Di Monica Piscitelli
La vite è vita. E’ questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato da Pierpaolo Sirch, agronomo e preparatore d’uva, lunedì scorso nel corso del seminario dal titolo “I vini da uve a piede franco”, il primo di un ciclo diincontri di carattere tecnico promosso dall’Ais Napoli guidata da Tommaso Luongo. Cornice dell’iniziativa,Malazè, la kermesse enogastronomica ideata da Rosario Mattera che oggi (ieri, ndr) si conclude nei Campi Flegrei.Per anni Sirch e il suo gruppo di lavoro hanno, tra Italia, Francia e Spagna, messo sotto osservazione paesaggi, suoli e piante, ragionando, fotografando e prelevando campioni. Quella presentata è una sintesi di questo lavoro: una carrellata dei più comuni errori, preconcetti e disastri diffusi nelle nostre campagne ai danni della vite. L’omologazione dei sistemi di allevamento, il ricorso indiscriminato ai mezzi meccanici, la perdita progressiva di know-how e la mancanza di formazione per la manodopera sono alcune delle note dolenti della viticoltura moderna, secondo l’analisi di Sirch. Per molti anni, l’uomo, ha affermato l’esperto, ha creato il paesaggio a suo uso e consumo, per abbattere i costi di produzione. E, parallelamente, perseguendo la qualità. Come e con quali risultati?Abbattendo, estirpando e sbancando, il più delle volte senza nessun riguardo per l’equilibrio naturale della terra che ha messo a nudo “strati che mai prima avevano visto il sole”. Quella che Sirch ha raccontato è la storia di viti mutilate, le cui ferite lasciano entrare funghi e parassiti che ne pregiudicano, con l’avanzare di una necrosi inesorabile e subdola, la salute, con tutte le ripercussioni inevitabili sulle loro performance in termini organolettici e analitici. E’ la storia delle potature inaccorte e di luoghi comuni che hanno voluto che la drasticacontrazione delle rese per ettaro, accanto alla crescita della densità d’impianto, fossero l’unica strada per il perseguimento della qualità, mentre la terra, rimestata e stravolta, si impoveriva e la vite finiva costretta in fazzoletti sempre più striminziti di vigna. Solo in tempi recenti, il ripensamento: tornano, qua e là, i fiori, i boschi e gli animali. Eppure il grosso dei guasti è stato fatto e occorre porvi rimedio. La soluzione individuata dall’esperto, al centro di una serie di interventi formativi in Italia, è un metodo che, facendo tesoro di storia e tradizione, riconduce alla coltivazione ad alberello i piu’ diffusi impianti a guyot e cordone speronato e che ha il suo elemento qualificante nella formazione della manovalanza agricola.
Al termine dell’intervento, l’incontro alla splendida residenza d’epoca romana con affaccio su Pozzuoli, è andato avanti con un approfondimento del sommelier Franco De Luca sulla storia della diffusione della fillossera e della viticoltura a piede franco, e gli interventi del delegato Tommaso Luongo, e del responsabile del gruppo servizi di Napoli Massimo Florio. Insieme i tre hanno condotto la degustazione di una serie dietichette espressione di territori – dalla Valle d’Aosta, alla Sicilia, passando per le ceneri, le pomici e le sabbie dei Campi Flegrei, in Campania, e quelle di Sant’Antioco, in Sardegna – dove la fillossera è stata naturalmente scongiurata: Prié Blanc Metodo Classico Extra Brut Golf Club Courmayer et Grandes Jorasses 2006 Cavedu Vin Blanc de Morgex et de La Salle, Falanghina 2007 Contrada Salandra, Piedirosso 2008 La Sibilla, Carignano del Sulcis Kanai Riserva 2005 Sardus Pater, Nerello Mascalese e Nerello Mantellato 1999 Calabretta.

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Foto di Monica Piscitelli