Di Franco De Luca
C’è il pubblico delle grandi occasioni al centro congressi di via Parthenope della Federico II, è di scena Luigi Moio (a sx, nella foto)per un seminario dal titolo “Il vino sotto il naso: molecole e percezione”. La meravigliosa e storica aula magna è gremita, comprende 150 posti a sedere ma le prenotazioni hanno superato le 400 unità e non è stato possibile spostare all’ultimo momento l’evento a Monte Sant’Angelo, per cui il Rettore fa allestire schermi giganti in due sale adiacenti dove è possibile seguire l’evento in piedi, ma anche queste finiscono col riempirsi in poco tempo… Il ciclo di seminari denominato “Come alla corte di Federico II” è un successo dell’ateneo degli ultimi anni, esso prevede interventi di carattere scientifico e non, coinvolgendo grossi calibri del panorama internazionale, dallo scrittore-matematico Piergiorgio Odifreddi allo studioso di robotica Bruno Siciliano al sociologo Renato Mannheimer, tutte le lezioni sono sempre molto seguite, ma raramente si percepisce un interesse così sfrenato come quello di giovedì sera. La ragione è che il pubblico del professor Moio è sempre più variegato, se nelle prime file prendeva posto mezzo consiglio di amministrazione dell’università, habitué della manifestazione, nelle altre si potevano incontrare molti operatori del mondo del vino, noti produttori, sommelier, studenti e curiosi, tutte persone che sanno bene il valore di un incontro con questo relatore. Alle 21 circa il Rettore Guido Trombetti saluta la platea e presenta il professore: “se fossi de Laurentiis”, dice, “direi che è uno dei miei migliori acquisti, ma siccome de Laurentiis gli acquisti li sbaglia tutti devo parlare come Rettore, perché di fatto è uno dei più vantaggiosi ingaggi che l’ateneo ha fatto negli ultimi anni”. Dietro la battuta c’è il riferimento alla parentesi non napoletana di Moio, cresciuto presso la Facoltà di Agraria di Portici dove si è laureato e dove ha iniziato la sua carriera da ricercatore nell’86, vi è poi ritornato da ordinario dopo esperienze internazionali tra cui 4 anni in Borgogna a studiare il Pinot Noir e lo Chardonnay. Per cui, come stesso il protagonista racconta, più di acquisto si è trattato di un felice ritorno.È bello comunque vedere nei primi secondi un velo di emozione, la voce è bassa e qualche dimenticanza fa vacillare anche il colosso campano dell’enologia, poi però la calma ritorna e la lezione decolla. L’incontro verte a dimostrare una tesi importante ed inconfutabile e cioè che se è vero com’è vero che nasciamo con un apparato olfattivo ben preciso e geneticamente codificato è altrettanto vero che l’esercizio può riportarci ad un “naso” più evoluto, così come era nel nostro passato più remoto e così come è ancora per i nostri “amici animali”, come lui li definisce. I recettori quelli sono e non possiamo noi aumentarne il numero, ma la mappatura della memoria olfattiva si costruisce con l’esercizio e l’esperienza e se riusciamo a riscoprire questo senso allora cambia il nostro modo di alimentarci, cambia il modo di “mangiare” (che tende a diventare “degustare”), più in generale cambia il modo di vivere.
La lezione è complessa ed articolata, ma l’attenzione è totale. In un silenzio religioso Moio chiarisce alcuni importanti aspetti che costituiscono da un po’ di tempo a questa parte elementi di dibattito, come per esempio che l’analisi sensoriale non può essere sostituita dal naso elettronico. Quest’ultimo infatti è in grado di riconoscere meglio degli uomini ogni singola molecola ed associarla di volta in volta ad un particolare elemento della natura quale l’ananas o la banana, tuttavia esso ha il suo tallone di Achille nella definizione dei profumi composti. Facciamo un esempio considerando proprio i due descrittori sopra citati, supponiamo cioè che questi vengano percepiti allo stesso tempo, il naso elettronico non avrebbe difficoltà ad elencarli entrambi, ma magari l’effetto della loro somma risulterebbe ad esso invisibile e potrebbe invece sollecitare altri recettori olfattivi che finirebbero per comunicare al cervello un terzo elemento non individuato dallo strumento tecnico ma evidente al naso di un qualsiasi degustatore… insomma, l’analisi sensoriale deve andare al di là di ciò che contiene il vino per descrivere quello che il vino evoca, perché è quello l’aspetto che interessa maggiormente dal punto di vista organolettico, in questa funzione essa non è sostituibile.
Poi il prof. passa ad analizzare altri aspetti demolendo parecchi luoghi comuni che appartengono a questo mondo e che talvolta riguardano anche noi sommelier. Chiarisce la differenza scientifica tra odore ed aroma sottolineando che i nostri recettori funzionano sempre ma che a volte i muchi ostruiscono le vie respiratorie impedendo il passaggio di aria e quindi la possibilità di veicolare le molecole odoranti fino agli organi sensibili. Illustra che sia dal punto di vista olfattivo che gustativo esistono dei tempi di latenza differenti e che sorprendentemente (per me) nella successione temporale delle percezioni olfattive normalmente si percepiscono prima le fragranze fruttate e solo dopo quelle floreali. Chiarisce una volta per tutte che nel vino c’è pochissima quantità di sale (nel senso di cloruro di sodio), che quella che noi chiamiamo sapidità è spesso la risultante delle note di mineralità presenti in varie forme nel vino. Ribadisce che la persistenza gustativa è dovuta fondamentalmente alla mineralità ma anche all’acidità, solo che questa ultima, come sappiamo, producendo molta salivazione, opera anche in maniera contraria tendendo a ripulire la cavità orale. Insomma la lezione è di alto profilo, difficile riportarne tutto il contenuto in un breve articolo, ci sarebbe per esempio da illustrare l’eccellente trattazione dei “precursori” del vino ma mi devo guardare bene dal descrivere il tema più approfonditamente per timore di stravolgere i concetti con un linguaggio inappropriato, dico solo che con dei semplici palloncini colorati e con qualche paragone (vedi quello ormai noto del bouquet di fiori) è riuscito a spiegare a tutti cosa vuol dire invecchiamento e per quale ragione alcuni vini sono “più interessanti” di altri. Insomma, per concludere, se è vero che in qualche passaggio può esser risultato a qualcuno troppo tecnico è altresì vero che il seminario ha affascinato di sicuro coloro che dall’esterno si sono affacciati a questo mondo per la prima volta ma, nello stesso tempo, è riuscito ad impreziosire con perle di conoscenza gli altri che già possedevano nozioni in merito. È questa è una rara capacità che può avere un uomo di scienza che è anche un grande comunicatore.
La lezione scivola così via in un’ora piena di gradevole ascolto, poi, dopo un lungo e caloroso applauso per nulla formale, arriva il momento delle domande finali. In questa fase è forse venuto fuori il velo di diffidenza che ancora esiste verso questo argomento, soprattutto a causa dell’eterogeneità della platea, ma queste sono sempre occasioni da non perdere per rimuovere medioevali convinzioni e debellare pregiudizi ancora esistenti. Infatti quello che evince è che anche da un pubblico “colto” possano arrivare domande sulla “autenticità” del vino, sulla adeguatezza dei prezzi e sulla credibilità dei comunicatori. Moio in questa fase, secondo il mio punto di vista, si supera. Senza batter ciglio, di volta in volta, risponde a tutte le domande (alcune palesemente e cordialmente provocatorie) con generosità e tranquillità ma anche con fermezza, sostenendo che non c’è nessun motivo per sospettare che il vino possa essere un domani prodotto sinteticamente perché, ammesso anche che si arrivi un giorno a fare a meno completamente dell’uva, sarebbe comunque un investimento assolutamente controproducente vista la massa di uva di cui si dispone negli ultimi anni, e ribadendo che anche il Tavernello non può non essere un prodotto genuino e controllato e che merita rispetto e fiducia sebbene si allinei ai minimi livelli di qualità organolettica. Successivamente, di fronte ad un altro “punto caldo”, il prof. non abbraccia né scaccia l’eventuale introduzione nell’enologia degli OGM dichiarando però che l’utilizzo di lieviti modificati geneticamente non comporterebbe alcun contributo positivo nel processo di vinificazione, per cui non si pone, almeno per il momento, nessun problema etico. Infine cerca di istillare negli uditori sempre più attenti ed interessati, il concetto di “eccellenza”. Sostiene con forza che in tutti i campi ci sono le eccellenze, dall’orologio all’autovettura, e che essa costa moltissimo, prima al produttore, e poi, di conseguenza, al consumatore ma che non può non esser presente, nel caso per esempio del vino, in una zona che vanta una tradizione enologica.
C’è da dire che a questo ultimo aspetto io, come sommelier campano e come molti miei colleghi, sono assai sensibile. Durante il seminario il professore affronta questo aspetto in maniera tangente, appena lo accenna ed, aggiungo io, in maniera molto opportuna visto viene ad esserne direttamente coinvolto, ma noi in questa sede possiamo provare a sviscerarlo almeno un po’. Tutti sanno ormai che da qualche anno Moio possiede una propria azienda e quasi tutti sono a conoscenza del progetto intrapreso. Moio vuole creare l’eccellenza nella zona del Taurasi, ottimizzando e talvolta estremizzando tutti i passaggi di lavorazione a cominciare, ovviamente, dalla vigna. In molti anni della sua attività ha girato tutta la Campania ed ha conosciuto tutte le realtà territoriali, la mia impressione è che egli non sia stato scelto dalle aziende con cui ha collaborato fornendo la sua consulenza di enologo, ma che sia stato lui stesso a sceglierle, una per una, proprio per osservare direttamente il comportamento di determinati vitigni nelle diverse situazioni pedoclimatiche. Magari mi sbaglio ma questo non è importante, sta di fatto che in questo modo egli ha potenziato con l’esperienza diretta un bagaglio enorme di nozioni su diversi vitigni ed alcuni di essi come l’aglianico rischiano davvero di non avere più alcun segreto per lui, per mettere infine in opera il suo piano di realizzare il “top” con queste uve.
Questo suo progetto, però, non è fine a se stesso ma molto più elevato e nobile di intenzioni, perché porta con se la speranza che, se si afferma la detta “eccellenza”, essa trascinerà verso l’alto tutto il comprensorio dando lustro ad un territorio che non merita meno importanza di tanti altri nel mondo (molti dei quali assai meno dotati). Se qualcuno poteva provare ad intraprendere una strada così erta ed irta di spine questo era proprio il professore Moio ed io mi auguro di cuore che tutti gli operatori, a cominciare dai produttori ma anche i commercianti, i comunicatori, tutti coloro insomma che operano o semplicemente amano questo mondo, adottino come propria questa idea, scelgano di sostenerla, perché è un’idea di crescita collettiva. Bisognerebbe onorare il coraggio dell’uomo oltre ai meriti dello scienziato e non perdere di vista che se la Campania è tanto cresciuta negli ultimi 15 anni molto lo deve a lui, alla sua conoscenza ed alla sua passione che sono rispettivamente il timone ed il motore per arrivare lontano.
Bene, dopo questa personalissima riflessione, concludo segnalando che il buffet doveva essere davvero buono vista la calca ai banchi di assaggio ma non riuscendo ad arrivare alle bontà offerte e contestualmente non potendo ridursi ad invidiare gli altri che godevano di quelle prelibatezze, molti di noi hanno optato per una pizza a via Parthenope, tuttavia un plauso non può mancare all’organizzazione dell’Università che riesce ad offrire gratuitamente (sponsor Corriere della Sera) serate così belle e ricche di cultura. Termino, sperando di non aver tediato molto chi ha avuto la bontà di arrivare alla fine di questo articolo, con la stessa frase con cui Luigi Moio ha concluso il seminario, cercando di riportarla come lui l’ha pronunciata e mettendo veramente a dura prova la mia fallace memoria: “avete mai notato”, chiede, “che tra tutti gli alimenti che esistono, l’unico che il mondo intero annusa prima di ingerire è il vino?” ecco, riflettiamo quindi su questo e partiamo proprio dal magico prodotto dell’uomo e della terra a cui siamo tutti legati per riappropriarci dei nostri sensi ed in particolare di quello che più degli altri abbiamo trascurato: lo straordinario senso dell’olfatto… e magari scoprire che si vive decisamente meglio.
luigi moio e la gaia scienza: il fecondo approccio del costruire il ponte tra sapere scientifico (la chimica, l’ampelografia, l’analisi sensoriale, l’organizzazione dei processi produttivi) e qualità della vita (maslowianamente dall’assenza di difetti all’eccellenza organolettica e spirituale) utilizzando i mattoni della ricerca uniti con la malta del mercato. ponte che scavalca il torrente, ora in secca ora in piena, della società dei consumi…
grazie franco per il resoconto partecipe, completo e approfondito di una serata che ha lasciato il segno!