per concentrarsi sull’effettivo valore del prodotto. Sforzo immane, ma utile, fare conto di star degustando alla cieca, guadagnare concentrazione e freddezza per analizzare all’occhio al naso al palato e poi tornare a farsi conquistare dalle emozioni che la bontà complessa ci può regalare, abbandonarsi al godimento dopo aver apprezzato criticamente il bene offerto.
Toccare il cielo con un dito (di vino) ci aiuta a misurarne le altitudini cui, volando alto, potremmo arrivare. Dopo, ogni degustazione non sarà più la stessa, avendo imparato ad apprezzare sia la quotidiana semplicità di un vino sfuso sia la straordinaria opulenza di una bottiglia blasonata, conoscendo l’alfa e l’omega, il suolo e le stelle, avendo iniziato a sperimentare i passi che misurano questa distanza, ben sapendo che mai nessuno potrà percorrerli tutti. Come in una scala che ha un numero finito di gradini ma ciascuno di larghezza quasi infinita e che, come in una dimensione magica, cambiano periodicamente sotto i tuoi piedi. I vini del mondo sono tantissimi e ogni anno sono tutti diversi, almeno un poco, dalla precedente vendemmia: chi può dire di esserne l’enciclopedia? Quello del vino è un mondo strano, a farsi maestri si porgono non una ma entrambe le guance agli schiaffi della critica, perché c’è sempre qualcuno che ne sa più di noi… un mondo dove capita che il vignaiolo possa insegnare al cattedratico, dove un naso fino possa superare macchine da milioni.
Non ci resta che farci inesauribilmente curiosi, inesorabilmente disponibili, inestinguibilmente assetati. E ringraziare di cuore il destino gioioso che ci concede la imperdibile occasione di esserci.
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