Apparirà paradossale, ma la mancanza di una vera e propria tradizione birraia in Italia, motivo della scarsa conoscenza delle birre di qualità nella massa dei consumatori che difficilmente la sceglie per accompagnarla a cibi e pietanze, che non ne parla con lo stesso trasporto che ha per il vino, rappresenta un punto di forza del nostro movimento brassicolo.
Movimento brassicolo – ognuno di voi lo potrà constatare recandosi in libreria – che si piazza nella guida di Michael Jackson, il massimo esperto di birre al mondo scomparso un paio di anni fa, subito dietro i paesi tradizionali produttori di Birra, per pagine dedicate. Il motivo, che ebbi modo di ascoltare direttamente da Lorenzo Dabove*, da tutti conosciuto come Kuaska, autore proprio di quelle preziose pagine dedicate all’Italia a cui mi riferivo, è da ricercarsi nella piena libertà di cui godono i nostri Birrai, non costretti alla fedeltà ad uno stile come lo sono ad esempio gli Irlandesi alle stout o i Cechi alla pils, che permette loro di dedicarsi, con indiscussi successi, tanto ad una Weizenbock tedesca che a una Stron Ale Belga, avendo la libertà di sperimentare personalizzandole attingendo ad un prezioso giacimento, quale è il nostro paese, di materie prime di altissima qualità.Nel frattempo che l’ascoltavo, assaggiavo ‘na tazzulella e’ cafè, la birra prodotta dal birrificio campano Karma in collaborazione con la pescarese Almond ’22 di Yuri Ferri, accompagnando un delizioso dolce al cioccolato all’Ottavonano di Atripalda.
Per l’appunto.
La Birra oggi
È meglio chiarire un aspetto sgombrando il campo da equivoci. Quando facciamo riferimento al movimento brassicolo oggi, parliamo di una realtà che, per quanto possa apparire antipatico il termine, potremmo definire di Birra da degustazione o di gusto. Un movimento partito dai primi anni ottanta del secolo scorso grazie ad un rinascimento culturale succeduto all’appiattimento delle birre, e alla regressione del gusto seguiti alla rivoluzione industriale e alla diffusione dei mezzi di comunicazione, rei di aver trasformato la birra da alimento a bevanda dissetante prodotta dall’impresa industriale secondo le leggi del mercato. È bene chiarire perché quando si farà riferimento ad alcuni stili birrai, come ad esempio le Porter Inglesi, si è ben lontani dal produrli allo stesso modo in cui nacquero originariamente, nell’esempio citato, quel tipo di birra oggi è ben diversa da quella che, nel primo ventennio del 1700, un pub di Londra propose per la prima volta. Così come alcune ricette sono rimaste quasi immutate dalla loro nascita attraversando la storia della Birra.Storia molto lunga che arriva sino ai sumeri, tanto da far supporre che la birra sia stata la prima bevanda conosciuta dall’uomo. Questa contestualizzazione storica della Birra ci porta anche ad una riflessione che segue una osservazione: oggi, gli attuali strumenti della chimica moderna permettono ai birrai di determinare il giusto equilibrio di un’acqua, elemento determinante nella produzione: vuol dire concepire una Pils senza necessariamente avere uno stabilimento a Plzeň per attingere all’acqua povera di carbonato, dal sapore dolce, caratterizzante per quella birra. Così come la maggior diffusione dei mezzi di trasporto e di comunicazione e le nuove conoscenze permettono di acquistare facilmente luppolo dal Kent – senza considerare il moltiplicarsi di incroci di Luppolo esistenti – o svariati tipi di malti su internet. Oggi la qualità di una birra non è casuale, né tanto meno vincolata alle risorse locali, ma espressione di maestria e di gusto di un bravo Mastro Birraio, della sua esperienza e della sua padronanza delle tecniche. Cercheremo, in questo speciale sulla birra a puntate, di delineare, dalla storia agli stili birrai fino alle materie prime, un approfondimento che possa essere utile e che sia il più semplice e di facile consultazione possibile.
Le materie prime: l’acqua
Oltre i cereali di partenza, del luppolo e dei lieviti di fermentazione, una delle principali e fondamentali materie prime, come in precedenza abbiamo detto, è l‘acqua. Oltre il 90% di un bicchiere di birra è in realtà acqua. Gusto e carattere sono determinati anche dalle componenti minerali da essa contenute in grado di influenzare la biochimica di fermentazione. È per questo motivo che in passato le regioni che avevano la fortuna di avere sorgenti di buona qualità producevano le birre più apprezzate. Abbiamo già fatto riferimento all’acqua di Plzeň, non bastasse, potremmo citare l’acqua molto minerale di Monaco fondamentale per il gusto più forte delle Lager o la cittadina di Burton upon Trent, in Inghilterra, che un tempo contava più di duecento birrifici per l’alto contenuto di calcio dell’acqua locale, ideale per produrre le robuste ale inglesi.
Calcio e Magnesio giocano un ruolo fondamentale nella biochimica della fermentazione: il primo, per esempio, aiuta a combattere l’alcalinità della maggior parte dei malti, mantenendo le condizioni ottimali per gli enzimi che conducono il processo di fermentazione. Anche altri minerali regolano il processo: tracce di zinco e rame sono utili poiché le cellule del lievito se ne servono per portare a termine il processo fermentativo, ma in quantità eccessiva fanno sì che la birra diventi opaca. Così come tracce di solfato conferiscono un gusto vivacemente pungente, che diventa amaro se il minerale è in eccesso. In linea generale possiamo dire che acque dolci povere di sali minerali vengono sovente utilizzate per le birre chiare, mentre per le birre in cui predominano malti scuri, vengono utilizzate acque a contenuto di sali maggiore.
Belgio: le Fiandre e la Vallonia
I belgi sono considerati tra i birrai più raffinati del mondo. Alcune birre provenienti da questa nazione hanno caratteristiche così peculiari da non rientrare in alcuno stile. Tra queste vi sono dei classici che hanno generato imitazioni così numerose da diventar uno stile a sé.I belgi vantano più di 25 stili propri con infinite varianti regionali e il loro rapporto con la birra è lo stesso che noi o i francesi abbiamo con il vino. Quasi tutte le loro specialità possono definirsi ale (il termine indica più che uno stile, la famiglia delle birre ad alta fermentazione, dove con alta ci si riferisce alla temperatura in cui operano i lieviti e si contrappone alle lager, a bassa fermentazione), e alcune di esse sono molto simili alle britanniche: ne sono copie consapevoli o prodotte previa licenza dei produttori britannici. In altri casi invece sono rappresentative di uno stile tipicamente autoctono.Gran parte della popolazione belga vive nelle Fiandre che occupano la parte settentrionale del paese. La produzione pro capite fiamminga supera, ancora oggi, del 20-25% quella degli abitanti delle altre regioni belghe. Le Fiandre detengono anche il record di maggior numero di birrifici del Belgio, ma nonostante sia una regione forte economicamente la produzione birraia è in declino ormai da un ventennio. Eppure sono state le Fiandre a sviluppare e perfezionare le variazioni più significative di una serie di stili grazie ai birrai fiamminghi, molto tradizionalisti, che tendono ad evitare spezie, zuccheri, cereali esotici restando fedeli all’uso del luppolo locale, caratterizzando le birre per sottili sfumature di sapore.
Le birre trappiste
Alcune delle sei birre trappiste belghe vengono proprio dalle Fiandre. È bene precisare che si tratta delle uniche birre prodotte ancora in monasteri e che recano il logo esagonale (authentic trappist product) in bottiglia. Esistono tre regole per potersi fregiare del marchio: la birra deve essere prodotta all’interno di un’Abbazia trappista, l’intero processo produttivo deve svolgersi sotto il controllo diretto della comunità monastica e i ricavi delle vendite devono essere utilizzati dall’Ordine per perseguire atti caritatevoli. E pare che l’osservanza delle regole sia abbastanza rigida, tanto che la Brouwerij De Koningshoeven (La Trappe) l’unica olandese, si vide revocato l’uso del logo dal 1999 al 2005 a causa del mancato rispetto del vincolo di assenza di scopo di lucro.In ogni caso, quanto alle trappiste, le birre d’abbazia e il contributo degli ordini monastici alla tradizione Birraia, avremo modo di tornarvi e parlarne diffusamente.
Achel Bruin: rimasta inattiva per 80 anni, nel 1999 l’abbazia di San Benedetto, Hamont-Achel, ha finalmente ripreso la produzione di birra trappista per aumentare l’entrate, fino a quel momento relative solo agli articoli religiosi ed al supermercato, non più bastevoli. Le birre sono tutte luppolate e vengono prodotte con il lievito Westmalle.
Si tratta di una birra strutturata, robusta, con sentori floreali e fruttati. Al palato è di corpo, s’avvertono sentori di rabarbaro e di liquirizia che bilanciano il dolce del malto.
Le Flemish red ale
Si tratta delle birre acerbe più rinfrescanti da cercare tra quelle brune-rossastre prodotte in una decina di città delle Fiandre. La loro asprezza è così pronunciata da sembrare acida. Il loro colore si deve al malto Vienna mentre l’asprezza ai lunghi periodi di fermentazione – quasi due anni – in tini di legno di quercia scoperti, all’interno dei quali è assai probabile che vivano i batteri produttori di acidità.
Rodenbach: Alexander Rodenbach, nel 1820, comprò una distilleria-birrificio-malteria a Roeselare, nelle Fiandre Occidentali, che rimase nella mani della famiglia sino al 1889 quando il birrificio diventò una società di capitali. Dobbiamo a Eugene, nipote di Alexander, e al suo apprendistato in un birrificio di porter nel sud dell’Inghilterra, intorno gli anni ’70 dell’Ottocento, l’attuale gusto e stile delle birre prodotte. Fu infatti tale esperienza a influenzare i processi produttivi, le miscele e la stagionatura in botti di quercia (due anni in centinaia di ampie botti, alcune delle quali hanno 150 anni), usati ancora oggi per le Red e Brown Ale acide. Questa è composta da ¼ di birra più invecchiata miscelati con il restante di birre più giovani.Il colore è un marroncino dai riflessi rossastri con una schiuma praticamente assente. Note di frutta macerata (ciliegia), spezie e note acetiche, questa birra è il classico esempio di bevanda a cavallo tra birra e vino. Al palato è presente, il sorso dal sapore deciso, il corpo non voluminoso, ed è contraddistinta da un finale nettamente aspro (citrino) e acido.
La Vallonia è una delle tre regioni amministrative che compongono il Belgio e vanta una lunga tradizione sulla Birra. È l’area a maggiore densità di birrifici del paese e l’industria ha raddoppiato le proprie dimensioni. I birrai valloni pare abbiano una predilezione per erbe e spezie, usate più di quanto sarebbe considerato normale nelle Fiandre. L’unico stile belga che forse è originario della Vallonia è quello delle saison.
Le bianche belghe
Dette biere blanche o witbier, vantano una storia lunga 400 anni ma caddero in disuso negli anni ’50 del secolo scorso a favore delle lager. Dieci anni dopo, però, grazie a Pierre Celis e alla sua ricetta tornarono in auge. Parliamo di birre di frumento (al 50% circa, l’altro 50% di orzo tallito, talvolta c’è anche una piccola percentuale di avena) che si differenziano rispetto alle bianche tedesche perché il frumento non è maltato. Dobbiamo sottolineare che la dicitura birra bianca non si riferisce al colore della birra, che in alcuni casi può anche essere scuro, ma al fatto che, originariamente, per via di un problema durante la fermentazione, avessero un aspetto opaco e torbido. Ciò era dovuto alle bucce del frumento non completamente sviluppate che ostruivano le vasche di fermentazione. Quell’aspetto, però, tanto caro ai consumatori, ha portato i produttori oggi alla pratica della aggiunta di lievito in bottiglia per la rifermentazione nonostante abbiano i mezzi per produrle trasparenti (come le Weizen tedesche).
Abbaye De Rocs, Blanche Des Honelles: La storia di questa birra è abbastanza recente e per certi versi divertente. Sì perché, Jean Pierre Eloir, ispettore del fisco, servendosi di una lavatrice produsse i primi 80 litri di questa birra al solo scopo di dimostrare al suocero, birraio in pensione, che produrre birra non era poi così difficile. Nel 1979 iniziò la commercializzazione e nel 1987 costruì il suo primo birrificio da 5.000 litri. Si tratta di una birra che contiene, almeno nella ricetta originale, parti uguali di frumento grezzo e orzo tallito, speziata con semi di coriandolo e scorza d’arancia curaçao e, nel caso di questa in particolare, con liquirizia. In ogni caso, va sottolineato che le birre di Eloir e sua figlia Nathalie fanno uso di un’ampia gamma di malti e cereali.
L’Italia
Viene attribuito agli Etruschi il merito di aver portato in Italia l’orzo, l’ingrediente fondamentale per la preparazione della birra. La prima brasserie italiana è la Spluga di Chiavenna che inizia la sua attività nel 1840, seguita subito da quelle formate da lungimiranti imprenditori austriaci che volevano entrare in un mercato nuovo, come Wurher o Dreher, ben presto imitati da commercianti italiani, come Peroni o Menabrea. Dopo varie vicissitudini collegate alle due guerre mondiali e alle sempre più alte tassazioni, si è giunti ai giorni nostri all’inevitabile concentrazione di grossi e potentissimi raggruppamenti internazionali che hanno rapidamente portato all’acquisizione delle piccole fabbriche, facili prede, vittime di irreversibili crisi. Durante la serata abbiamo avuto modo di assaggiare anche una Porter (stile inglese di cui diremo) prodotto da un microbirrificio italiano in anteprima. Non essendo ancora commercializzata possiamo limitarci solo alle note degustative: colore marrononcino scuro, spuma sottile e persistente. Naso intenso di cioccolato fondente, biscotto e caffè, al palato ha beva trascinante e grande complessità che si esprime in un finale da rullo compressore che sfuma le sensazioni di cacao, caffè, liquirizia e leggero fumè in una persistenza lunghissima.
*Il più profondo conoscitore di birra italiano e tra i maggiori esperti internazionali
Bibliografia consigliata: Guida pratica alle birre a cura di Michael Jackson, edizioni Mondatori, con i contributi di Lorenzo Dabove, Alastair Gilmour, Geoff Griggs, Tim Hampson, Bryan Harrell, Stan Hieronymus, Conrad Seidl, Willie Simpson e Derek Walsh
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