Fonte: Luciano Pignataro Wineblog
Quando mi fermo ad ascoltare, tra i banchi di assaggio di un degustazione pubblica, i commenti di alcuni intervenuti sento ricorrere, spesso, una sorta di ritornello, quasi imparato a memoria, che riguarda taluni bianchi, talvolta grandi bianchi, che indipendentemente dalle uve impiegate e dalla zona di origine (e poi si permettono, pure, di parlare di “terroir”) , hanno un evidente limite… “..ma come sono acidi…”. C’è chi addirittura lamenta l’eccessiva sapidità e le grandi acidità di uno Champagne. Qualche tempo fa la celebre master of wine Jancin Robinson ha stigmatizzato questo atteggiamento in un bellissimo pezzo in cui esordiva così: “I wonder why wine drinkers are so wary of acid?”. Faccio mie le sue parole e dico: “Mi chiedo perchè gli appassionati sono così spaventati dall’acidità?”. Vorrei riportare liberamente, senza attenermi rigidamente alla lettera del testo, le riflessioni della celebre giornalista anglosassone che sottoscrivo in pieno.Venti anni fa, quando ancora con il vino mi ci potevo solo “bagnare” le labbra, era normalissimo riscontrare nei grandi vini bianchi francesi, sia che si trattasse di Bordeux che di Borgogna, acidità medie piuttosto elevate anche se non dimentichiamo ciò era strettamente correlato alle più basse gradazioni alcoliche! Sorge spontaneo allora chiedersi come mai all’improvviso, oggi, una spiccata acidità stia diventando quasi insopportabile… solo perchè considerata l’opposto di dolcezza e rotondità, considerati canoni dominanti?! Forse è più probabile che l’avvento di produzioni “in bianco” provenienti da aree climaticamente più calde abbia fatto emergere sul mercato tipologie diverse più votate alla gratificazione immediata del consumatore, sempre più impaziente in ogni momento della propria esistenza. Aspettare la piena maturità di un vino e pazientare qualche anno per goderne in pieno tutte le sfaccettature sono gesti, ormai, che appartengono sempre più alla cultura passata del bere di qualità e sono sempre meno diffusi tra i consumatori moderni.
I vini di oggi finiscono travolti dalla frenesia del mercato che li vuole pronti da subito assolvendo al compito, affatto deplorevole, anzi, di offrire al consumatore un prodotto già “compiuto” senza chiedergli ulteriori attese. Ma c’è sempre un prezzo da pagare. Una minore acidità riduce il potenziale di invecchiamento di un vino. Questo è ampiamente dimostrato dalla stupefacente longevità dei riesling tedeschi che non trova termini di paragone altrove. Inoltre le sottili sfaccettature che un vino acquisisce con gli anni non sono le stesse conferite ad un vino giovane con operazioni di maquillage di cantina destinate ad esaurirsi nell’arco di pochi anni, se non quando, addirittura, di qualche mese. È come voler paragonare una ventenne rifatta dalla testa ai piedi con il fascino impalpabile di una splendida quarantenne. Ma pur volendoci, per un attimo, allontanare dalla prospettiva puramente edonistica del tutto non bisogna sottovalutare altri importanti aspetti della questione. L’acidità ha, infatti, anche altre funzioni oltre quelle prettamente legate a fini di natura organolettica di sostenere, rinfrescare ed equilibrare la beva. È, infatti, un incredibile anti-batterico ed in particolare protegge dal Brett il responsabile numero uno nell’aroma, sgradevole, di alcuni vini. Per i rossi, infine, il discorso si sposta dal bicchiere alla tavola ed alla maggiore versalità, nonchè migliore capacità di abbinamento, di quei vini dal nerbo acido più sostenuto. Provate a pasteggiare con uno di quei vinoni muscolosi, iperconcentrati, marmellatosi che tanto ci colpiscono nelle degustazioni quando però ne buttiamo giù solo un sorso o poco più. Vedete quanto più soddisfacente sarà un vino da ben più miti pretese ma con la giusta acidità di fronte ad un piatto di pasta, la classica fettina di carne, un pezzo di formaggio ed altre preparazioni della cucina quotidiana. O forse che tutti nell’era del benessere pasteggiamo, ormai, solo a ritmo di brasati, cacciaggione ed altri ricercate e costosissime prelibatezze?! La “giusta” acidità stimola una cospicua salivazione, ripulisce il palato e lo prepara, invogliando, al boccone successivo! Non voglio con tutto questo essere frainteso e giustificare vini aciduli, privi di corpo e di sostanza ottenuti con uve di scarsa qualità e non giunte a perfetta maturazione che ancora, aimè, popolano il mercato. Voglio solo enfatizzare come un grande vino non possa prescindere oltre ad elevati livelli di alcol e polifenoli da un parametro troppo spesso dimenticato: la “giusta” acidità.
Vedremo l’acidità cosa saprà regalare anche alle Cantillon…
La “L’Vapeur Rousse” del 1990 bevuta insieme ti dà pienamente ragione…
questo articolo mi ha ricordato di una cosa gia’ letta nel 2004 , ci ho pensato e l’ho ritrovata…ops ma non è lo stesso autore e lo stesso articolo?rivisto e corretto?
“Serata Meregalli a Napoli. Chi ha paura dell’acidità?
11/05/2004
di Fabio Cimmino
Qualche tempo fa la celebre master of wine Jancin Robinson ha scritto un pezzo che mi è rimbalzato in mente ieri sera dopo aver preso parte alla manifestazione 100vini organizzata dalla Meregalli a Napoli. Fermo ad ascoltare tra i banchi di assaggio i commenti degli intervenuti sentivo ricorrente una lamentela riguardo ai bianchi francesi presenti in degustazione. Sia che si trattasse di uno Chablis di Laroche (non proprio l’ultimo arrivato…), sia di uno Chardonnay della Borgogna (con Chanson Pere et fils che non sarà il riferimento dalla zona ma nenanche una scartina…) , sia di Loira (con l’incompreso per eccellenza, il Muscadet de Sevre et Maine), il ritornello era sempre lo stesso “..ma come sono acidi…”.
Addirittura qualcuno lamentava l’eccessiva sapidità (poi si permettono, pure, di parlare di “terroir”) e le grandi acidità di un Bollinger RD90 oppure un Grande Annè ’96 (per me tra i migliori vini degustati nella serata e tra i migliori champagne, in assoluto, in circolazione). Jancin Robinson esordiva in quel bellissimo pezzo, che ho colto l’occasione per rileggere, così: “I wonder why wine drinkers are so wary of acid?”. Faccio mie le sue parole e dico: “Mi chiedo perchè gli appassionati (o forse dovrei dire, pur riconoscendo di peccare di superbia, pseudo-appassionati) sono così spaventati dall’acidità?”. Vorrei riportare, approfittando dell’ospitalità “virtuale” di Luciano (di cui sto abusando sistematicamente di recente…), altre considerazioni della stessa giornalista anglosassone, sebbene con parole mie, che condivido pienamente.
Venti anni fa, quando ancora con il vino mi ci potevo solo “bagnare” le labbra, era normalissimo riscontrare nei grandi vini bianchi francesi, sia che si trattasse di Bordeux che di Borgogna, acidità medie piuttosto elevate anche se non dimentichiamo ciò era strettamente correlato alle più basse gradazioni alcoliche!
Sorge spontaneo allora chiedersi come mai all’improvviso, oggi, una spiccata acidità stia diventando quasi insopportabile… solo perchè considerata l’opposto di dolcezza e rotondità, considerati canoni dominanti?! Forse è più probabile che l’avvento di produzioni “in bianco” provenienti da aree climaticamente più calde abbia fatto emergere sul mercato tipologie diverse diverse più votate alla gratificazione immediata del consumatore, sempre più impaziente in ogni momento della propria esistenza. Aspettare la piena maturità di un vino e pazientare qualche anno per goderne in pieno tutte le sfaccettature sono gesti, ormai, che appartengono sempre più alla cultura passata del bere di qualità e sono sempre meno diffusi tra i consumatori moderni. I vini di oggi finiscono travolti dalla frenesia del mercato che li vuole pronti da subito assolvendo al compito, affatto deplorevole, anzi, di offrire al consumatore un prodotto già “compiuto” senza chiedergli ulteriori attese. Ma c’è sempre un prezzo da pagare. Una minore acidità riduce il potenziale di invecchiamento di un vino. Questo è ampiamente dimostrato dalla stupefacente longevità dei riesling tedeschi che non trova termini di paragone altrove.
Inoltre le sottili sfaccettature che un vino acquisisce con gli anni non sono le stesse conferite ad un vino giovane con operazioni di maquillage di cantina destinate ad esaurirsi nell’arco di pochi anni, se non quando, addirittura, di qualche mese. È come voler paragonare una ventenne rifatta dalla testa ai piedi con il fascino impalpabile di una splendida quarantenne. Ma pur volendoci, per un attimo, allontanare dalla prospettiva puramente edonistica del tutto non bisogna sottovalutare altri importanti aspetti della questione. L’acidità ha, infatti, anche altre funzioni oltre quelle prettamente legate a fini di natura organolettica di sostenere, rinfrescare ed equilibrare la beva. È, infatti, un incredibile anti-batterico ed in particolare protegge dal Brett il responsabile numero uno nell’aroma, sgradevole, di alcuni vini. Per i rossi, infine, il discorso si sposta dal bicchiere alla tavola ed alla maggiore versalità, nonchè migliore capacità di abbinamento, di quei vini dal nerbo acido più sostenuto.
Provate a pasteggiare con uno di quei vinoni muscolosi, iperconcentrati, marmellatosi che tanto ci colpiscono nelle degustazioni quando però ne buttiamo giù solo un sorso o poco più. Vedete quanto più soddisfacente sarà un vino da ben più miti pretese ma con la giusta acidità di fronte ad un piatto di pasta, la classica fettina di carne, un pezzo di formaggio ed altre preparazioni della cucina quotidiana. O forse che tutti nell’era del benessere pasteggiamo, ormai, solo a ritmo di brasati, cacciaggione ed altri ricercate e costosissime prelibatezze?! La “giusta”acidità stimola una cospicua salivazione, ripulisce il palato e lo prepara, invogliando, al boccone successivo! Non voglio con tutto questo essere frainteso e giustificare vini aciduli, privi di corpo e di sostanza ottenuti con uve di scarsa qualità e non giunte a perfetta maturazione che ancora, aimè, popolano il mercato. Voglio solo enfatizzare come un grande vino non possa prescindere oltre ad elevati livelli di alcol e polifenoli da un parametro troppo spesso dimenticato: la “giusta” acidità.
La cosiddetta spalla acida è il parametro che per primo cerco in tutti i vini, sia per capirne la longevità, sia per apprezzarne l’equilibrio in presenza di una struttura di una certa importanza, nei vini rossi come nei vini bianchi.
Inoltre “odio” quei vini bianchi che sono tutto alcol ed estratto secco e dopo due sorsi già ti hanno stufato e in un pranzo o una cena non sono in grado di ripulirti la bocca tra un boccone e l’altro.
Il palato dei consumatori è oggi abituato a vini di corpo anche nei bianchi che ammettono abbinamenti più arditi, ma la piacevolezza di una bevuta che ti dona freschezza e pulizia non ha confronto, per questo mi piacciono molto i vini del Trentino e della Valle d’Aosta o i Campani non fatti per i concorsi ma per un uso più immediato.
Ringrazio Claudio Nannini per la segnalazione.
Tommaso Luongo