Di Roberto Erro
Leggevo Musicofilia di Oliver Sacks e mi è venuta un’idea: traslare le considerazioni che il celebre neurologo fa sull’esperienza uditiva a quella olfattoria. È un’idea strana, senza alcuna validazione sperimentale sull’uomo: cerco allora nella letteratura scientifica un qualche dato che possa confermare la “mia” ipotesi e salta fuori un lavoro svolto da un gruppo di ricerca statunitense sui criceti. Per ovvi motivi lo studio si avvale della “somministrazione” di odori caratteristici del genere maschile e femminile e valuta il loro riconoscimento da parte di “tester” di sesso opposto attraverso le modifiche che questi stessi odori apportano ai rispettivi apparati genitali. Semplificando: due gruppi di criceti di sesso femminile vengono rispettivamente fatti incontrare o meno nel corso della loro “adolescenza” con criceti di sesso opposto; a questi stessi due gruppi vengono fatti nuovamente incontrare durante l’età fertile esemplari maschi. I risultati sono subito evidenti: il gruppo che aveva avuto un’esperienza sensoriale precedente rispondeva in maniera più consistente agli stimoli olfattori successivi. Il gruppo statunitense però si ostina ripetendo l’esperimento, ma cercando di discriminare questa volta tra odori volatili e non volatili e di ripetere le somministrazioni-incontri in più fasi della vita dei criceti. Le conclusioni sono analoghe; tuttavia i ricercatori riconoscono una certa plasticità nei meccanismi di risposta allo stimolo sensoriale. In altre parole: esiste una memoria olfattiva plastica che si forma nel corso delle esperienze; queste ultime (e quindi la “potenza” di questa stessa memoria olfattiva) rendono conto delle differenze inter-individuali che fanno, ad esempio, di Tommaso Luongo un fine e smaliziato degustatore e di me, profano del vino, un semplice ‘mbriacone. Ma il ruolo della memoria olfattiva non si limita a quello di semplice banca-dati di differenti sentori, catalogati come fossero file nel nostro cervello: essa assume un ruolo di primaria importanza nell’esperienza sensoriale. E qui passiamo ad Oliver Sacks: “…forse questo è un esempio estremo di qualcosa che noi tutti, sporadicamente, sperimentiamo con la musica che conosciamo bene: credendo di ascoltare una musica appena udibile – quando in realtà la radio è spenta o il brano è finito – ci chiediamo se essa stia ancora suonando a basso volume o se la stiamo solo immaginando”.
Ebbene sì, questa è un’esperienza che io stesso ho provato, come tutti credo. Volete un altro esempio? Nel momento stesso che state leggendo questo mio scritto o anche quando pensate, quale voce vi risuona nel cervello? Non vi sembra proprio di ascoltare la vostra voce? Certo non la mia: a ciascuno il suo timbro. Alla base di questo fenomeno c’è il fatto che l’attivazione della corteccia uditiva, pur in assenza di uno stimolo periferico, è capace di riprodurre l’effetto finale. Ciò accade anche quando la corteccia viene minimamente stimolata come nell’esempio fatto da Sacks; questa poi, per conto suo, continua il lavoro facendoci credere che stiamo ancora ascoltando quella musica. Questo processo fece in modo che Bethoveen continuasse a comporre pur essendo sordo: le note sul pentagramma attivavano la sua corteccia uditiva e la musica risuonava nel suo cervello nonostante fosse abolito l’uso dell’organo periferico. Ora proviamo a ipotizzare che la stessa cosa, come è plausibile che sia, accada con la via olfattiva: un odore volatile si lega ad uno specifico recettore presente nel naso; questo legame attiva una via che conduce ad una specifica area cerebrale laddove risiede quella che abbiamo definito “memoria olfattiva”. In alcuni soggetti, vuoi perché sono sommelier dai tempi di Balanzone, vuoi perché sono profumieri alla Suskind, tale memoria è sufficientemente potente da garantire la continuità dello stimolo anche quando ormai quella famosa sostanza volatile ha smesso di legare il recettore periferico. Cioè credono di continuare a sentire quell’odore, hanno il tempo di ripescare dalla loro banca-dati il corrispettivo primigenio (offerto in dote da esperienze precedenti) ed eccoli esclamare: note di rosa canina appassita!!!
Morale della favola: annusiamo, annusiamo, annusiamo e potenziamo la nostra propria memoria olfattiva in modo da avvicinare le nostre capacità a quelle del nostro magnifico delegato (eguagliarle, ahimè, è missione impossibile: troppe le bevute nel suo portfolio).
Letture consigliate: “Musicofilia” di O. Sacks, ed. Adelphi, 2008; “Olfactory experience and the development of odor preference and vaginal marking in female Syrian hamsters”, P.Maras, Physiology & Behavior, 2008
Al prossimo appuntamento con la neuro-enofilia, axè.
Foto: Dr.vino [label of tasting wine book]
Caro Roberto,
bel post! non potevo non pubblicarlo…
devo dire che le citazioni che mi riguardano stavano per essere abbattute dalla scure della censura, poi però ho preferito non intervenire pensando al vecchio adagio che “anche gli sfottuti vanno in paradiso”
A buon rendere…
Tommaso
ma mio caro delegato, la possibilità di commentare in calce avrebbe “parato” il colpo inferto dalla scure: il nome tuo, volendo, sarebbe comunque apparso nei commenti ;)
grazie per il “bel post”.
ps: se il traghettatore dovesse per te sbagliare, ci vediamo nel girone di golosi: mi trovi lì…