Ospitiamo sul nostro blog, grazie alla disponibilità di Antonella P.Vastola, Docente di Marketing del Vino presso l’Università degli Studi della Basilicata (…nonchè sommelier Master Class Bibenda, ndr) una lucida ed approfondita analisi del “movimento” biodinamico dal punto di vista innanzitutto della convenienza economica e poi dell’opportunità etica. Documento presentato in occasione del recente congresso OIV di Verona. E’ possibile scaricarlo completo delle note ed in formato pdf in calce al seguente post.(T.L.)
Di Antonella P.Vastola
Docente Marketing del Vino
Università degli Studi della Basilicata, DITEC
RIASSUNTO
Questo lavoro cerca di comprendere le opportunità competitive della produzione di vino biodinamico e i limiti alla sua promozione nel mercato dei prodotti agro-alimentari con una certificazione di qualità. Il vino biodinamico offre nuove ed interessanti opportunità di mercato sia alle grandi aziende vitivinicole, che possono sfruttare risorse “vergini” in paesi emergenti nel mercato del vino, che per le piccole imprese, che possono utilizzare la biodinamica per trasfondere in maniera diretta le caratteristiche del territorio nel vino. Lo sfruttamento di queste opportunità può essere, tuttavia, compromesso dai vincoli posti dalla disinformazione dei consumatori, che sembrano confusi dalle differenze tra un vino biodinamico piuttosto che biologico o un vino definito “naturale”. Il pericolo è che la produzione di vino biodinamico non decolli a causa non di una intrinseca debolezza del prodotto, ma piuttosto della ridotta disponibilità a pagare dei consumatori, generata dalla percezione di una asimmetria informativa che potrebbe essere opportunisticamente sfruttata da alcuni produttori. Se così accadesse, il benessere dei consumatori potrebbe diminuire.
Introduzione
Oggi, nessuna attività produttiva può più ignorare l’incipiente cambiamento climatico e la crescente emergenza ambientale. La salvaguardia delle risorse primarie, prima fra tutte l’acqua, è uno degli obiettivi prioritari di qualsiasi piano di intervento. Alcune ricerche hanno dimostrato che un tipo di agricoltura più consapevole di queste problematiche contribuisce non solo ad un oculato consumo delle risorse, ma anche alla loro salvaguardia per le generazioni future.
Il progetto “Farmers are the solution”© dell’Associazione Biodynamic Agriculture Australia , ha dimostrato che l’uso di pratiche agronomiche biodinamiche diminuisce il consumo di acqua in agricoltura perché è favorita, tra l’altro, la produzione di humus che migliora la ritenzione idrica dei suoli. Si riduce, inoltre, il fenomeno dell’erosione dei suoli e si ottiene un prodotto che ha delle caratteristiche nutrizionali migliori.
La domanda di prodotti rispettosi dell’ambiente è crescente. I consumatori sono più consapevoli dei rischi che i metodi di produzione intensiva comportano in termini di sfruttamento e di inquinamento dei terreni.
Un numero crescente di produttori agricoli è cosciente del fatto che con il metodo di produzione convenzionale i naturali equilibri si sono modificati. Il suolo si sta trasformando in un supporto inerte che necessita di sempre maggiori quantità di sostanze chimiche per mantenere costanti le rese, così come è in continuo aumento l’uso di insetticidi e diserbanti a causa della forte riduzione di antagonisti.
In questo contesto, l’adozione dei metodi di produzione biodinamici si presenta come una possibile soluzione vantaggiosa sia per i consumatori che per i produttori.
Il vino biodinamico
Che cosa si intende per agricoltura biodinamica? Il movimento biodinamico nasce nel 1924 ad opera dell’austriaco Rudolf Steiner, che fonda il “Circolo di ricerca per la coltivazione”. Il principio fondamentale si basa sull’attivazione dei processi biologici nel terreno in modo da rendere disponibili alle piante gli elementi nutritivi necessari alla produzione . Questo modo di produrre crea un insieme in equilibrio tra coltura, fertilità del terreno ed ecosistema circostante. La ricostruzione dell’equilibrio suolo/ambiente fa si che si ricrei, spontaneamente, la corretta relazione tra preda/predatore . La biodinamica ritiene fondamentali i cicli cosmici e lunari per la determinazione delle semine e degli altri interventi agronomici. Gli unici preparati utilizzati sono di origine naturale ed hanno la funzione di catalizzatori per stimolare i fenomeni vitali.
In vigna, la modalità di produzione si basa sulla biodiversità e sulla rinuncia all’uso di elementi chimici. Nella vinificazione, la fermentazione avviene in modo spontaneo: il protocollo non prevede il controllo della temperatura di esercizio. Il mosto si trasforma per opera di lieviti indigeni presenti sulle uve, specifici e diversi da vigneto a vigneto. E’, quindi, abolito l’uso di lieviti selezionati prodotti industrialmente, così come non sono consentite: acidificazioni/disacidificazioni, lo zuccheraggio, i metodi di concentrazione come l’osmosi inversa o il congelamento. Nessuna filtrazione sterile è ammessa al di sotto di 2 micron. L’uso dell’anidride solforosa è un tema cruciale: alcuni produttori la usano in quantità minime, in condizioni avverse alla vinificazione, per gestire il processo; altri, invece, fanno dell’assenza di solfiti, una questione di principio, un segno distintivo che contraddistingue la produzione biodinamica da quella convenzionale.
Secondo Nicolas Joly , uno dei precursori mondiali dell’applicazione del metodo biodinamico in vigna ed in cantina, il viticoltore è un “nature assistant” più che un “wine maker”.
In Italia, la produzione agricola biodinamica è rappresentata da 375 aziende certificate Demeter mentre altre 80 sono in conversione, con un incremento annuo costante tra il 2% e il 3% (dati Demeter, 2007). La superficie investita è di 25.000 ettari, per un fatturato di 30 milioni di euro, più del 70% dei quali derivante dalle esportazioni (soprattutto in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti). Nell’ultima edizione del BioFach, la più importante fiera di vini biologici del mondo, è emerso che la biodinamica nel settore vitivinicolo è un fenomeno in crescita, a livello mondiale. In Italia, i vigneti biodinamici investono una superficie di circa 750 ettari.
Il quadro normativo
La riconoscibilità di un prodotto attraverso la certificazione deve basarsi su di una regolamentazione. E’, quindi, necessario investigare sullo stato dell’arte della normativa in materia di produzioni agricole biodinamiche.
Attualmente, sia a livello internazionale che di singola nazione non esiste una normativa che definisca e disciplini il processo di vinificazione biodinamico. Questa carenza ha origine dalle lacune della legislazione sul vino biologico, poiché l’essere conforme alle prescrizioni dell’agricoltura biologica è il requisito minimo, o il prerequisito, per potere entrare nel sistema produttivo biodinamico. La normativa europea sull’agricoltura biologica (Reg. 2092/91) definisce le regole della viticoltura biologica mentre trascura totalmente il processo di vinificazione biologica, per il quale non è data alcuna indicazione. Quindi, ad oggi, nei paesi dell’UE l’unica menzione corretta è “vino ottenuto da uve da agricoltura biologica”, mentre la dicitura “vino biologico” non ha alcuna base giuridica, pur essendo ampiamente usata nel lessico commerciale e comune.
A partire da questa lacuna normativa, nascono i problemi della vinificazione biodinamica.
Fin dal 1927 , Demeter è l’organismo internazionale che certifica con il proprio marchio i prodotti provenienti da agricoltura biodinamica, i rispettivi processi di trasformazione e d’imballaggio, ivi compresi i liquidi come latte e succhi, nonché cosmetici e tessuti. Nel caso di vino e birra, a patto che abbiano un certo grado alcolico, sono ammesse le etichette in cui si indica che la materia prima rispetta la qualità Demeter. Ciò avviene solo se sono verificati i seguenti prerequisiti: conformità agli standard di trasformazione Demeter; almeno il 95% degli ingredienti deve possedere la certificazione biologica, nel rispetto del Reg. 2092/91 o di regolamentazioni equivalenti; tra il 50% e il 90% degli ingredienti totali deve rispettare le norme di qualità certificate Demeter.
Ad oggi, quindi, in Italia ma anche in tutte le altre nazioni, con eccezione della Francia, l’unica menzione che si può utilizzare è vino “ottenuto da uve certificate Demeter”.
In Europa, solo la Francia è dotata di un disciplinare nazionale per la vinificazione biodinamica. E’ stato redatto dalla Association Demeter France e si inserisce nelle linee guida internazionali della Demeter per la trasformazione delle materie prime. I vini ottenuti sulla base di questo disciplinare possono riportare la dicitura “Vin Demeter”, in caso contrario l’unica menzione possibile è “Vin issu de raisins Demeter” (vino ottenuto da uve Demeter). L’uso dell’anidride solforosa è ammesso nella quantità massima di:70 mg/l per i vini rossi; 90 mg/l per i rosati e i bianchi secchi; 60 mg/l per i vini spumanti. Lo zuccheraggio è consentito solo nel caso dei vini spumanti, al momento della “presa di spuma” e quando si introduce il “liquer d’expedition”. I lieviti consentiti non devono essere Ogm e l’uso è consentito solo nella procedura di rifermentazione in bottiglia degli spumanti. La vinificazione tiene conto della posizione dei pianeti e la vendemmia è condotta esclusivamente a mano ed in più passaggi, per assicurare la maturazione ottimale delle uve. Nel confezionamento sono ammessi il vetro, i tappi di sughero naturale marchiati solo a fuoco e non trattati con ioni o cloro. Le sostanze o i materiali non menzionati nel disciplinare non sono ammessi.
Per l’Italia, nel corso di quest’anno, la Demeter dovrebbe portare a termine la stesura del disciplinare di vinificazione. Fino a quel momento, nel nostro paese l’unica menzione consentita è quella di vino “ottenuto da uve certificate Demeter”. A causa di questa mancanza di “regole” alcuni produttori di vino hanno provveduto a realizzare un disciplinare di produzione aziendale che è certificato da un organo di controllo indipendente per la produzione biologica (Icea). I punti salienti riguardano: il livello massimo di anidride solforosa ammessa, l’origine dei lieviti ed enzimi selezionati, la natura delle sostanze impiegate nelle pratiche di cantina (vietate quelle di origine chimica), i prodotti ammessi per la pulizia sono solo quelli previsti dal Reg. 2092/91 e dai disciplinari Demeter.
Per i produttori che vogliono competere sui mercati esteri è fondamentale conoscere e adeguarsi alla normativa internazionale sulla vinificazione biologica, essendo quella biodinamica carente e facendo comunque riferimento, per i requisiti minimi, alle indicazioni della legislazione sull’agricoltura biologica.
Le regole internazionali sull’agricoltura biologica sono definite da due organismi: l’Ifoam (International Federation of Organic Agricolture Movements) e il Codex Alimentarius . Né le Linee Guida del Codex Alimentarius né le Norme base dell’Ifoam prevedono indicazioni specifiche relative al processo di vinificazione ma trattano l’argomento vino nell’ambito dei risultati ottenuti dalla trasformazione di un prodotto agricolo. Nel caso del Codex Alimentarius è possibile tuttavia ricavare, in modo indiretto, a partire dal processo di trasformazione delle uve, le pratiche enologiche ammesse nonché le sostanze utilizzabili in cantina .
Le indicazioni dell’Ifoam, simili dal punto di vista concettuale a quelle dettate dal Codex, elencano gli additivi e i coadiuvanti permessi nella trasformazione degli alimenti e che interessano, quindi, il processo di vinificazione. Come nel caso del Codex, anche per l’Ifoam non sono ammessi microrganismi Ogm e i loro sottoprodotti anzi, dove possibile, è consigliato l’impiego di microrganismi ottenuti da substrati i cui ingredienti sono certificati biologici.
Negli Stati Uniti, il mercato della produzione e dell’importazione di prodotti biologici è controllato, in base alla normativa federale del National Organic Program (Nop), dal regolamento per l’agricoltura biologica redatto dall’Usda (United States Department of Agriculture) ed entrato in vigore nell’ottobre del 2002.
La legislazione statunitense non riconosce l’equivalenza dei propri standard di produzione e trasformazione dei prodotti biologici con quelli di provenienza estera, ponendo di fatto una barriera non tariffaria all’ingresso di prodotti concorrenti sul mercato interno. Inoltre, gioca a sfavore della concorrenza estera, ed in particolare di quella europea, il fatto che non esistendo una normativa specifica sulla vinificazione delle uve biologiche, non è possibile un raffronto, al momento delle trattative commerciali, tra disciplinari.
Il programma nazionale prevede una lista, detta National List, di sostanze ammesse e di cui tutti gli operatori, interni ed esteri, devono tenere conto per potere produrre ed esportare. Questa lista, così come quelle dell’Ifoam e del Codex, si basa su dei principi generali che escludono tutte le sostanze chimiche (tranne quelle espressamente indicate dalla lista) e ammettono quelle di origine animale (tranne quelle espressamente proibite) .
L’etichettatura del vino biologico, negli Stati Uniti, deve seguire le indicazioni del Federal Alcohol Administartion Act, del Alchol Beverage Labeling oltre che quelle del Nop. L’elemento discriminante per la classificazione è la presenza e, in quali quantità, di solfiti aggiunti. Si determinano, quindi, quattro categorie di vino biologico: “100 percent organic”; “organic” o “organic wine”; “made with organic ingredients”; “with some organic ingredients”.
Il vino “100 percent organic” non può contenere solfiti aggiunti, e se il contenuto dei solfiti naturali, cioè quelli che si formano durante la vinificazione, è inferiore a 10 ppm è facoltativo riportare la dicitura “sulfite free” o “no added sulfites- -contains naturally occurring sulfites”. E’, inoltre, obbligatorio riportare in etichetta l’organismo di certificazione, mentre è opzionale l’inserimento del logo “Usda organic” e quello dell’ente certificatore. Infine, la menzione “100 percent organic” può essere aggiunta al nome del vino.
Nel caso del vino “organic”, il contenuto di ingredienti biologici deve essere pari, almeno, al 95% e non può contenere solfiti aggiunti. Nel caso di uvaggi, in etichetta si deve distinguere la percentuale e la varietà delle uve biologiche e quella delle uve non biologiche. In Europa, invece, non è possibile miscelare uve/mosti di provenienza biologica con uve/mosti provenienti da agricoltura convenzionale. Le altre condizioni per l’etichettatura sono le stesse della categoria “100 percent organic”.
La terza categoria, vino “made with organic ingredients”, prevede un contenuto di ingredienti biologici non inferiore al 70%; può contenere solfiti naturali o aggiunti in misura non superiore a 100 ppm. In etichetta è obbligatorio indicare “contiene solfiti”, così come il nome dell’ente certificatore. Non è possibile apporre il logo “Usda organic” che è riservato solo alle prime due categorie di vino. Questa tipologia di vino è la più diffusa, tanto per i vini di origine nazionale che per quelli provenienti da mercati esteri. Dal 2005, ogni menzione che fa riferimento all’origine biologica deve essere preceduta dalla dicitura “made with organic”.
Il vino “some organic ingredients” è quello in cui meno del 70% delle uve proviene da agricoltura biologica. Né il logo “Usda organic” né quello dell’ente certificatore compaiono in etichetta, mentre deve essere presente il nome dell’organismo di controllo.
Nel mercato nordamericano, le prime due categorie di vino sono poco rappresentate, tanto dai produttori nazionali che da quelli esteri, a causa del vincolo posto dall’assenza di solfiti aggiunti.
Il mercato del vino biodinamico, naturale, vero…. e le conseguenze per il consumatoreIn questo quadro di regole decisamente sfaccettato quando non confuso da indicazioni che si vanno a sovrapporre le une alle altre, è chiaro che il consumatore, anche se attento e desideroso di saperne di più, resta disorientato. Le stesse considerazioni valgono per i produttori di vino. Nel panorama nazionale, esistono diverse associazioni che li rappresentano in qualità di produttori di vino biodinamico, o così detto “naturale” o ancora “vero”. Tra queste quella che ha una maggiore visibilità, nel contesto nazionale, è l’associazione dei viticoltori “Triple A” e che collabora con l’associazione internazionale, “Renaissance des Appellations” fondata da Nicolas Joly. I viticoltori “Triple A” si definiscono: Agricoltori, Artigiani, Artisti. Si riconoscono nella necessità di contrapporsi al fenomeno di standardizzazione della produzione enologica che genera vini simili in ogni parte del mondo perdendo così, il nesso con il terroir ma anche con la sensibilità produttiva. Di qui l’attributo del viticoltore, artigiano e artista, che quei luoghi riesce ad interpretare al meglio forte, anche, dell’esperienza delle generazioni che lo hanno preceduto nel lavoro in vigna ed in cantina. Questi produttori si sono dati un decalogo di pratiche e sostanze ammesse, tanto nel vigneto che nella fase enologica, e che si basano su di un principio di intervento minimo, nel rispetto del ciclo naturale della vite e della natura che la circonda. Tutti i produttori AAA sono biologici e molti di essi biodinamici anche se molti non si riconoscono in menzioni, che a loro avviso, sono utilizzate come strumento di marketing dall’industria ed dai mezzi di comunicazione.
I produttori che non si riconoscono in alcuna definizione o movimento specifico, tipo il biodinamico, difendono il proprio modo di fare vino secondo le regole “di una volta”. La loro produzione è, di solito, rappresentata da poche migliaia di bottiglie, ed è commercializzata attraverso canali tradizionali come il “passa parola” e la vendita diretta. Si tratta del gruppo di produttori più “integralista” presente, al momento, sul mercato nazionale. Molti di loro producono vino nelle zone viticole italiane di più antica tradizione enologica, come le Langhe in Piemonte, il Collio in Friuli Venezia Giulia, o la zona di Montalcino e del Chianti in Toscana. Si ritengono i difensori di regole che vanno contro la logica della globalizzazione, della massificazione della produzione vinicola che ha portato alla realizzazione di vini molto simili tra loro e realizzati con l’intervento massiccio di biotecnologie chimiche, applicabili in qualsiasi parte del mondo, e che snaturano il prodotto di qualsiasi elemento caratteristico della zona di produzione (mineralità, sapidità, profumi, …) o del saper fare del vignaiolo.
Questi produttori non si riconoscono e, quindi, non desiderano rientrare in alcun ambito di normativa regolamentata. Rifiutano, infatti, l’essere definiti biodinamici piuttosto che biologici. Non riconoscono alcun valore a questo tipo d’attributi per il loro vino, e all’ovvia domanda: “come può il consumatore differenziare il loro vino da quello di un concorrente, magari meno qualificato?” Essi rispondono che ciò da valore e riconoscibilità al loro vino è la reputazione costruita in anni di fare bene e di dedizione al proprio lavoro. Questi produttori si dichiarano fieri di produrre dei vini che, pur essendo menzionati da guide specializzate, piuttosto che essere “tecnicamente perfetti” sono “naturalmente perfetti” (intervista con Azienda Agricola Paradiso di Manfredi, Aprile 2008).
A questo gruppo di produttori se ne contrappone un altro, caratterizzato da dimensioni aziendali maggiori, a cui corrisponde una maggiore capacità produttiva e, di conseguenza, con l’obiettivo di soddisfare mercati più ampi. Spesso, si tratta di produttori i cui vini rientrano nell’ambito di Consorzi di Tutela ed è, per esempio, il caso di Castello Banfi (Brunello di Montalcino) o di Barone Pizzini (Franciacorta). Si tratta di aziende che hanno un fatturato annuo di milioni di euro, sono presenti in molti dei principali mercati esteri come gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, la Svezia, ed hanno una gamma di prodotti estremamente ampia che spazia dalle produzioni Docg a quelle Igt, oltre che alle grappe, l’olio e l’offerta di soggiorni in azienda. Questo gruppo di produttori sta vedendo nel mercato del vino biologico e biodinamico un’opportunità produttiva da sfruttare per soddisfare nuovi segmenti di mercato.
Banfi si è aggiudicato la distribuzione esclusiva mondiale del vino cileno Coyam, prodotto dall’azienda vinicola Viñedos Emiliana S.A. , ed ottenuto da uve in attesa della certificazione Demeter. Questo vino biodinamico, così come altri (Sincerity, Novas e Adobe) della stessa azienda, ha avuto molti riconoscimenti internazionali, soprattutto nel mercato nord americano. L’enologo dell’azienda è cileno e si è formato alla scuola di Joly. Nel primo anno di entrata in commercio nel mercato italiano si è attestato al primo posto tra i vini della sua categoria, specie per il buon rapporto qualità-prezzo.
L’azienda franciacortina Barone Pizzini produce seguendo il disciplinare biologico, da circa un decennio, ed è stato il primo produttore biologico di spumante Franciacorta . Negli ultimi anni, le scelte strategiche aziendali si sono interessate a testare le potenzialità della viticoltura biodinamica. Nel 2007, la tenuta Pievalta (29 ettari) nelle Marche, ha fatto la prima vendemmia di Verdicchio biodinamico e sta sperimentando la vinificazione in anfora, dopo due anni di conversione dal biologico. Come nel caso di Viñedos Emiliana, anche la produzione di Pievalta è in attesa di ricevere la certificazione Demeter, il che vuol dire che almeno il 90% degli ingredienti è riconosciuto di qualità Demeter e che le vigne sono condotte secondo il metodo di produzione biologico.
A fronte di questa variegata condizione del lato dell’offerta, i consumatori hanno, evidentemente, dei problemi per individuare dei chiari riferimenti normativi attraverso i quali fare una scelta più consapevole, piuttosto che lasciarsi guidare dalle tendenze e/o dalla moda dell’ultima ora o dai sentito dire. Le diverse associazioni di produttori, unite in nome di ideali legittimi quali la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità, della contrapposizione alla globalizzazione ed all’uso dei prodotti di origine chimica, generano attributi per il vino come: vero, naturale, autentico…, che uniti a quello biologico (riconosciuto e certificato) e quello biodinamico (ancora in fase di definizione normativa), creano al consumatore un quadro di riferimento poco chiaro. In un sondaggio dell’ottobre scorso condotto da Winenews in collaborazione con il Vinitaly, sulla conoscenza del vino biodinamico, è emersa una significativa confusione sull’enologia biodinamica da parte degli enonauti che hanno risposto all’indagine via web. Il 71% non ha le idee chiare e il confine tra biologico e biodinamico non è affatto distinto: l’11% crede che si tratti della stessa cosa, mentre il 23% ritiene che la biodinamica sia una filosofia con un’indefinibile ricaduta sulle caratteristiche del prodotto. Solo il 24% degli intervistati ha definito correttamente un vino biodinamico, quale prodotto di specifiche tecniche in vigna ed in cantina e ottenuto tramite l’impiego di specifici preparati naturali. Gli scettici – coloro che definiscono il fenomeno biodinamico come pura moda – sono il 14% ed ad essi si contrappone un 15% di assolutamente convinti della qualità del prodotto. Infine, il 54% di chi ha risposto ha comprato, almeno una volta, una bottiglia di vino biodinamico spinto dalla curiosità di assaggiare un prodotto che è comunicato, dai più, come una nuova tendenza del mercato.
Quest’immagine può fare gioco nel breve periodo ma è assolutamente deleteria nel medio lungo periodo, quando la moda sarà passata ed i concorrenti esteri (Australia e Cile fra i primi), si affacceranno sul mercato nazionale con quote maggiori di prodotto.
Conclusioni
Le conclusioni che si possono trarre da questa breve analisi sono sostanzialmente due.
La regolamentazione relativa alla processo di vinificazione biodinamico è carente, tanto a livello internazionale che nazionale. Ciò causa l’assenza di un sistema di certificazione che permetta la riconoscibilità delle caratteristiche qualitative del prodotto in modo da: (i) tutelare i consumatori; (ii) rendere competitivi gli scambi commerciali, soprattutto a livello internazionale; (iii) assicurare una corretta distribuzione delle informazioni.
Dal lato della domanda si verifica una condizione di carenza informativa a volte colmata da informazioni parziali e forvianti, rese possibili dalla mancanza di regole, ed una perdita di benessere sociale perché parte della domanda resta insoddisfatta pur essendovi un interesse reale che si manifesta in una significativa disponibilità a pagare.
Dal lato dell’offerta accade si verificano sostanzialmente, due situazioni. Da un lato ci sono dei viticoltori che non riconoscono alcun valore all’attuale stato delle regole e confidano nel proprio saper fare che li ha portati a soddisfare comunque i mercati obiettivo – per essi, tale reputazione costituisce la migliore certificazione di qualità. Un altro gruppo di produttori riconosce invece il valore strategico che l’attestazione biodinamica può dare al proprio prodotto, in termini di riconoscibilità e quindi di strumento per competere, soprattutto nei mercati esteri.
Questo diverso atteggiamento è dettato da un diverso modello di comportamento. Per entrambi l’utilità è funzione del prezzo e della qualità. Per il primo gruppo la variabile qualità è composta da: (i) reputazione personale, intesa come conferma all’adesione ad una certa filosofia produttiva condivisa con i consumatori; (ii) salvaguardia del territorio in cui si opera; (iii) la soddisfazione di un mercato di nicchia. Nel caso del secondo gruppo, la qualità è finalizzata al prezzo finale di vendita ed è perseguita in funzione: (i) dei riconoscimenti ottenuti su media specializzati; (ii) della reputazione come leva competitiva; (iii) per la difesa/espansione della quota di mercato; (iv) della certificazione che, intesa come segnale di qualità, rende il prodotto riconoscibile.
E’ ancora presto per dire se vi sarà un modello vincente. Tuttavia, la loro coesistenza potrebbe facilitare la conversione dei produttori ai metodi biodinamici, con un guadagno netto per i consumatori e la sostenibilità dell’agricoltura tutta.
Bibliografia
Joly N. (2003), Il vino tra cielo e terra , Ed. Porthos, Roma.
Joly N. (2008), La vigna, il vino e la biodinamica, Ed. Slow Food, Bra (Cn).
Koef, Schaumann, Haccius (2006)(IV ed.), Agricoltura biodinamica, Ed. Antroposofica, Milano.
Scarica qui il testovastola1_oiv2008.pdf completo di note ed in formato pdf
Leggendo l’abstract di questo articolo mi è venuto in mente un famoso detto dei liberal americani denominato Sindrome di NIMBY, acronimo di Not In My Back Yard, ovvero mai nel mio cortile.
Infatti la Vastola, sostiene le grandi opportunità che il vino biodimamico offe, ma paventa che <<(...) lo sfruttamento di queste opportunità può essere, tuttavia, compromesso dai vincoli posti dalla disinformazione dei consumatori.>>. Giustissimo. E credo che a sottoscrivere tali paure ci saranno tutti i sostenitori incalliti e integralisti del biodinamico.
Basta però, ahimè, che si esce dal proprio cortile per assumere posizioni nettamente contrarie. Infatti, se si parla di biotecnologie agrarie, ingegneria genomica, o se volete sui “cosidetti” organismi geneticamente modificati (OGM) – sigla coniata per il dibattito mediatico su una tecnologia di larghissimo uso da decenni in tutti i laboratori di biologia molecolare – beh le cose cambiano.
Da un punto di vista mediatico, i partigiani del biodinammico (ma non solo), hanno come unico scopo “la notizia” anche a costo di spararla grossa, tanto la smentita verrà relegata in qualche sperduto trafiletto, senza che un minimo, e sottolineo un minimo di parvenza scientifica avvalori la loro tesi.
Affinchè la disinformazione non condizioni l’opinione pubblica, sarà bene allora affrontare certi discorsi scevri da impostazione ideal-ideologiche, altrimenti << (…) il benessere dei consumatori potrebbe diminuire.>>…ma non quelli solo nel proprio cortile!!!
Lo so che è lungo ma spero che non ti sia fermato alla sola lettura dell’abstract…è un’analisi condotta con metodi rigorosamente scientifici senza nessuna forma di “partigianeria”.
Caro Tommaso,
il mio post non voleva intervenire nel merito della discussione. Ho voluto evidenziare un fatto che a me appare evidente. La Vastola affronta la sua argomentazione partendo dal presupposto di una cattiva informazione, cosa che io concordo in pieno. Certo però se la disinformazione la si usa solo ad proprio uso e consumo allora saltano tutti gli schemi.
Ad ogni modo, non mi sono fermato certamante all’abstract, sono arrivato fino in fondo alla bibliografia, per rendermi conto, ahimè, che sono presenti solo 3 citazioni di cui una slow food.
Caro Guido, spero che tu voglia contribuire alla discussione sulla questione dei vini biodinamici con la pubblicazione su questo blog degli studi scientifici che contestano anche nel merito e non solo nel metodo queste considerazioni. Sarebbe bello che i lettori di questo blog fossero messi nella condizione di farsi da soli un’idea su questo argomento senza condizionamenti.
Poi so bene che non sarà scientifico ma qualche giorno fa ho avuto modo di “interloquire” con i vini di Castello dei Rampolla, altra azienda che si è convertita, in tempi non sospetti, al biodinamico senza strombazzare mediaticamente ai quattro venti tale scelta e devo riconoscere che sono rimasto colpito dalla grande Qualità dei vini che ho bevuto.
Caro Tommaso,
sicuramente per mio limite non ho saputo esprimere a pieno il mio pensiero.
Io, come tantissime persone nel campo scientifico, non contesto assolutamente la metodologia del biodinamico. Mi sembra di aver detto, che in quanto consumatore, a me interessa il prodotto non il processo.
Prendo spunto da questi articoli che Voi pubblicate per aprire un dibattito che spesso, (per no dire sempre) i produttori-fautori del Biodinamio e/o biologico vanno affermando: ovvero che questa metodologia “è sana e pura” mentre quella tradizonale cone uso di metodi scientifici no.
Ecco allora che non sono io che devo mettere a disposizone studi scientifici, ma chi di converso ne deride o scimmiotta.
P.S: Ad ogni modo, giusto per serietà nei tuoi confronti, per soddisfare la tua viva intelligenza, quando hai un poco di tempo, fatti una visita al sito:www.salmone.org.
Il sito è strutturato per categorie, ed all’inerno troverai articoli scientifici che non si azzardano a scimmiottare nessuna delle tecniche preposte, ma si rifà solo ed esclusivamente alla letteratura mondiale, quello che in gergo si chiama peer review
Entro in questo dibattito solo per esprimere alcune considerazioni a Guido: 1) a me come consumatore interessa tanto il prodotto quanto il processo. 2)Spetta proprio a te, invece, caro Guido, in quanto sommelier e di conseguenza soggetto terzo, trasmettere ai consumatori nozioni e conoscenze che ti appartengono, e non certo ad un produttore – parte in causa – (biodinamico o no, non fa alcuna differenza) che il vino lo vende.
Caro Mauro,
constato che questa discussione è nata – con il mio primo post – su una riflessione che la Vastola faceva sulla disinformazione che orbitava intorno al biodinamico. Bene la mia considerazione era e rimane quella che le “disinformazioni” sono tanto esiziali quanto esecrabili per la crescita di una società. Ho sottolineato però che non si può (ma questo non era indirizzato alla Vastola) predicare disinformazione con una mano mentre con l’altra la si perpreta (e qui mi limitavo ad elencare l’intero mondo biodinamico o biologico quando si parla di GM o biotecnologie in generale).
Ti ho fatto questo resoconto perchè mi rendo conto che ti sei perso qualche passaggio per strada, non tanto al tuo primo punto, in quanto penso che abbiamo una visione diametralmente opposta…ragion per cui buon senso vuole che ognuno predichi la propria idea. Ma è il secondo che mi lascia perplesso; continuo ad affermare un principio valido in qualsiasi regime liberale (capisco che in italia fa rabbrividire questa parola): LIBERA SCELTA
Risulta chiaro che se il produttore, in regime di concorrenza, usa il blackout scientifico (disinformazione), essenso io uno che fa scienza lo ammonisco.
In merito poi al libero consumatore, sulle tecnologie ricombinati o se vuoi OGM, avevo organizzato un convegno con Tommaso che purtroppo non si è potuto finalizzare ancora…cooming soon.
Caro Guido, forse hai ragione, nel senso che mi sarò perso qualche passaggio.
Allora cerchiamo di chiarirci. Vado per punti.
1)“penso che abbiamo una visione diametralmente opposta”: non mi risulta di averti messo al corrente della mia, né di aver letto, ed in questo, nel mio precedente commento ripetevo ciò che Tommaso ti aveva chiesto, di aver letto qualcosa di “scientifico” di tuo. Quindi, come si possa avere visione diametralmente opposte mi sfugge.
2)Non mi riesce di capire come tu riesca a parlare dell’intero movimento Biodinamico e/o Biologico (le generalizzazioni a me proprio non riescono) reo, a tuo parere, di scimmiottare non so chè o di fare disinformazione. Io ho parlato, talvolta, con alcuni di loro: non scimiottavano nessuno, avevano solo una visione delle cose diverse. Il liberalismo prevede l’opportunità di pensarla in maniera diversa.
3)I tuoi interventi, scusami se mi ripeto, che accusano gli altri di disinformazione senza nessun preciso riferimento a cosa o chi, hanno ben poco di “scientifico”, ma sembrano polemici interventi mossi da fervore ideologico. Ti invito, nuovamente, a scrivere qualcosa in materia affinché tutti noi ci si possa chiarire le idee. Tutto qui.
Caro Mauro,
se scrivi: “a me come consumatore interessa tanto il prodotto quanto il processo”, mentre io invece valuto il prodotto, credo che mi hai messo bene al corrente della tua posizione.
In merito al punto 2 e 3 mi sembra paradossale che mi si accusa di osteggiare chi la pensa diversamente da me. Sono stato chiaro e su questo punto non vorrei ritornare. Credo perciò che dinanzi ad un buon bicchiere di vino (…semmai biodinamico) possa chiarirti bene alcuni punti..inziando da ciò che s’intende per metodo scientifico acclarato dalla comunità sicentifica.
P.S:
Iniziati a leggerti questi due documenti consensu:
http://www.siga.unina.it/circolari/Consensus_ITA.pdf
http://www.salmone.org/archives/95
documenti sottoscritti da più di 10.000 scienziati.
un caloroso saluto
G.
Grazie, leggerò.
Solo una precisazione: se scrivo che come consumatore oltre il prodotto vorrei sapere del processo vuol dire semplicemente, senza alcuna recondita ideologia o presunta scientificità, che per esercitare la mia “Libera scelta” come scrivi tu, vorrei essere informato, tutto qui. Pare si chiami trasparenza, nulla più.