A degna conclusione del corso AIS per sommelier di primo livello, siamo ospiti delle cantine Grotta del Sole, guidati dal suo proprietario. Chi lo conosce come enologo, chi come produttore. Molti lo scoprono alfiere di una particolare forma di marketing territoriale, quella legata alla comunicazione dei valori storici e vitivinicoli della Campania Felix. Francesco Martusciello (nella foto a sx) riunisce in se i tre ruoli: è esperto di vigna e di cantina, appartiene a una famiglia interamente dedicata al vino da tre generazioni, promuove attraverso Grotta del Sole non solo l’azienda di famiglia ma anche il culto dei luoghi di origine dei suoi vini. Una storia particolare, si direbbe di nemesi storica, perché in origine c’erano una casa vinicola senza terre e una fabbrica di aceto; la cantina era del nonno e vinificava raccogliendo da conferenti di fiducia; l’acetificio sorgeva accanto e un giorno fu messo in vendita. Figli e nipoti, animati da coraggio imprenditoriale, partono da premesse lontane dalla vinificazione di qualità ma tracciano un percorso di evoluzione che vi si attesta con risultati lusinghieri. E non è finita, poiché l’azienda dal 2005 è in corso di profonda riorganizzazione in nome di un progetto di lungo respiro. Parlare di imprenditori e di sfide è quasi una tautologia. Quella dei Martusciello consiste nel recupero di aree viticole storiche e del rilancio di vini “fuori moda”. Tre esempi: la Falanghina dei campi flegrei, l’Asprinio dell’aversano, il Gragnano della penisola sorrentina. Tre vinelli dappoco? Vediamo… La Falanghina dei campi flegrei è tra le poche viti a piede franco sopravvissute in Italia. Piede franco significa la fortuna di crescere in un terreno di sabbie tufacee immuni dalla fillossera. Piede franco significa che il vitigno non subisce il portainnesto, quindi non si formano cicatrici sulla pianta e la linfa scorre lungo un ponte diretto tra il terreno e il grappolo. Piede franco significa quindi caratteri organolettici tipici, dalla terra al vino. Da una vite autoctona di origine etrusca di rara vigoria. Ancora oggi molti vignaioli flegrei vantano ceppi in grado di dare 30 kg di uva ciascuno con l’esclamazione compiaciuta “guarda come è bella, aveta e gruossa” (alta e sviluppata). Quando nel 1994 i Martusciello acquistano la vigna nei pressi della cantina, inizia un processo evolutivo basato sul confronto tra caratteri storici del vitigno e tecniche di cultivar moderne: impianto denso (3.500 ceppi/ettaro, che arrivano a 5.000 ceppi/ettaro nella neoacquisita vigna del Lago d’Averno), altezza massima 2 metri (contro i tre e oltre della tradizionale falanga), 4 o 5 grappoli per ceppo a costo di rimuoverne alcuni in potatura verde, addirittura la smezzatura delle pigne (il taglio della coda del grappolo) se sono troppo pesanti. Il risultato è una produzione limitata a 60 quintali per ettaro compensata dall’alta qualità.
Ne esce una Falanghina assai diversa da quella sannita (che scopriamo provenire da un vitigno affatto diverso). Alla degustazione la Falanghina “base” si mostra fresca e vivace, nel giallo paglierino all’occhio e nel fruttato deciso in bocca. La Coste di Cuma, riserva, rivela aromi più evoluti e intensi, lunghi e graditi, con un impatto fresco e morbido; il passaggio in legno non soverchia le origini, donando caratteri pieni e decisi. In entrambe la nota aromatica dell’ananas sembra quasi una tipicità varietale. L’Asprinio dell’agro aversano è materia per una sfida diversa. Già in vigna l’asprinio sembra invitare alla sfida: tradizionalmente la coltivazione è la famosa “alberata”, con una vite a sviluppo verticale festonato tra due alberi d’alto fusto. Descritta da Goethe nel Viaggio in Italia e dipinta da Gaspar Van Wittel (papà di Ludwig Van Wittel ovvero Luigi Vanvitelli), ancora oggi oggetto della vendemmia acrobatica che si esegue su scale alte anche venti metri, è il cultivar più irrazionale e antieconomico che si possa concepire. Da quest’uva si ottiene un vino a bassa gradazione alcolica e acidità prepotente (da cui il nome). Tutto il contrario delle caratteristiche sulle quali il mercato enologico sembra ancora orientato (se così, io dico appiattito). Magari un vino buono per alleviare le assetate cenette d’estate… finita qui? No, perché i Martusciello vinificano queste uve spumantizzate, anche in Champenois! L’unico “champagne borbonico” esistente, dalle caratteristiche uniche. Provare, prego, sia nella versione di bollicina semplice che di bollicina nobile. Il Gragnano della penisola sorrentina è infine il vino di beva immediata dei nostri bisnonni, caduto in disgrazia con l’avvento della vinificazione moderna. La storia ci dice che l’uva veniva tradizionalmente coltivata in piccoli appezzamenti di pendice, arrampicati su terrazzamenti, raccolta e pigiata sul posto dai contadini e venduta con tutta la botte. Narra Francesco Martusciello che in origine le botti erano Carati da 7 ettolitri, da portare a spalla sino al carro per il trasferimento in città. Il Gragnano veniva quindi subito venduto ancora bulicante e finiva prima il vino della fermentazione… C’è chi osa produrre oggi un vino rosso frizzante a bassa gradazione e di qualità. E fare riscoprire piaceri sopiti da almeno due generazioni. La filosofia di cantina di Martusciello è in linea con le scelte di vigna. Una sorpresa è rappresentata dalla linea di produzione del mosto, che ci saremmo aspettati tradizionalmente al chiuso e invece luccica all’aperto. Da una parte la ristrutturazione dell’azienda coinvolge anche gli edifici, quindi l’impianto è “fuori cantiere”, dall’altra va notato che l’impiego dell’inox e i tempi rapidi di processo rendono indifferente l’ambiente di lavorazione; anzi, lavorare alla luce diurna fa risparmiare energia e si effettua meglio la cernita dei grappoli. Per il resto non abbiamo sorprese. Le linee di lavorazione privilegiano piccoli lotti produttivi, nonostante l’azienda metta in circolazione 850.000 bottiglie l’anno. La cantina è un regno d’acciaio; la bottaia ospita solo 80 barriques per il breve affinamento delle 4 riserve monovitigno di Grotta del Sole: Falanghina Coste di Cuma DOC, Piedirosso Monte Gauro, Aglianico Quarto di Sole e Greco Quarto di Luna (battezzati in onore del luogo e del piacere di giocare con le parole). Subito infatti Francesco sottolinea che il passaggio in legno deve essere moderato e rapido, per non snaturare la tipicità degli aromi, e per far sì che “il vignaiolo non diventi falegname”.
Infine una nota d’immagine. Dopo 15 anni di esperimenti e progressi fra tradizione e modernità Grotta del Sole ha deciso deliberarsi dagli “orpelli iconografici araldico-celebrativi” e darsi una riconoscibilità attraverso l’adozione di simboli nuovi. Sulle etichette splende un sole stilizzato con raggi spiraliformi, come nei cieli di Van Gogh. Pronti a srotolarsi lungo un cammino ancora lungo e messaggero di nuovi frutti.
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