di Luca Massimo Bolondi

Inutile cercare in terre lontane significati al mondo, se non li si sanno cogliere dietro la collina di casa. Anche se le esperienze che si possono fare, animati dallo stesso spirito, sono affatto diverse. Come dire che tra Giacomo Leopardi e Lord Byron si può sempre scegliere Bruce Chatwin. L’esercizio della sensibilità ai luoghi ne presuppone il possesso, e la disposizione che ci fa comprendere e apprezzare l’ermo colle è sostanzialmente la stessa nel Peloponneso o in un arcipelago dell’Atlantico tropicale. Ho la ventura di scrivere da Sao Vicente, Capo Verde, ex colonia portoghese, dove un soggiorno di lavoro si svolge a ritmo africano, quindi rarefatto al punto giusto da offrire spazi allo studio, alla riflessione e alla degustazione. Sullo scaffale delle Mercearias locali, fortunatamente climatizzate e in penombra, si possono trovare un centinaio di etichette lusitane di vini bianchi e rossi, una scelta quasi completa di vini di Porto, una mezza dozzina di presenze italiane che è meglio sottacere, la solita distilleria internazionale da sbarco e, dulcis in fundo, la produzione di vino e distillati autoctoni. Per quanto le chicche non manchino mai, anche negli spigoli del mondo, la eventuale Associazione Caboverdiana Sommelier un domani ne avrà di lavoro da fare…
Nel frattempo affido agli endecasillabi e alla posta elettronica questa esperienza.

Trovammi dell’atlante in su la terra
che dall’oceano mare è circondata,
che dell’umanità rifugge guerra,
che dalla creola gente è popolata.
Sono isole di roccia e rena rossa
che gli alisei carezzan tutto l’anno,
cui il tropico del Cancro scalda l’ossa,
cui pioggia è rara, ché se dà fa danno;
ricca di gente povera ma vera,
che il giogo lusitano un dì ha provato,
ma che, d’africo orgoglio resa fiera,
sola l’indipendenza ha conquistato
e dal quel cinque luglio d’anni orsono
pian piano ha costruito il suo destino.
Non tutto è stato sempre bello e buono
e ancora lungo assai pare il cammino
ma ognun creolo, bedju o figlio d’altrove
lavora e del buon dio attende le prove.
Ognuna delle dieci terre attive
ha forma e vocazion particolare;
le unisce un nome, un popolo le vive
e le separa solo il grande mare.
Una si chiama Sale, un’altra Fuoco
e ben puoi immaginarne la ragione,
l’una fu una salina ed oggi è un loco
ove il turista passa per padrone;
l’altra è un vulcano attivo, coltivato
da bravi vignaioli che l’altura
sfidano ed insieme la natura,
per fare un vino forte e profumato:
Vinho do Fogo Cha de la Caldera,
denso d’oro il color, oppure rosso,
da uva che là solo cresce, nera
tra lava, nubi e mare sempre mosso.
Un vino che negli anni fortunati
stupisce per l’aroma di passito,
per il calore morbido e tornito,
per i tannini lievi e arrotondati.
Isole ancor: Boavista, Brava e Maggio,
dove la sabbia regna sugli umani,
chiamate così dopo l’arrembaggio
da chi trattò gli schiavi l’indomani.
Infine ecco le belle e lì la mia,
quelle cui dato fu nome di santo:
Nicola, Tiago, Antòn, Enzo e Lucia,
quelle che abbandonar causò gran pianto,
poiché per tempo e per generazioni
sempre vi fu chi andò a cercar fortuna
lasciando figli e casa e terra bruna
e andando tra le navi e le nazioni.
Nicola e Antòn, dai monti aguzzi e duri,
proteggon le riberas verdi e vive
di corsi d’acqua, lungo le cui rive
crescon le canne i pascoli e alti muri.
Sono codesti i luoghi d’elezione
di un distillato che il mondo già apprezza,
di cui si fa ben poca produzione
e un gran parlar da gente poco avvezza;
la storia narra che le baleniere
andando per l’Atlantico a pescare
facessero del Grogue il proprio bere
che nel barile stava ad invecchiare.
Da canna ben premuta il succo pregno
viene con cura prima fermentato,
da storta ed alambicco distillato,
e infine posto a riposar nel legno.
Il vecchio Grogue, dal bel colore ambrato,
quasi ti può stordire di profumo,
riempie di nostalgia chi l’ha provato
e affascina chi l’ode da qualcuno.
Eppoi, da grogue bianco, a Sao Vicente,
mescendolo con miele e aromi vari
si fa quel pontche che, di pari esente,
caldo ti scalda e pare il cuor dei cari.
Bevande antiche eppure sempre attuali,
che parlano di isole lontane
dall’astio e dalla fretta occidentali,
più prossime al buon dio che ai capitali,
repubblicane come le banane,
piene di suoni e musiche ancestrali,
con qualche rissa nell’ore serali,
notti in cui canta un gallo e qualche cane.
Scogli, vento, silenzio e vino buono
cui l’alma mia non chiederà perdono.