Di Marina Alaimo
In tempi molto remoti l’uomo si è insediato sulle falde del Vesuvio attratto dall’estrema fertilità del terreno vulcanico e dal clima temperato, fattori che hanno permesso lo sviluppo di un’agricoltura fiorente.Il territorio in origine era costituito da estesi querceti che nel corso del tempo sono stati sostituiti da vigneti e frutteti. Fra i prodotti più conosciuti si citano le albicocche, qui dette monacelle, le ciliegie, i famosi pomodorini del piennolo,ma l’area vesuviana è soprattutto terra di vini.Pare che Spartaco,Trace della tribù dei Maidi, stanco delle inumane condizioni di vita che Lentulo Batiato imponeva a lui ed agli altri gladiatori, nel 73 a.C. insieme a 200 compagni decise di ribellarsi scappando.Si fermò ai piedi del Vesuvio e attaccò le città limitrofe. Fu raggiunto dall’esercito romano che sconfisse riuscendo ad aggirarlo alle spalle, ma i ribelli si ritrovarono costretti tran dirupi dalle pareti lisce ed a picco che riuscirono a discendere intrecciando forti tralci di vite selvatica che qui cresceva rigogliosa. Come tutti sappiamo alla fine i Romani sconfissero i ribelli e con grande crudeltà crocifissero i sopravvissuti alla Battaglia del Vesuvio. Centocinquanta anni dopo ci fu l’eruzione del 79, forse la più violenta che distrusse totalmente le fiorenti città sorte alle pendici del vulcano. Lo Sterminator Vesevo nel corso dei secoli ha regalato terreni particolarmente fertili in quanto ricchi di potassio,fosforo e magnesio. Nel 1983 viene riconosciuta la doc Vesuvio, grazie al grande impegno di Antonio Mastroberardino,ance se i vini di questa zona sono conosciuti principalmente come Lacryma Christi, sorta di sottodenominazione che questi possono assumere quando raggiungono almeno i 12 gradi ed una resa in vino non superiore al 65%.I Lacryma Chrysti rosso e rosato sono prodotti con almeno l’80% di Piedirosso, qui detto Palombina o Per ‘e Palummo, da solo o con lo Sciascinoso a sua volta detto Olivella,il restante 20% prevede l’utilizzo di uve aglianico.Nel 1996 nasce la IGT Pompeiano rosso che è estesa a tutta la provincia di Napoli esclusa l’isola d’Ischia.Come nelle altre zone vitivinicole della Campania, anche qui il Piedirosso regala vini caratterizzati da una media struttura, piacevole frescezza, buona sapidità,fruttati con piacevoli sentori di ciliegia e piccoli frutti rossi,leggermente floreali con eleganti profumi di violetta.Come si è ampiamemte scritto su questo blog, la tipica natura di questo vino di facile beva e medio corpo non è un difetto ma una caratteristica che ci consente di colmare quegli spazi di cucina leggera e poco strutturata nei quali mal si colloca un vino rosso di grande corpo come potrebbe essere l’Aglianico. Alcuni produttori nel tentativo di assecondare una tendenza di mercato che richiede vini rossi ben strutturati, cercano di modificare la natura del Piedirosso,errore madornale in quanto la tipicità nel vino è sempre una carta vincente.Negli ultimi anni le cantine vesuviane hanno fatto notevoli passi avanti impegnandosi in una produzione attenta e di qualità,ma ritengo sidebbano fare altri passi avanti. Il 27 novembre alla Fabbrica dei Sapori di Battipaglia si è tenuta una degustazione di Piedirosso del Vesuvio delle cantine Podere del Tirone,Vigna Pironti, Terre di Sylva Mala, Michele Romano e I Nobili del Vesuvio che hanno sapientemente rappresentato la produzionevitivinicola vesuviana.L’evento è ampiamente riuscito nell’intento di promuovere questo territorio così interessante grazie ad una brillante organizzazione ed alla presenza di grandi personaggi come l’enologo Antonio Pesce, il giornalista Ugo Baldassarre, gli chef Antonio Tubelli, Marco De Luca e Fabrizio Condurro, i sommeliers Umberto e Giampaolo, l’addetta alle pubbliche relazioni Novella Talamo, il tutto sotto l’ineccepibile direzionedi Luciano Pignataro. Ho detto fin troppo chiudo suggerendo degli abbinamenti, questo vino accompagna bene piatti di pesce più strutturati come una zuppa di pesce, baccalà in umido con patate, è un inseparabile amico di qualsiasi pizza e visto che ci avviciniamo al Natale lo degusterei con una minestra maritata,il tutto condito da una splendida canzone classica napoletana ‘O Zampugnaro Nnammurato (Armando Gill, 1918), interpretata da Roberto Murolo.