Di Monica Piscitelli
Monica PiscitelliIl cielo è terso ma tira un vento freddo su Radici del Sud, la due giorni che tra venerdi’ e sabato scorso, l’Ais, nazionale e campana, ha dedicato alla sommelierie internazionale e a coloro che semplicemente amano il vino. Sua location d’eccezione è stata la Reggia di Caserta. Con la Pasqua appena conclusa alle spalle e con il Vinitaly alle porte non è facile tenere desta l’attenzione, soprattutto dei produttori, su questa manifestazione che si pone un obiettivo ambizioso: dare un saggio dei vini di Sud del Mondo e aprire un confronto a più voci sul futuro della professione di sommelier nel Mondo e della viticoltura contemporanea alla luce variazioni climatiche in atto.
I vini di Basilicata, Calabria, Sicilia, Spagna, Portogallo, Marocco, Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Grecia, Cipro, Malta, Israele, Sud Africa, California, Cile, Brasile, Argentina, India, Australia e Nuova Zelanda sono in degustazione nel grande ambiente del porticato che unisce l’entrata principale con l’ingresso del parco della Reggia, mentre la Campania è al piano superiore, sotto le spettacolari volte che si aprono allo sguardo del visitatore appena risalita la doppia rampa di gradini dello scalone monumentale. Raramente si è vista una location del genere per un evento dedicato al vino. Al piacere del buon bere si unisce l’incanto del capolavoro di Luigi Vanvitelli, la nuova Versailles voluta da Carlo di Borbone. E’ questo uno degli aspetti che non potranno che rimanere indelebili nella memoria dei tanti winelovers che nel corso della due giorni hanno frequentato i banchi d’assaggio, le degustazioni guidate e gli incontri di studio.La prima delle due giornate si chiude con il Seminario “Che tempo fa sui vini del sud”. A condurlo è Giovanni Ascione. Quaranta minuti di una serrata arringa dedicata al vino dei giorni nostri che inchioda tutti sulle poltroncine. Il sommelier, collaboratore di Bibenda e di Duemila Vini, prende in analisi un ventennio di storia del vino italiano per poi sottoporre ai presenti (tutti esponenti della sommelierie regionale e non, associati Ais, degustatori professionisti, produttori, giornalisti e semplici appassionati) cinque campioni di vino provenienti dagli angoli più disparati del Mondo.Il racconto di Ascione, è una caricatura impietosamente ironica di una realtà che è stata, e che ancora non è del tutto estinta. Parla seguendo un canovaccio nel quale ha appuntato i passaggi salienti, alcuni di questi risultano esilaranti. Sfata la credenza delle annate caldissime che danno determinate auspicabili caratteristiche al vino. Del 1990 si disse che era stata la più calda di tutti i tempi. Ma poi c’è stata l’annata 1997 e la 2000. E poi, con quella del 2003, tutti hanno dimenticato tutte e tre. A che serve concentrarsi su questo, se l’estratto ed il colore ci sono, ma se, alla fine, il vino, a causa di una non compiuta maturazione fenolica, arriva come una “mazzata sui denti”?. Lo si capisce da subito, e lo confessa Ascione apertamente: non sarà una serata nel quale si parlerà “aissese” (il gergo Ais), perché la platea dei colleghi è fin troppo preparata e avvezza ad incontri del genere perchè lui faccia l’errore di muoversi su un piano consueto. No, il relatore sceglie di giocare con sapienza il fattore sorpresa utilizzando una dialettica da comunicatore provetto. Esordisce dicendo “Avete mai notato che su tutte le brochure aziendali, negli anni scorsi, si parlava sempre di vitigni esposti a Sud?” “Bene, adesso, questi vitigni, curiosamente, si stanno progressivamente girando in senso antiorario” sorride Ascione. Comincia ad avere il suo fascino, a certe latitudini, insomma, guardare a Est o, ancora, anche a Nord.
Parla di mode, insomma. Alcune delle quali sono solo un ricordo del passato. Diciamo: di ieri. Come quella dell’ enologo super pagato, il flying winemakers (“driving winemakers”, chiama quelli nostrani), che girano mezzo Mondo diffondendo il proprio verbo e facendo i vini per Robert Parker. Ed ecco vini tutti uguali, vini che vengono salassati e in più modi strapazzati perché si esprimano con certe concentrazioni e colori. Ci sono, più ieri che oggi, per fortuna, gli importatori che scelgono i vini guardano classifiche come quelle di Wine Spectator: prendono i primi 15 migliori e gli altri rischiano di finire scartati solo perché hanno un centesimo di punto in meno. E continua col ricordare il tempo in cui la prima cosa che si chiedeva a un produttore è “chi è il suo enologo?” (“oggi trasformata in chi è il suo agronomo?”), il tempo in cui tutto ciò che si coltivava a Guyot, o si chiamava “Merlot”, “Cabernet” era buono, mentre era cattivo avere meno di 5000 ceppi per ettaro. Meglio 10000. Il discorso non è che il cappello a quello complementare sotteso alla degustazione successiva. A bottiglie rigorosamente coperte, si inizia con versare il vino nei bicchieri. Il campione 1. E’ un blend o un monovitigno? “E’ del 2006-2007? Del 2000-2003? Del 1995-1999? O antecedente al 1995?”. Iniziano a volteggiare i bicchieri, si inclinano sulla bianca tovaglia. Si osserva. Poi ci si tuffa con il naso dentro. Le idee sembrano chiare. Si scrive. Per la verifica si deve attendere che tutti i campioni siano stati analizzati. Niente di nuovo. La terza domanda per gli esimi nasi e palati presenti in sala è perfino banale:“Da dove viene?”. Non pretende, Ascione, in fondo, che sapere da che Continente proviene il vino proposto, non da quale località. La domanda è: “Nuovo o Vecchio Mondo?” . Semplice, lapalissiano. Qualcuno, me inclusa, si espone: “Nuovo”. C’è chi dice: “Vecchio”.
La gran parte sta nel mezzo, diciamo che naviga nell’Oceano che divide i due, senza approdare sulla terraferma. Il giochino, che gioco non è, è stimolante. Per molti vale la pena mettere da parte qualche anno , o decennio, di esperienza per giocare fino in fondo e capire dove è il trucco. Ascione introduce ogni vino descrivendolo con perizia, sfoderando una verve da uomo di spettacolo. L’obiettivo che si prefigge è chiaro: giungere a delle conclusioni spiazzanti per tutti. E già pregusta il finale. L’esame che fa dei vini, mentre affàbula la platea, è preciso. Poche pennellate decise, e il ritratto dipinto con una tecnica affinata negli anni, è composto. Rare volte come in questo caso nessun aggettivo attribuito al contenuto del bicchiere risulta fuori posto. Il primo vino, ha una un colore che inequivocabilmente fa pensare ad un’annata calda, molto calda. La frutta è polposa, matura e il colore fa correre la mente al 2003. L’erbaceo del 2, invece, è veramente una spremuta di erba fresca appena tagliata. Cosi’ come l’odore di sudore di cavallo: c’è davvero nel campione numero 3. E il minerale spiccato del campione 4? Si annuisce. Tutti d’accordo anche sul numero cinque, che decisamente, afferma la maggioranza, è un vino del Vecchio Continente. Bene, tutti hanno compilato la scheda. C’è anche lo spazio per la valutazione da 1 a 5. Ma non è quella a sbalordire.
Il vino del campione 1, così ben eseguito, che sembra un accattivante blend del vecchio Continente è un monovitigno ottenuto Zinfaldel, un cugino del nostro Primitivo, ed è americano. Del 1998 addirittura. Si solleva un brusio. Il secondo è un Cabernet Sauvignon australiano del 2002. Il colore e il naso, avevano fatto pensare a molti ad un vino più giovane, magari del 2004-2005. Quello con dentro “il puledro”, che tutti davano per un europeo, altro non è che un Tunisino. Stupore: non si è stati capaci di indovinare neanche il Continente. E così ci si divide sul Vigna Piancastelli 2001 a base di Pallagrello Nero e Casavecchia che viene scoperto sotto lo sguardo soddisfatto dei suoi produttori presenti in sala. Le valutazioni, per questo, erano più vicine alla verità: “E’ campano” aveva detto un gruppetto. E così avanti fino all’ultimo, che nessuno, praticamente, aveva pensato essere sudafricano. Morale della favola? Ascione fa l’ultimo affondo: ogni vino ha dietro un progetto, un progetto che non è valido in ogni luogo e tempo. Si alle basse rese, a quelle alte; al Guyot invece che all’Alberello; al Merlot piuttosto che al Casavecchia, e cosi’ via, purché siano chiari gli obiettivi, che si sia consapevoli di dove porta la strada intrapresa e si sia coerenti con essa. “Il tempo è perturbato sui vini del Sud” conclude Ascione che per scacciare le nubi, suggerisce ai produttori, in conclusione dell’incontro, di “cercare il proprio equilibrio ‘fregandosene’ delle mode”. Il successo verrà.
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