Di Michela Guadagno
Questa è la storia di un cavolo cappuccio, o comune verza, che mi è stato regalato. Ore 18,30 circa, telefono a Gianni Lotti: “mi hanno regalato un cavolo cappuccio, non so come cucinarlo ed è troppo grande per me sola, posso portartelo al ristorante?” “Va bene, vieni tra un’oretta“. Scendo di casa con la consapevolezza che non può andare avanti così, mi sa che mi tocca imparare a cucinare, prima o poi. Arrivo con il mio cavolo e l’amaro in bocca per la mia inettitudine ai fornelli, che sia per questo motivo che non incontro entusiasmi? Rosario Gargiulo e Massimo Paduano mi accolgono con il consueto garbo, Francesco Parrella è in cucina e Gianni mi esorta: “vuoi imparare con lui?”. Non gli farei questo torto, lascio alla creatività dello chef l’abilità di stupirmi, tanto più che devono raggiungermi una coppia di amici, evitiamo pasticci! Nell’attesa mi trattiene a fare due chiacchiere con una flute di Falanghina extra dry di Cantina del Taburno, a proposito, qual è il residuo zuccherino di uno spumante extra dry? Gianni risponde con esattezza 12-20 g/l, una confortante dimostrazione dell’attenzione dedicata alla preparazione all’esame di sommelier, in bocca al lupo! Scegliamo il vino insieme? Segrè, Sauvignon Collio doc 2007 di Castello di Spessa, mi spiega che con il suo spettro aromatico va bene in abbinamento alla verza: questo ragazzo sa il fatto suo, continua così. Mi presenta secondo la regola la bottiglia, la stappa e la serve. Come entreè ci portano una zuppetta di ceci, meglio berci lo spumante di falanghina, il sauvignon coprirebbe troppo il sapore della zuppa. Continuiamo con un antipasto di salsiccia di Norcia avvolta in foglia di cavolo cappuccio e salsa di caprino, delizioso, e qui assaggio il vino sul piatto: la sapidità del formaggio sovrasta leggermente la morbidezza del vino, ma l’aromaticità è in giusta concordanza. Un primo piatto di ravioli al ragù di coniglio, poco armonico con il sauvignon, può capitare, anche perchè i miei amici non sono esperti bevitori e non cambiamo il vino; e poi l’apoteosi, il motivo per cui sto qui a scrivere di una cena privata commettendo uno strappo alla regola: cous cous napoletano, ossia verza e cous cous. La mia amica è ammirata della fantasia di Francesco che in poco tempo e senza preavviso si è inventato una tale prelibatezza; e io mi inorgoglisco, perchè il vino qui è in armonia con la struttura del piatto, la giusta aromaticità del peperoncino con la persistenza gustativa del sauvignon, la sapidità e la morbidezza concordano in equilibrio, mentre la tendenza dolce del cereale sposa la freschezza: un vero matrimonio d’amore, trovato l’abbinamento perfetto. Proseguiamo con un pre-dessert di crema all’arancia e sanguinaccio, e poi concludiamo in dolcezza con tortino fondente di cioccolato su crema alla banana, e creme caramel di amaretto. Da bere rhum di canna, tra i complimenti degli amici per la scoperta di piatti da re, anzi da Taverna do’ re.
Chissà che l’ Antoine Ego napoletano non decida di aprire il 2009 proprio partendo da una “regale” critica… ?!?
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brava Michela…bellissima storia..non saprai cucinare ma racconti con entusiasmo i profumi e i sapori della buona cucina e del buon vino tanto che ci sembra di essere con voi a quel tavolo!