Di Adele Chiagano (Testo e Foto)
L’atmosfera è rilassata, dieci amici si danno appuntamento nel cuore del centro storico di Napoli, la città dalla bellezza pornografica (come la definì una volta un caro amico) dai mille colori e dalle mille chiese che pullula di gente come di vicoli, in Piazza San Domenico Maggiore, una delle più caratteristiche piazze della città, circondata da bellissimi palazzi nobiliari, che di giorno gode dell’andirivieni di studenti e professori universitari e di una miriade di altre persone.
Il ristorante, per chi non ci fosse mai stato, accoglie piacevolmente i suoi ospiti con un’eleganza minimal ma calda: è tutto ben curato, dall’allestimento in tavola ai particolari, al colore delle pareti spoglie, ma in linea con l’arredamento sobrio del luogo sino alla cucina a vista. Le aspettative per chi come me, ci ritornava dopo la stella Michelin, erano alte, ma sono state ben ripagate, oltre che dalla conferma delle doti di Lino Scarallo chef del ristorante, dalle novità che abbiamo riscontrato.
La presenza in sala di Ciro Potenza, giovane sommelier, un servizio sempre più attento, i lavori in via di compimento della futura cantina all’interno del palazzo nelle sale che un tempo erano destinate alle stalle e alla quale si accederà attraverso l’ampio cortile comunicante, le stanze ormai funzionanti per gli ospiti che vogliono trattenersi per la notte e la splendida notizia della ormai prossima inaugurazione, prevista con l’arrivo della primavera, della terrazza panoramica. Non è fantastico avere la possibilità di gustare piatti freddi su comode poltroncine ammirando la bellezza, tutta, dominandola dall’alto, della suggestiva piazza?
E lo chef?A un anno dalla fatidica stella, annunciata all’epoca della sua esperienza avellinese al ristorante La Maschera e ottenuta qui a Napoli, la sua città d’origine, dimostra di avere un’unica e grande dote: saper approfittare dei riconoscimenti ottenuti per crescere e migliorare. Appassionato come sempre e rispettoso del suo lavoro, a dispetto di alcuni suoi colleghi, non si è fatto sopraffare dal clamore del successo, ma ha continuato ad andare avanti con l’umiltà che lo contraddistingue. Il buon Lino non perde occasione per parlar bene dei suoi colleghi, ha sempre una parola affettuosa per ognuno senza celare una candida tenerezza anche verso chi ultimamente sembra, invece, aver preso delle belle sviste. E’ evidente la sua ritrosia ai complimenti come alle fotografie al pari della voglia di crescere sempre e di più nell’avventura napoletana, manifestando un autentico interesse per i nuovi progetti e un’invidiabile complicità mista a rispetto nei confronti del suo patron, l’imprenditore Edoardo Trotta.
In cucina ha mantenuto il suo standard qualitativo ed è riuscito ad elargire ai suoi piatti un maggiore equilibrio nel gioco dei contrasti e delle consistenze, nella scelta delle materie prime alla ricerca dei sapori del passato affinati dall’eleganza del presente. Si confermano alcuni piatti che possiamo definire ormai un cult, come la lasagnetta di mozzarella di bufala campana e crudo di gamberi su salsa di cavolo broccolo, dove la dolcezza dei gamberi crudi ben si sposa con la sapidità e la consistenza della mozzarella di bufala, un connubio per me disarmante per quanto riuscito (nonostante qualcuno ultimamente disapprovi l’abbinamento crostacei/latticini.
Sempre più gradita la scelta di inserire le zuppe nel menù degustazione per spezzare la nostra tradizionale propensione alla pasta che quasi sempre, se non giustamente equilibrata e bilanciata, è causa di appesantimento nel percorso gustativo. Ottima, infatti, la zuppetta di cipolle gialle napoletane profumata all’alloro con uovo e pecorino di Carmasciano stagionato in grotte, dagli odori coinvolgenti tra sussurri di alloro e chiodi di garofano, la cui dolcezza accentuata dall’incontro con l’uovo cotto a bassa temperatura viene mitigata dal Carmasciano che le rende la giusta sapidità. Perfetta la cottura, sempre a bassa temperatura, della guancia di vitello, con puntarelle (divine), pomodori confit e maruzzielli mentre la classe dello chef viene premiata dal trancio di pesce stella con insalatina di finocchio su salsa d’arancia: l’elogio dell’essenziale. La cottura (stavolta in sottovuoto) è a dir poco sublime tale da mantenere il cuore del trancio tenero e l’esterno più consistente e capace di far apprezzare il sapore del pesce nella sua totalità. Gradevolissima l’insalatina di finocchio con, alleluia, agrumi dosati sapientemente in modo da non coprire i sapori ma utili solo a chiudere il piatto con la giusta dose di freschezza. Un super cult, per concludere, con la stratificazione di pastiera che ci auguriamo non abbandoni mai la carta dei dolci del ristorante.
Carta dei vini arricchita rispetto alla nostra ultima visita, ma si può sempre migliorare soprattutto con qualche scelta fuori dai soliti schemi ed un’appropriata proposta al bicchiere.
Unico neo della serata (ma ahimè la nostra ultima visita è capitata di sabato e, come scritto prima, eravamo in dieci) il menù unico per tutti i componenti del tavolo, con opzione di scelta solo tra due secondi e due dessert, mentre una grande nota di merito è non aver gonfiato i prezzi del menù degustazione, come spesso succede. Gran bella esperienza, vale il viaggio per chi non è di Napoli e il ritorno per chi manca da parecchio, a me non resta che testare le nuove poltroncine per godere il risveglio della primavera dalla nuova postazione all’aperto!
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