Di Raffaele Bracale
Vorrei parlare di quell’utensile munito di una punta a spirale con cui si estraggono i tappi di sughero (e oggi anche di silicone) da bottiglie o fiaschi: in lingua italiana viene detto alternativamente cavatappi oppure cavaturaccioli, mentre in napoletano il medesimo oggetto è chiamato tirabbusciò/tirabusciò. Vorrei esaminare le tre voci riportate: cavatappi, cavaturaccioli, tirabbusciò/tirabusciò cominciando col dire che le due voci dell’italiano sono molto meno precise della voce napoletana. Infatti sia cavatappi che cavaturaccioli sono sostantivi formati agglutinando una volta il sostantivo tappi (plurale di tappo, dal francone tappo), e l’altra il sostantivo turaccioli (plurale di turacciolo, derivazione di turare, dal latino volgare turare), con la voce verbale cava (terza persona singolare dell’infinito cavare che à l’etimo nel latino cavare «render cavo», derivato di cavus «cavo»). Cavare ha appunto il significato primo di scavare, fare una buca in profondità e poi, con gratuiti ampliamenti semantici: levarsi, togliersi di dosso qualcosa (cavarsi il cappello, cavarsi un capriccio, una voglia, soddisfarli, cavarsi la fame, mangiare a sazietà, cavarsela, superare piú o meno brillantemente una situazione difficile), ricavare, ottenere (da quell’individuo non si cava nulla di buono). E solo con un’evidente forzatura semantica il verbo cavare vale estrarre, tirar fuori, estirpare (cavare un dente, non riuscire a cavare nulla di bocca a qualcuno, non riuscire a farlo parlare | non cavare un ragno dal buco, non riuscire a nulla). Ma di per sé il verbo cavare contiene in sé l’idea dello scavare, del render cavo e non si comprende proprio in quale occasione e in che modo il cavatappi o cavaturaccioli adempiano il compito di scavare o render cavo alcunché. In realtà gli aggeggi di cui dico servono solo ad estrarre, a tirar fuori dal collo di bottiglie o fiaschi i tappi o turaccioli e tale occorrenza è piú esattamente rappresentata dal sostantivo napoletano tirabbusciò/tirabusciò (derivato dritto per dritto dal francese tire-bouchon = tira-tappo). Ed è un termine piú esatto in quanto la voce napoletana è formata da un’agglutinazione che parte dalla voce verbale tira, dal verbo tirare (dal latino volgare tirare, forse alterazione del classico trahere, «estrarre»). E a sua volta il verbo tirare è molto piú adatto di cavare per indicare l’azione operata dall’utensile con cui si estraggono i tappi di sughero e oggi anche di silicone, da bottiglie o fiaschi. A questo punto e alla luce di tutto quel che ho detto, penso proprio (e ne lancio la provocatoria proposta) che anche in italiano (mettendo da parte cavatappi e cavaturaccioli) si possa accogliere il napoletano tirabusciò ringraziando il francese che ce lo ha fornito. Sosteniamo l’autarchia idiomatica partenopea…(T.L.)
Nella foto: Uno splendido oggetto di design: perBacco, il cavatappi secondo l’arch. Alberto Opalio via Architetturaedesign.it
Sembra un oggetto bello ma non mi pare molto efficiente. L’elica della vite è corta e stretta. Poco adatta per una buona presa.
perBacco !!!… il mito del cavatappi perfetto ( designer Alberto Opalio ) ritorna a casa mia con le parole e il veloce agire di Paolo.
Me ne parla ad una cena, a me e a Fulvio: l’indomani mattina è già nelle mie mani.
Si tratta di un curioso strumento, a prova d’imbranati: si inanella il collo della bottiglia, poi si appoggia la spirale sul tappo decapsulato (con il coltello, direi, alla vecchia maniera) e si fa girare, senso orario.
La spirale entra, non perfora del tutto il tappo, che intanto magicamente esce.
Fatto. Io ci ho aperto un Barbera del Monferrato doc Capretto, azienda di Grazzano Badoglio, vigneto Quarino, del 2007, 12°. Tappo in plastica. È uscito che era una meraviglia,
il vino come era? Buono. Al naso ricordava una forse ciliegia, forse amarena, forse lamponi. In bocca era morbido, quasi abboccato, fresco sul finale: “piacevole, non male” ho scritto sulle mie note.
E il cavatappi “perfetto”? Forse un po’ troppo pesante, Un bell’oggetto, comunque, financo razionale e tutto prodotto in Italia… Già una rarità… Ci aprirò tante bottiglie.
Riccardo Milan