Di Franco Di Luca e Claudio Tenuta
Quando mi hanno accompagnato per la prima volta a visitare le Langhe mi ha colpito fondamentalmente la dolcezza del paesaggio, la rotondità delle colline, le rigature spezzate delle vigne che riportavano in mente tante teste pettinate ed ordinate, qualcuna con qualche ciuffo nella sommità che può essere un pino o una quercia o un vecchio olmo… per me allora il vino non rappresentava quel che rappresenta oggi e la mia attenzione era solo concentrata sull’aspetto naturalistico, sull’armonia delle colline tutte simili fra loro. Se mi avessero detto allora che quella armonia geografica l’avrei in futuro poi ritrovata in un vino avrei pensato “ecco qua, le solite esagerazioni dei sommelier!” e so di rischiare anche adesso questo commento, ma non posso evitarlo… la solennità che si percepisce in quelle zone si ritrova ogni volta che si incontra quello che per molti di noi è uno dei vitigni più importanti al mondo: il nebbiolo. Più tardi ho poi scoperto che c’è un riscontro scientifico a questo concetto romantico e consiste nella interessante peculiarità che, da queste parti, la composizione morfologica dei terreni si conserva “più o meno” omogenea per diversi ettari e non cambia invece da metro a metro come accade nell’Irpinia o nel Friuli. Qui i terreni sciolti si riducono più o meno a poche decine di centimetri per quasi la totalità del territorio ed hanno una composizione di marna e argilla che impedisce la compattazione delle zolle consentendo quindi anche alle radici delle vigne più giovani di svilupparsi in verticale e di “toccare” la roccia madre di natura calcarea. In realtà, a voler essere più precisi, dovrei specificare che, in relazione alla granulometria dei terreni, la degradazione calcarea dalle “Alpi Occidentali” alla Pianura “Padana” avviene con continuità ed è già significativa la differenza dalla zona ovest alla zona est dell’areale docg “Barolo”, tuttavia rimando ad altre occasioni approfondimenti sulla questione, quello che mi preme sottolineare adesso è altresì che lo spessore dei terreni sciolti non va mai oltre il metro e questo consente alla vite di arricchirsi di sostanze minerarie ed è sicuramente uno dei motivi principali per cui il nebbiolo riesce a dar vita a vini molto stabili, vini che possono evolvere nei primi anni di affinamento per poi restare fedeli a se stessi per decine e decine di anni. È sempre molto impressionante verificare come il barolo, per esempio, possa sospendersi nel tempo imprigionando tutte le caratteristiche organolettiche a memoria storica dei nipoti di chi lo imbottiglia, come un vino di 25-30 anni possa sembrare addirittura giovane e se qualcuno pensa che stia esagerando non ha torto, l’avrei pensato anche io prima di degustare il Barolo Borgogno del 1982. Confesso che nell’approccio all’annata del 1961 avevo qualche preconcetto, immaginavo di sorprendermi per la rinomata longevità del colore, mi aspettavo che anche al naso potesse ancora raccontarci qualcosa ma nello stesso tempo mai avrei pensato di scoprire in bocca ancora una tale potenza acido/tannica, una vivacità così imprevedibile e così poco slegata dal resto del corpo per un vino così vecchio da spiazzare tutti noi partecipanti lasciandoci in silenzio a meditare. In effetti bisogna specificare che, come ho potuto verificare in secondo momento direttamente con i produttori, le annate storiche come questa vengono decantate ma comunque in ambiente azotato e privo di ossigeno onde preservare la qualità originaria. Questo spiega la giovinezza dei tappi e l’assenza totale di residui sul fondo della bottiglia … che aveva insinuato in alcuni qualche cattivo pensiero. Ora  è il turno di Claudio Tenuta con le schede di degustazione…
La particolarità della serata è quella di trovarsi davanti a quattro Barolo Borgogno Riserva d’annata, cioè 1962, 1967, 1982 e 1996 che per quanto mi riguarda è una novità. Provare vini con più di 15 anni non è una cosa da tutti i giorni, pertanto il pathos risulta essere una componente importante nella serata.
La serata si apre tra barolisti doc(g) ed amanti del Barolo curiosi di assaggiare due annate vecchissime, il buon Franco ci fa volare virtualmente nelle terre di Langa per farci assaporare il profumo dei vigneti e la cultura del vino di quelle zone, ma anche lui è impaziente di passare alla degustazione…
Barolo Borgogno Riserva 1961:
rubino con accenni granati, di ottima limpidezza e media trasparenza, di media consistenza, il colore non è in grado di definire questo vino un quarantasettenne. Dopo aver aspettato adeguatamente per l’ossigenazione annuso il bicchiere e avverto un primo impatto centrato su note di marasca e visciole sotto spirito il che mi conferma quanto sopra pensato, una nota speziata di cannella e delle sensazioni di iodio, successivamente dopo un’altra ventina di minuti il vino si evolve su note di pepe nero e terreno bagnato per chiudere su note di marmellata di rosa canina.In bocca è armonico, quello che mi affascina è la capacità di questo bicchiere di avere tutte le sue componenti ben fuse tra loro ma contemporaneamente di consentire al degustatore di distinguerle nettamente (probabilmente l’uso del cemento in vinificazione ha una sua valenza), il tannino non può avere così tanti anni perchè è vivo ruspante ma non ruvido e l’alcolicità fà da contraltare ad una più che discreta sapidità, inoltre la spalla acida è sorprendentemente presente, quasi sembra richiedere un cibo da attaccare.La sensazione che lascia in bocca è ripulente nella sua tattilità ed incentrata su sensazioni gustative di spezie e frutto in amalgama con accenni di caramello.
Barolo Borgogno Riserva 1967:
rubino, limpido, di media trasparenza ed abbastanza consistente, ancora una volta colore vivido.
Il primo naso si orienta verso la radice di liquirizia e di zenzero insieme, in un sottofondo delicatamente ematico, il frutto è leggermente nascosto, con la roteazione del calice emergono le note volatili di ceralacca e più che il frutto vengon fuori sensazioni di fiori essiccati quali la viola e il glicine ma rimane ancora restio ad aprirsi completamente.L’equilibrio gustativo ricalca il 1961, il vino è robusto in grado di esprimere una alcolicità avvolgente e mai pesante e un tannino in grado di ripulire l’intera cavità orale dopo che l’acidità e la sapidità hanno assolto alla loro funzione, inoltre i polialcoli conferiscono alla bevuta una certa corposità.
Al gusto resta una piacevole sensazione di cenere vegetale mista ad un mazzetto di fiori essiccati e, non mi vergogno a dirlo,  di cremosa creme brulè.
Barolo Borgogno Riserva 1982:
rubino, limpido, più consistente dei suo predecessori, meno trasparente, il colore è leggermente più concentrato e il liquido si attacca alle pareti con maggior vigore.L’intensità e la complessità olfattiva sono minori perchè il vino sembra che debba ancora sgranchirsi nel bicchiere e forse anche perchè il millesimo non è tra i migliori.Primo naso su pepe verde e note canforate, poi lentamente evolve su note mentolate e di frutta assolutamente fresca (cassis, prugna).Il vino rimane robusto ma il tannino è meno levigato, più ruvido ma per niente sgraziato, solo capace di emergere tra le belle sensazioni calde dell’alcol e la sapidità più che discreta. Rispetto ai precedenti millesimi avverto una frescezza di una spanna inferiore.In bocca ho la sensazione che entra largo, dirompente, con un frutto carnoso e polposo, con sensazioni di cioccolato e tabacco che riempiono ed aggrediscono le papille gustative, forse perde in eleganza e assume dei toni da Barolo moderno.
Barolo Borgogno Riserva 1996:
rubino, limpido, più che discreta consistenza, per niente trasparente.Più intenso che complesso, si presenta con note dolci di vaniglia e curcuma, eucalipto, poi fiori, il frutto è appena accennato con una mela cotogna in confettura.La struttura è meno polposa, la freschezza si esprime in bella evidenza ma il tannino non è perfettamente fuso nonostante da contraltare ci siano dei polialcoli di lusinghiera concentrazione, l’alcol rimane una costante elegante anche in questo millesimo.In bocca entra appena ammandorlato, su sensazioni di caffè e liquirizia poi si allarga su sensazioni di fresce more di gelso e cerfoglio, chiude un pò ruvido ma assolutamente in evoluzione. La costante della serata è stata la sorpresa di trovarsi di fronte a vini così invecchiati ma privi sia di note ossidative che di note marcatamente orientate su spezie, e comunque di fronte a colori vivissimi. Non sono pochi i dubbi di un “rabocco” prima della consegna delle bottiglie da parte dell’azienda che comunque darebbe delle spiegazioni ai nostri perchè…Sorpresa finale con due nebbioli alla cieca, si è scoperto successivamente che si trattava di un nebbiolo sardo non in purezza (Dolmen 2000 Colli del Limbara Cantina di Gallura) opuleno, moderno, largo in bocca nel quale si alternavano sensazioni balsamiche a note floreali di ginestra a note di frutta in confettura, un vinone forse un poco grossolano e difficile da bere in due, ma in pieno inverno su un bel ragout napoletano può esprimersi alla grande.
L’altro nebbiolo è stato quello della cantina coperativa di Donnas del 2004, anche in questo caso c’è un 15% di uve locali, il mio pensiero è andato sulla Valtellina, ma ho sbagliato, il vino si è presentato con un colore scarico, più nebbioleggiante di tutti quelli provati in serata, con sensazioni olfattive e gustative concentrate su note vegetali, ferrose, e di piccoli frutti di bosco, il corpo è leggero ma non magro e punta decisamente sulla facile beva e sulla semplicità.