Di Marina Alaimo
Il fatto che l’origine della produzione dell’antico e rinomato vino Falerno, tanto decantato da Plinio e da Orazio, sia rappresentata dalla Piana del Falerno ai piedi del monte Massico è molto discutibile, non me ne vogliano i produttori… Sembra più credibile che la giusta ubicazione dell’antica produzione di questo vino sia sul Monte Falero, oggi Monte Echia. Il suo legame alla Piana del Falerno pare derivi dal nome Falerno di un proprietario terriero produttore di vino. Ma è risaputo che il sito ideale per la produzione enologica sia la collina e non la pianura, pertanto
l’insieme di fertili colline che dal Monte Echia ( già Monte Falero) si estende fino a Posillipo ed ai Colli Aminei è ritenuto da molti studiosi il luogo di origine del Falerno. Precedentemente all’arrivo di popoli di civiltà ellenica, Rodii, Teleboi e Calcidesi, il litorale della città di Napoli era abitato sin dalla preistoria. I Greci al loro arrivo sapevano che questa terra era stata gia abitata da trogloditi stanziati nelle caverne di tufo site sotto il Monte Echia e li chiamarono Opici. Gli Elleni fanno risalire l’arrivo di questo popolo di etnia egeo-plasgica ad un periodo storico precedente alla guerra di Troia, e studi archeologici su reperti ritrovati nel sottosuolo di questa zona, come ossa lavorate e frammenti ceramici, confermano l’esistenza di una civiltà dell’età neolitica. Erano Teleboi scacciati dalla Tessaglia verso la metà del secondo millennio a.c., come confermano Dionigi e Strabone di Alicarnoso nei loro scritti. Questo popolo, secondo Tacito, sbarcò prima a Capri, poi sull’isilotto di Megaride e di qui si sarebbe spinto poi in una posizione più sicura sulla collina di Pizzofalcone fondando un piccolo centro chiamato Falero. Si sa che il Falero era un porto ateniese il cui nome deriva da quel Falero compagno di avventure di Giasone, costui sarebbe giunto sui lidi napoletani fondando l’omonima “città”. Ma non sono solo questi racconti a supportare tali origini, bensì il rinvenimento di importanti frammenti ceramici, trovati nei pressi di Santa Lucia, di tipo orientale premiceneo e miceneo, molto simili a quelli trovati in Tessaglia, patria dei Teleboi. Ritornando a considerare la posizione geografica delle colline dell’antica Falero, preceduta alla successiva Partenope, ed il clima di questi luoghi è da ritenersi la collocazione ideale per la produzione del vino più rinomato dell’antichità. Diversamente avrebbe dovuto chiamarsi Massico e non Falerno.
Foto: Alvolto.com
Bibliografia:Innocenzo Dall’Asso Napoli Nobilissima vol. n°15.
Splendida ricostruzione, Complimenti davvero! E anche se non fosse vera è talmente bella e piena di fascino che viene voglia di adottarla,
So un poco di queste storie perché a suo tempo, oltre trenta anni fa, per motivi professionali (curavo la pubblicità di una azienda vinicola di Mondragone la scomparsa Vini Petrinum) ho a lungo tentato di saperne di piu sulle origini del Falerno. Ignoravo questa ricostruziuone che mi piace da morire, vera o falsa che sia. Gazie e di nuovo tanti complimenti.
Signor Nannini i suoi complimenti hanno reso più luminosa la mia giornata, grazie. Mi è capitata per caso una ricerca di mio padre sulla Napoli trogloditica e preellenica in quanto sta scrivendo un libro sull’argomento, le citazioni di antichi scritti sull’argomento sono tante, non mi sono dilungata nel timore di essere noiosa o di sembrare presuntuosa. Quando gli scritti di studiosi rinomati sono confermati dagli studi degli archeologi non si possono ritenere fantasie.
Io penso che al di là delle fonti storiche citate dall’autrice, questa ricostruzione sia molto più attendibile di quella che molte aziende ci hanno propinato e continuano a fare per puri motivi di marketting.
Tuttavia, in generale e per il futuro, per dare più forza alle proprie tesi potrebbe essere buon costume corredare l’articolo con un minimo di riferimenti bibliografici… questo non tanto per una eventuale verifica della buona fede e dell’attenzione di chi ha svolto il lavoro (che in questo caso, per chi conosce la serietà di chi ha scritto l’articolo, nessuno può mettere in dubbio) quanto per fornire uno strumento di approfondimento a coloro che intendano saperne qualche cosa in più.
I miei complimenti a Marina per lo spunto interessante ed al Sig. Nannini per lo strepitoso amarone che ci ha offerto qualche mese fa, na cosa mai vista!!! :-)
Voglio sottolineare che la mia non è una polemica contro i produttori di Falerno del Massico, anzi sono una estimatrice di questo vino e lo ritengo grande espressione dell’enologia campana.
Ho citato come fonti Dionigi e Strabone e ho anche detto che non mi sono dilungata in citazioni per non essere noiosa
C’è chi rosica…
@ Franco: si si, l’Amarone…
Tra le riprove di quanto riferito nello scritto, un produttore storico della zona mi confermò che il legislatore in occasione dell’approvazione del disciplinare della doc considerò la denominazione “falerno” un nome di fantasia, per questo fu necessario l’indicazione territoriale “del Massico”. E ci fu accesa disputa sui vitigni. Sarebbe stata una beffa per Moio se fossero passati solo gli ultimi arrivati (cioè aglianico e piedirosso) per una sola (pur affascinte) presunzione storica dimenticandosi del suo primitivo prodotto già da molti anni prima….
Quello che invece mi convince meno è l’assunto pedologico tra collina e pianura perchè il riferimento/confronto dovrebbe essere con i declivi del Monte Massico piuttosto che con la pianura dove oggi si trovano impiantati buona parte dei vigneti.
Stabilire chi c’abbia, poi, ragione sull’etimologia della parola e la sua successiva precisa identificazione, esattamente, con quale vino, la vedo cosa assai complicata. Almeno di poterne avere la matematica certezza mi sembra impossibile.
Non vi è alcuna matematica certezza. Comunque la mia fonte bibliografica è l’articolo di Innocenzo Dall’Asso scritto su Napoli Nobilissima vol. n°15 nel 1906 nel quale fa numerosissime citazioni bibliografiche, io condivido la sua teoria.
Nella mia breve non posso sottrarmi dallo stigmatizzare l’assurda tesi di Di Marina Alaimo, -certo innovativa, ma in ragione del fatto di essere fantasiosa, priva di ogni fondamento storico ed archeologico, burlesca, forse provocatoria-, secondo cui “l’insieme di fertili colline che dal Monte Echia (già Monte Falero) si estende fino a Posillipo ed ai Colli Aminei è ritenuto da molti studiosi il luogo di origine del Falerno” (sic !).
Le prove storiche dell’ubicazione del territorio falerno sono inequivocabili, qualche esempio:
-Plinio il Vecchio (N.H., XIV,62): “Il territorio Falerno comincia dal ponte Campano sulla sinistra in direzione di Urbana, colonia fondata da Silla e recentemente annessa [57 d.C.] a Capua”. Come si vede Plinio fa arrivare l’ager Falernus fino al ponte Campano mentre tutta l’area a sud di esso è considerata amministrativamente ager Campanus.
-Il confine nord del territorio Falerno non presenta problema di sorta. L’esistenza di un “saltus Falerni” (Flor., Epit., II, 6, 28) (dove saltus sta per terreno montuoso, monte selvoso, ecc…) e di un “saltus Vescinum” (Liv. X, 21) più la indicazione di Livio che in “saltu Vescino Falernum contingente agrum” ci rende chiaro che il confine era rappresentato dal crinale del Monte Massico. Difatti il Massico è l’unico rilievo montuoso che divide la piana compresa tra il Volturno ed il Garigliano, unico punto di contatto tra il territorio vescino e quello falerno con la funzione di spartiacque.
-La costa ad ovest rappresentava l’altro confine naturale dell’ager Falernus anche se nel 296 a.C., con la creazione della colonia di Sinuessa nel lembo meridionale dell’ager Vescinus (Liv., X, 21, 8 : “…itaque placuit ut duae coloniae circa Vescinum et Falernum agrum deducerentur, una ad ostium Liris luvii, quae Minturnae appellata, altera in saltu Vescino, Falernum contingente agrum,…” (… si decise pertanto di stanziare due colonie vicino all’agro vescino e all’agro Falerno, una alla foce del fiume Liri, che fu chiamata Minturnae, l’altra in saltu Vescino, confinante con l’agro Falerno…)), parte del primo rientrò nei confini amministrativi di questa città.
-Ad est confinava con lo Statano; a tal proposito alcun dubbio lascia la frase di Plinio (Plin., N.H., XIV, 65: “…infatti i vigneti Statani, confinanti con l’agro Falerno…”.
Si ricordi infine, e vuole essere solo uno dei tanti esempi, la leggenda tramandataci da Silio Italico (Puniche VII 162-211): … In un’età migliore, quando ignote erano le spade, un vecchio Falerno fendeva le terre del Massico … E appena i cavalli di Fetonte ebbero frugato con l’albore nascente la rugiada, il Massico cominciò a verdeggiare per ampio tratto di campi lussureggianti di viti, guardando con meraviglia i boschi e i grappoli splendenti alla luce del sole …
Sintetico e chiarissimo è, poi, Plinio il Vecchio (NH XIV) il quale, nella descrizione dei vini, ci dice che il Falerno era prodotto nell’omonimo agro.
Qui tralasciamo per ovvi motivi di spazio i dati archeologici (bolli anforici, fornaci, relitti di navi romane, iscrizioni, ville rustiche, ecc.) che inequivocabilmente ci dicono ove si produceva il vino Falerno.
Affermare il contrario contro ogni dato storico ed archeologico sul sito ufficiale dell’Associazione Nazionale Somelier credetemi mi lascia perplesso.
Per ogni ulteriore approfondimento si possono agevolmente leggere i contributi degli archeologici e storici che si sono interessati dell’argomento: P. Arthur, M. Pagano, G. Guadagno, U. Zannini, A. Tchernia, ecc.
Gent. Sig. Marco,
la collega Marina Alaimo ( che si firma non solo con il nome ma anche con il cognome…)non condivide, a proposito della collocazione storico-geografica del Falerno, la tesi, per altro maggioritaria, che Lei documenta con puntuali citazioni bibliografiche.
Detto questo, mi sembra quanto meno poco elegante bollare come “burlesche” delle riflessioni che traggono spunto dalla lettura di un testo meritevole, fino a prova contraria, di rispetto(Napoli Nobilissima volume n.XV, pag.47, aut. Innocenzo Dall’Asso).
Clicca (qui)per la lettura della fonte citata.
L’ipotesi, riferita nell’articolo, resta sicuramente minoritaria e tutta da verificare, ma, a mio avviso, è interessante proprio per il fatto di percorrere strade ancora non battute.
Con i miei migliori saluti.
Tommaso Luongo
Delegato Ais Napoli