Di Claudio Tenuta
Ci incontriamo nel giorno del “caro estinto” come dicono i beneducati e in rispetto a questa ricorrenza molto sentita a Napoli, mi permetto di intitolare la serata: “Una bottiglia per gli Dei“. Non ho voluto imporre nessun vincolo ai degustatori anarchici per dare libero sfogo alla fantasia e al sentire estemporaneo di ciascuno, l’unico vincolo, che sarà la costante di tutte le serate, è quello di portare la bottiglia rigorosamente in carta alluminio per metterci alla prova senza pregiudizi e stuzzicare le nostre memorie gusto-olfattive. Il temporale all’esterno invece di raffreddare l’ambiente lo riscalda, nonostante il gruppo sia nuovamente in formazione aggiornata e modificata, con le piacevoli new entry di Anna e Mimmo, immediatamente a loro agio e prontissimi a giocarsi le loro carte con grande simpatia. Si parte subito con un un bianco frizzante portato da Marilena, colore paglierino scarico, profumi delicatamente floreali e solo accennati di frutta a pasta bianca, in bocca la bollicina è abbastanza grossolana e nonostante entri piacevolmente dolce ha un finale marcatamente ammandorlato, non ci sono dubbi sul metodo Charmat ma il vitigno aguzza l’ingegno e ci confrontiamo sull’uva di origine con scarso successo (Falanghina, Greco, Verdicchio), la bocca avrebbe dovuto farci pensare, si tratta di Castoris Fiano Terre di Neda, un’azienda tra Castellammare di Stabia e S. Maria la Canta che produce con proprie uve il Gragnano e il Lettere, mentre acquista in Sannio per realizzare questo vino spumante leggero e fragrante ma anche un po’ in progress. Al tavolo in bella vista il tris di frittate ai tuberi tagliate a cubetti e pronte ad essere attaccate: la prima è fatta con cipolla rossa e pomodorino vesuviano cotta in olio extravergine, la seconda con patate, pepe e guanciale di maiale cotta in sugna e la terza con topinambur e raschera cotta in burro fresco, tutte purtroppo hanno sovrastato il primo vino. Si passa all’assaggio del secondo vino, quello di Fosca, la bottiglia è da mezzo litro…avrebbe forse dovuto farci pensare??? Nel bicchiere vediamo un colore paglierino con riflessi appena accennati sul dorato, il vino ha una bella consistenza ma è il naso che ci dona la sorpresa: è un naso oro antico, da vino ossidato, note di frutta secca si alternano a sentori di caramello e fiori essiccati con un finale anche marcatamente vegetale. la bocca è magra, perfettamente in corrispondenza con il naso per le sensazioni gustative, con una accennata sapidità e freschezza e un avvolgente alcolicità. Probabilmente servita a dieci gradi piuttosto che a 13/14° avrebbe dato una diversa impressione, io l’ho riprovata dopo qualche giorno e nonostante sia rimasto in bottiglia, aperta, ha conservato intatte le sue caratteristiche olfattive diventando addirittura più piacevole del primo assaggio. E’ un vino che non ci appartiene ma che conoscendo le esperienze lavorative di Fosca ci ha portato subito in Spagna, si tratta infatti di un Piedra Luenga Bio Fino da uve Pedro Ximènez della denominazione Montilla-Moriles, un vino da aperitivo che a qualcuno ha fatto pensare ai Vermuth (trebbiano in prevalenza) che le nonne offrivano agli ospiti dell’ultim’ora, un vino ottenuto con metodo soleras che nelle sue versioni Cream e Pedro Ximenez diventa un vino da tenere nel bicchiere e sorseggiare per una notte intera…questa versione secca, peraltro da coltivazione biologica, potrebbe essere un curioso e originale aperitivo su frutti di mare crudi. Le pietanze al tavolo aumentano, ci palleggiamo la pizza rustica di Anna con fiordilatte e prociutto cotto in pastasfoglia e quella di Teresa (assente, ma sempre tra noi con le sue preparazioni culinarie portate dal buon Lucio) a base di pollo, funghi e formaggio dei Pirenei. Serviamo il vino di Lucio e nel bicchiere fà bella mostra un bianco dal colore ambrato, c’è da dire nessuno porta vini facili-facili, il naso ha un terziario spiccato ma molto dolce di frutta essiccata (albicocca, mandarino, ananas) e di spezie (cannella, curcuma) con l’ossigenazione emergono note anche di sigaro giovane e molto altro…in bocca ha una struttura più importante del vino precedente e anche una freschezza più spiccata abbinata ad una adeguata sapidità. Qualcuno pensa al Marsala ma si tratta di una Vernaccia di Oristano Is Arenas 1988 di Sella & Mosca anch’esso ottenuto con metodo soleras di grande godibilità per la sua tipologia, difficile da abbinare a piatti salati, la tradizione fà pensare alla bottarga o a qualche pecorino sardo, è forse più indicato con un cubano leggero o rigorosamente da solo. Si passa al primo scherzo di Mimmo, o meglio una sua intuizione, un vino dal color giallo dorato, molto grasso nel bicchiere e con sensazioni olfattive calde di frutta matura e mieli di girasole e timo, i più smaliziati individuano subito una Falanghina surmatura, la bocca conferma la Falanghina ma con un’alcolicità non supportata da una adeguata freschezza e sapidità. Stiamo bevendo un Krai Domani Falanghina del Beneventano IGT 2007 di Meoli, un azienda che realizza delle fermentazioni e travasi a contatto con l’aria per dare al prodotto una certa evoluzione anche nei vini più giovani, ma non impiega uva surmatura. Si tratta di una piacevole sorpresa da riprovare, anche considerando il prezzo (4/5 euro) per classificarla nella sua versione fresca di cantina. Finalmente il primo rosso, è quello di Salvatore, in abbinamento al timballo di riso allo scorzone nero con finferli del Trentino tirati al vino rosso di MariaTeresa, il colore è rubino concentrato con riflessi purpurei, di discreta consistenza si esprime al naso con note fresche di visciole, amarene, sentori erbacei e di liquirizia e accenni di sottobosco, ma forse è il tartufo nel piatto?!? Bocca bellissima: ruvida, fresca, calda, molto persistente, ogni sorso ti chiama quello successivo, grande bevibilità…abbiamo riconosciuto che si tratta di un Aglianico anche se le note fragranti e fresche hanno sviato qualcuno sul Piedirosso in versione forzatamente evoluta, nel bicchiere siamo di fronte ad un Gricos Aglianico del Vulture 2007 dell’azienda Lucania sas di Piccin Fabrizio. La descrizione penso abbia dato l’idea di aver incontrato un vino a misura degli anarchici. Inizia la sfilata dei rossi, è in prova il vino portato da Anna, colore concentrato-impenetrabile, buona consistenza, naso molto intrigante sicuramente indirizzato su frutta in confettura ma con piacevoli sensazioni di cuoio e funghi, in bocca il vino esprime la potenza di un vino caldo del Sud, dai tannini in parte ruvidi e in parte arrotondati, mediamente sapido e fresco ma con un finale un pochino scomposto e leggermente amarostico. E’ un vino che probabilmente ha bisogno di tempo per perdere delle note rustiche e sgraziate e per migliorare in finezza e godibilità. Al centro tavolo una provola da oltre un chilo portata da Salvatore, tagliata in tanti cubettoni in accoppiata col rosso di Mimmo, stavolta in versione seria, il vino si presenta nel bicchiere con un colore rubino carico ma perfettamente penetrabile, riflessi ancora giovanili e buona consistenza, il naso alterna note di cipria, di ribes nero, fiori freschi e ricordi olfattivi più evoluti di smalto e ceralacca, il gusto rispetta in pieno il naso, il corpo è pieno ma per nulla pesante, la freschezza sorregge un’alcolicità non invadente e il tannino è carezzevole anche se di personale rusticità. Profumi e sensazioni gustative spingono qualcuno a pensare ad un vino naturale e infatti si tratta di un vino da uve a coltivazione biologica è un Fatalone Primitivo di Gioia del Colle 2004 dell’A.A. Pasquale Petrera un prodotto bevibilissimo, leggiadro e molto gradevole in tutti i suoi aspetti. Ecco il vino di MariaTeresa, colore rubino concentrato, profumi in prevalenza vegetali, di radice, di terra fresca, barbabietola rossa e piccoli frutti di bosco surmaturi, la bocca è calda, morbita, con tannino levigato, di persistenza media, buona freschezza poca sapidità…il vino è sicuramente un uvaggio e non pochi si orinetano verso la Toscana, il gioco è capire quale uva la fà da padrona nel bicchiere, ma benchè ci si avvicina non si indovina. Beviamo un Toscana IGT La Massa di Giampaolo Motta 2007 un prevalenza Merlot con in minor parte Sangiovese e una piccola percentuale (5%) di Cabernet Sauvignon, un vino ben fatto, facile da abbinare a molti piatti a base di carne o paste con sughi più strutturati ma che ha molti della serata non emoziona nonostante il prezzo faccia un pochino venire la pelle d’oca (18 euro), diciamo un vino poco anarchico con il quale è stato giusto confrontarsi per capire cosa vogliamo bere in alcune serate a seconda della compagnia. Ancora un rosso, è il turno di Marisa, che sorride imbarazzata nel suo essere protagonista, il vino è di colore granato scarico, media consistenza e con un naso molto acerbo, di frutta fresca (mela stark, cassis, ribes rossi), erba tagliata, cioccolato e accenni di caffè macinato, in bocca il vino è tannico, fresco, mediamente sapido, l’alcol è per nulla amalgamato con il resto, il finale dà la sensazione di vinacciolo masticato. Che si tratti di un vino del Nord ci sono pochi dubbi, pensiamo ad un Lagrain non moderno o addirittura a un Cabernet Franc giovane del Veneto, invece è il signore del vini: Il Principe Nebbiolo D’Alba di Michele Chiarlo 2007, un vino che oggi non ci lascia un buon ricordo ma che forse tra 3/5 anni potrà dire la sua, con tutti gli interrogativi del caso. Si apre il banco dei dolci: Babà con panna e fragoline, mousse al cioccolato e lingue di gatto di Marilena (che orgasmo) e cioccolattini morbidi di cacao e castagne aromatizzati al Rhum e al Cognac di Fosca (che finezza), è il momento del mio vino: colore rosso rubino, riflessi granati, profumi delicati di rabarbaro, ciliegie sotto-spirito, melata di bosco, sensazioni eteree, bocca carezzevolmente dolce, tannino rotondo, freschezza decisa, si esclude il Recioto della Valpolicella e ci si concentra su un Aleatico, Gradoli o Elba??? Noooooooooo, Josephine Rouge 2004 Marco De Bortoli, Nero D’Avola liquoroso, fortificato con distillato di vino per un totale di 18° che non si fanno sentire…nella bottiglia rimane una enorme quantità di sedimento che ci esprime grande naturalità, un vino eccellente per armonia ed equilibio che forse non viene più prodotto (dal sito del produttore non risulta tra i prodotti a catalogo, sigh!) ma che ci regala l’ultimo grande sorriso della serata.
Bene bene, vedo con piacere che la scelta di degustare alla cieca sta comportando un deciso innalzamento del livello qualitativo dei vini anarchici, con un paio di sorprese, durante l’ultimo appuntamento, davvero notevoli.
Aggiungo altresì una constatazione più amena: ma vi siete proprio “scuofanati”!!
Alla prossima, con un abbraccio circolare.
Luca
…però che ci tiene questo Tenuta!
Ti aspettavamo…
ma abbiamo pensato che lo scofanamento del week end lungo con annesso torrone dei defunti ti abbia fatto cambiare idea all’ultimo minuto!!!
Eh eh eh lo scherzetto della falanghina è riuscito, ma più che scherzo è una provocazione. Io ho acquistato questo vino a Falanghina Felix a Sant’Agata dei Goti dopo averlo degustato. I produttori, una giovane coppia molto simpatica di Dugenta, mi sorrisero proponendomi di provarlo dopo che non avevano potuto offrirmi quello 2009 in degustazione perchè esaurito. Assaggiai il 2006 ed il 2007 e quell’invecchiamento naturale del vino che, classicamente, non dura oltre l’anno, mi ha piacevolmente sorpreso, poichè all’olfatto si percepivano le note fruttate e floreali del vino biano ma evolute e gradevoli. Comprai le due 2006 e le due 2007 che gli rimanevano…quella portata da Claudio era l’ultima. Da rivedere sul posto.
Il Fatalone è stato una scoperta a Castelvenere. Provato e comprato. Una riserva 2004 da uve di primitivo a 10 euro = qualità/prezzo strepitoso. Acquisto azzeccato…peccato che l’azienda ne avesse solo una in vendita. L’ho riprovato dopo quasi una settimana da Claudio ed era ancora meglio dopo l’ossigenazione. Grande Tenuta!