di Angelo Di Costanzo
Il Piedirosso o Per é palummo dei Campi Flegrei (così chiamato per il caratteristico colore rosso porpora del graspo, simile al piede di colombo) è un vitigno a bacca rossa allevato in tutta l’area flegrea e seppur rappresenti nella totalità solo il 12% dell’area vitata, ha origine antichissima ed era spesso decantato come nettare prelibatissimo già da Plinio nella sua Naturalis Historiae, e molte successive ampelografie lo accostavano a vitigni come il dolcetto piemontese o il refosco dal peduncolo rosso friulano, ma sicuramente le caratteristiche che questo nobile vitigno esprime nei Campi Flegrei sono uniche se non rare. E’ un vitigno che presenta delle caratteristiche ampelografiche particolari, cresce innanzitutto su piede franco, cioè non è innestato su vite americana, sistema necessario a tutt’oggi per difendere le vigne dall’attacco della fillossera, un afide, capace di marcire le radici delle viti che soprattutto all’inizio del secolo scorso ha causato notevoli catastrofi in tutto il mondo; E’ una delle uve più difficili da gestire nel ciclo vegetativo, bisogna saperlo domare e curarlo costantemente; Tende a produrre molto legno e le sue radici sembrano non stancarsi mai di andare in profondità nel terreno alla ricerca di elementi nutritivi, è rustico e vigoroso, caratteristiche queste che stanno facendo dibattere molto anche sui sistemi di allevamento applicabili alla sua conduzione in vigna. Lo “Spalatone Puteolano” o la “Raggiera Bassa” sono sistemi certamente da non replicare che tendono proprio ad esaltare queste velleità del vitigno ma la concezione moderna di “rinnovamento” o addirittura di un nuovo impianto richiede almeno 10 anni prima di ottenere risultati degni di nota e questi tempi lunghi in vigna hanno giocoforza la meglio su chi punta a cogliere nel vino l’aspetto puramente commerciale scoraggiando investimenti adeguati su questo vitigno anche in virtù dei pochissimi ettari vocati (e quindi rinnovabili) presenti sul territorio delimitabili in poche aree tra le quali lo Scalandrone, il Lago d’Averno, e parte delle Coste di Cuma nei comuni di Bacoli e Pozzuoli e la Collina dei Camaldoli nel comune di Napoli. Per definizione vi è convinzione generale che il territorio a ridosso delle coste nel comune di Monte di Procida sia per elezione il terroir ideale di questo vitigno, ma qui è stato negli anni sistematicamente abbandonato a favore della Falangina e vitigni di poco valore, qui confidiamo nel grande lavoro di recupero che sta portando avanti in loco Cantina del Mare. Il frutto ha certamente carattere, ha grappoli spargoli ed acini ben spessi pertanto resistenti ad attacchi di malattie che possono generare muffe o marciume. Conferisce poi al vino, soprattutto dopo un breve affinamento profumi finissimi di fiori rossi e frutta matura senza mancare in sfumature eteree affascinanti ed accattivanti, è solitamente di corpo leggero e poco tannico pur senza mancare di carattere e propensione ad una evoluzione positiva nei suoi primi 3-5 anni dalla vendemmia. Non dimentichiamo che proprio per queste sue caratteristiche di finezza ed eleganza in alcune altre aree di produzione vinicola della nostra regione il Piedirosso viene spesso associato in uvaggio con altre uve proprio come elemento migliorativo ed attenuatore, per esempio della tannicità dell’Aglianico con cui sembra condividere un binomio superlativo, si pensi al Falerno del Massico, si pensino i vini di Roccamonfina e di alcune aree del Sannio-Beneventano.Non manca chi però con caparbietà e soprattutto conoscenza non ha mai perso la retta via puntando sulla valorizzazione del Piedirosso piuttosto che ripiegare sull’impianto di varietà rosse per certi versi più redditizie o magari di votarsi solo alla Falanghina, di solito più generosa e come non mai negli ultimi anni più facilmente collocabile sul mercato. E’ pur vero che negli ultimi anni anche qui nei Campi Flegrei sembrano venire fuori aziende come funghi ma non si può non tenere conto che questo fermento è il risultato di una gestazione lunga e travagliata che solo grazie alla tenacia e alla coscienza di pochi ha potuto oggi vedere la luce. Ci sono nomi e cognomi che rappresentano una realtà viva e protesa al futuro con uno slancio entusiasmante, c’è la storia e l’esperienza di circa 20 anni di vendemmie alle spalle della Famiglia Martusciello di Grotta del Sole, un patrimonio da salvaguardare e valorizzare, da vivere con rispetto e non da antagonisti, la lunga militanza di profondi conoscitori del territorio come Michele Farro, c’è l’ideale terroiristico di Luigi e Restituta Di Meo che con il loro piccolo gioiello, La Sibilla in poco più di un lustro hanno saputo affermare il valore delle Piccole Vigne e a ruota hanno saputo seguirli Giuseppe e Sandra Fortunato di Contrada Salandra, Antonio Iovino alle pendici del Vulcano Solfatara e Raffaele Moccia di Agnanum che ha un vigneto straordinario proprio a ridosso del Parco degli Astroni, e sempre da queste parti non passa inosservato il grande lavoro di riconversione avviato da qualche anno dalla Famiglia Varchetta che soprattutto con il marchio “Strione” di Cantine Astroni e il grande lavoro di Gerardo Vernazzaro stanno mietendo consenso e successi e consolidando quella consapevolezza che Campi Flegrei non può in nessun modo essere considerata una denominazione minore e che il Piedirosso ha più futuro di quanto si possa riuscire a scorgere all’orizzonte.
Un ringraziamento sincero a Marco e Tommaso per aver contribuito all’ispirazione di questo mio articolo.
Innanzitutto complimenti ad Angelo per il bell’articolo.
Volevo solo sottolineare l’importanza del passaggio in cui si parla del sistema di allevamento. Vale non solo per il piedirosso ma anche per l’aglianico e per molti altri vitigni del sud (penso al Nero d’Avola). E’, oggi, impensabile secondo me di progettare un grande vino senza preoccuparsi di questo come dell’infittimento degli impianti altra problematica ad esso strettamente legato. Anche questo significa o dovrebbe significare che il vino si fa in vigna.
Volevo poi segnalare anche il Piedirosso ischitano di Giardino Mediterraneo (la cantina voluta dal compianto Corrado D’Ambra) che mi ha offerto in questi anni non pochi spunti positivi di attenta riflessione sulle potenzialità inespresse o talvolta male espresse di questo vitigno.
Bisgnorebbe iniziare ad organizzare, anche in ambito Ais, qualche bella degustazione con pochi ma rappresentativi campioni di questa tipologia cercando di andare un po’ indietro col tempo, per quanto possibile e senza esagerare.
I banchi d’assaggio legati a manifestazioni pubbliche vanno bene, benissimo ma occorrerebbe anche creare momenti di degustazione ed approfondimento più “intimi”.
Penso che nei programmi futuri delle iniziative Ais Napoli, ed in questo sto facendo autocritica, dovremmo seriamente inziare a pensare a riportare nuovamente attenzione a produttori e vini “locali”.
Lo buttata lì…
Ciao Fabio, grazie innanzitutto per il complimento. Io penso, e non credo di sbagliare nell’affermare che sia opinione di molti, che c’è necessità (direi, urgenza) di avviare un programma serio e duraturo sull’esplorazione delle capacità ed il potenziale dei nostri vini “locali”. Tu citavi il Piedirosso di Corrado, non ho personalmente particolare esperienza nel piedirosso ischitano ma quello è certamente un esempio grazie al quale aprire gli occhi e rendersi conto che abbiamo lasciato per troppo tempo che la convinzione generale cuocesse nel brodo primordiale dell’ideale sbagliatissimo che vitigni come il piedirosso non hanno futuro.
In merito alle iniziative ce ne sarebbero da attuare, concordo e sottoscrivo, lo spero e credo che ve ne saranno; Io sono partito dal ricercare una memoria storica flegrea che ahimè non esiste (difficile riscontrare vecchie annate di un vino “di annata”) e credo di aver sensibilizzato a che questo avvenga poichè come tu ben saprai non si avrà mai certezza di dove si è arrivato se non si ha la capacità di comprendere da dove si è partiti…
L’articolo di Angelo, a cui faccio i complimenti , mi trova d’accordo
sul fatto che il Piedirosso sia un pò trascurato.
A parte D’Ambra e qualche altro produttore illuminato, sono pochi quelli che credono nelle sue potenzialità.
Si preferisce investire sempre di più sulla Falanghina.
Non è sbagliato, mà i rossi da vitigni come il Piedirosso, possono intercettare un segmemto di mercato e di gusto che è forse troppo trascurato dai nostri produttori.
Sono stato testimone all’ultimo Vinitaly con un produttore di questo vini ,che quando viene presentato ai buyers internazionali e proposto in assaggio descrivendone le peculiarità,lo trovano interesssante poichè sul mercato globale c’è una domananda non solo di vini strutturati ma anche i vini “Easy” ed intermedi in alterantiva ad grandi rossi.
Vini bevibili non banali e tipici,come possono essere i vini da uve piedirosso.
caro angelo, cari fabio e pasquale…
sono felice che si affronti questa argomento, sono tra gli estimatori del piedirosso e di tutti i rossi che possono considerarsi vini da “strutture contenute”… nel mio piccolo non faccio che perorare la necessità che esistano vini rossi da abbinare ai primi piatti, come i valdostani, il marzemino, il bardolino ed altri (più frequentemente nomi del nord italia) e sono dispiaciuto quando vedo produttori delle nostre zone che si impegnano eccessivamente a “rafforzare” questo prodotto che invece, secondo la mia modesta opinione, trova la sua grandezza proprio nella sua “semplicità”… mi spaventa l’inseguimento ai modelli “pugliesi” quando poi la cucina di alto livello muove passi proprio nella direzione opposta… il piedirosso tradizionale potrebbe in futuro essere la “chiave dell’acqua” di parecchi abbinamenti, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione in merito.
franco
In generale più che perorare la causa dei vini “da strutture contenute” il problema come dice anche Fabio è fare di questi vini un nodo centrale o quantomeno primario per conoscere e valorizzare il proprio territorio. Dal nord al sud credo sia sempre stato essenziale, soprattutto per chi come i sommeliers operano con professione e pragmatismo presso gli avventori capire e promovere il proprio territorio. Ahimè spesso la via più breve è come sempre guardare all’erba del vicino, ma non si è mai troppo lontano per fare un passo indietro. Per il resto, come ho già avuto modo di discuterne con diversi produttori le responsabilità di “certe mancanze” sono innanzitutto imputabili proprio a loro, che diffidano spesso e troppo e non conservano una memoria storica del proprio lavoro. A volte spendono cifre blu per girare l’Italia e poi sono misconosciuti sotto casa. Un’altro argomento che affronterò mercoledi a Battipaglia (http://www.lucianopignataro.it/articolo.php?pl=4929) e dove ne sono certo ne vedremo delle belle.
Caro Franco,
sposo in pieno la tua tesi anche se, e mi duole doverlo riconoscere, molto spesso serve qualche prodotto di punta che se ben fatto può servire da volano per attirare l’attenzione.
non c’è dubbio Fabio, le punte trainanti servono e non vanno biasimate, ma il problema secondo me è più complesso di quello che sostiene Angelo. Non mi convince la guerra della territorialità come esigenza primaria, della difesa ad ogni costo dell’autoctono, se questo non viene posto un passettino dietro alla qualità… per me questi aspetti rappresentano un importantissimo “valore aggiunto” di un prodotto che deve tuttavia rispondere prima di ogni cosa al palato, al gusto… per dirla in breve Angelo (ed anche di questo Fabio mi piacerebbe conoscere la tua opinione) credo che la lotta più importante da intraprendere sia quella di chiedere ai produttori di fare un buon prodotto, di evitare cioè che circolino rappresentanti talvolta indecenti, e di convincere i consumatori che il piedirosso “serve”, che è un vino “importante” prima ancora di spiegare che è un vino a piede franco, che fa parte della nostra storia, etc… A me pare invece che non sia considerato tale, è ancora per molti il fratello scemo dell’aglianico mentre, per le ragioni che ho già esposto, lo ritengo di grande ed inespresso potenziale.
@Franco: dov’è che non cogli la complessità nelle mie osservazioni? Stiamo parlando delle stesse cose ed allo stesso modo. Non desidero nessuna guerra di territorialità, non è questo il punto, mi auguro e vado solo perorando che NOI sommeliers campani possiamo avere qualche motivazione in più per comunicare Piedirosso piuttosto che Marzemino, Per e’ Palummo anzichè Bardolino. Insomma più semplicemente oltre a vedere lontano, oltre i nostri confini regionali ed internazionali non sarebbe male buttare ogni tanto un occhio al nostro orticello. E’ vero che ci sono improvvisati, ma in quali espressioni non ve ne sono?
@Fabio: non conosco le tue preferenze, ma vini come quelli di Raffaele Moccia, Giuseppe Fortunato, Luigi Di Meo, gli stessi Martusciello, Colle Spadaro e non di meno le ultime interpretazioni di Cantine Astroni, già sono ognuno a loro modo valide interpretazioni. E’ pur vero che manca la continuità, lo stesso Michele Farro in alcune annate tira fuori un ottimo Piediorsso, ma come già ho affermato solo il tempo (leggi vendemmie, nda) e l’attenzione consentirà a tutti costoro e chi vorrà seguirli di crescere ed esprimersi sempre meglio. Il territorio è dannatamente frazionato, e solo con una corretta parcellizzazione si può avviare un discorso serio e di sviluppo duraturo sulla valorizzazione di questo vitigno nei Campi Flegrei.
Tutta questa riflessione parte da una mezza verticale in casa della Famiglia Martusciello (chiedere a Tommaso e Marco e dare magari uno sguardo qui http://www.lucianopignataro.it/articolo.php?pl=5089 ). Nulla più, lavorarci su potrebbe essere interessante.
scusami angelo, devo avere interpretato male… sono felice se concordiamo, io ammiro i rossi del nord ma non li ritengo necessariamente “migliori” del piedirosso, anzi… sottolineavo solo che la qualità, per me, viene prima della territorialità, in generale, lo penso di qualsiasi vitigno, in qualsiasi posto del mondo esso si trovi
@Franco: …e tu pensa se alla qualità seguisse tangibile riconoscibilità territoriale, altro che abbinamenti per tradizione!
Impressioni a caldo, dopo Rosso rosso Piedirosso qui: http://www.lucianopignataro.it/articolo.php?pl=5122
caro Angelo, avevi ragione tu, ho letto l’articolo sul sito di Luciano e mi è piaciuto davvero… peroriamo la stessa causa :-)
saluti e complimenti
C’è molto da lavorare, molto di più da condividere. Ne guadegneremo tanto tutti, in esperienza, visibilità e capacità di “leggere” meglio questa nostra terra flegrea ed i suoi vini.
A presto.
io mi sto appena affacciando su questo campo dei vini e anche avendo 17 anni ho le idee chiare cercavo una ricerca sul piedirosso per una gara ma nn riesco a capire dv cercare per trovare qualcosa di meglio del tipo a che si abbina bene che tipo di vino è ecc… mi potete aiutare???? spero in una vostra risposta sulla mia e-mail silvio91sp@libero.it